Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25817 del 23/09/2021

Cassazione civile sez. trib., 23/09/2021, (ud. 06/07/2021, dep. 23/09/2021), n.25817

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreiana – rel. Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A. P. – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 11597/2015 R.G. proposto da:

F.N., rappresentato e difeso dagli avv.ti Oreste Cantillo e

Guglielmo Cantillo, con cui è elettivamente domiciliato in Roma

alla via Lungotevere dei Mellini n. 17;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del direttore p.t., rappresentata;

– intimata –

avverso la sentenza n. 9329/14 della Commissione tributaria regionale

della Campania, sezione staccata di Salerno, pronunciata in data 13

ottobre 2014, depositata in data 28 ottobre 2014 e non notificata.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6 luglio 2021

dal consigliere Dott.ssa Giudicepietro Andreina.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

F.N. ricorre con tre motivi avverso l’Agenzia delle entrate per la cassazione della sentenza n. 9329/14 della Commissione tributaria regionale della Campania, sezione staccata di Salerno, pronunciata in data 13 ottobre 2014, depositata in data 28 ottobre 2014 e non notificata, che ha accolto l’appello dell’ufficio, in controversia concernente l’impugnativa dell’avviso di accertamento relativo alla rideterminazione dell’imponibile Irpef per l’anno di imposta 2006, in quanto il contribuente aveva omesso di dichiarare in parte il canore di locazione;

con la sentenza impugnata la C.t.r. dava atto che le parti avevano pattuito, al punto 3 del contratto di locazione, il canone mensile di Euro 12.000,00 ed, al punto 4 dello stesso contratto, lo avevano ridotto a 7000,00 Euro mensili, in cambio della rinunzia da parte del conduttore al diritto di prelazione ed all’indennità di avviamento;

riteneva il giudice di appello che, ai fini fiscali, dovesse comunque farsi riferimento al canone di 12.000,00 Euro mensili, in quanto, se il conduttore alla fine del rapporto avesse voluto far valere la nullità delle clausole di rinunzia, sarebbe tornato in vigore il maggior canone pattuito;

a seguito del ricorso, l’Agenzia delle entrate ha depositato “voto di costituzione” ai soli fini dell’eventuale partecipazione all’udienza;

il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 6 luglio 2021, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e art. 380 bis 1 c.p.c., il primo come modificato ed il, secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

con il primo motivo, il ricorrente denunzia la violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 53,27 e 61, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

secondo il ricorrente, l’appello dell’amministrazione finanziaria era un’inammissibile integrale riproposizione delle controdeduzioni depositate nel primo grado di giudizio, senza alcuna critica alla sentenza di primo grado;

il giudice di appello, quindi, avrebbe dovuto dichiararne l’inammissibilità;

con il secondo motivo, il ricorrente deduce la nullità della sentenza per la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4;

secondo il ricorrente, l’appello dell’ufficio ribadiva la legittimità della pretesa tributaria, fondata sulla dedotta violazione dell’art. 26 T.u.i.r., adducendo che, ai sensi della citata norma, i redditi fondiari concorrevano alla formazione del reddito imponibile in quanto risultanti dal contratto ed indipendendentemente dalla loro effettiva percezione;

il ricorrente sostiene che la C.t.r. avrebbe accolto l’appello dell’Agenzia pronunciandosi, ultra petita, sull’interpretazione del contratto e decidendo quale fosse il canone di locazione da considerare ai fini fiscali, prescindendo da quello effettivamente pattuito dalle parti;

con il terzo motivo, il ricorrente denunzia la violazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 26 e dell’art. 53 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

deduce il ricorrente che, per quanto concerne la categoria dei redditi fondiari, i canoni di locazione concorrono alla determinazione del reddito imponibile nella misura in cui essi sono stati pattuiti contrattualmente dalle parti e nella misura in cui hanno apportato ricchezza al locatore dell’immobile;

tuttavia, secondo il ricorrente, i giudici del gravame, ponendosi in aperta violazione con le norme indicate in rubrica, hanno voluto sostituirsi alla volontà negoziale delle parti, che avevano concordato un canone di locazione mensile pari ad Euro 7.000,00, ed hanno ritenuto fiscalmente rilevante anche “il valore aggiunto dell’indennità di avviamento risparmiata e degli altri diritti rinunciati al contribuente”, ritenendo che anche tale valore, pur non costituendo canone di locazione, concorresse alla determinazione del reddito fondiario;

sostiene il ricorrente che tale statuizione, legittimando la ripresa a tassazione di una somma indebita che non ha, di fatto, concorso realmente alla determinazione del reddito imponibile, si porrebbe in aperta violazione con l’art. 26 T.u.i.r. ed il principio costituzionale della capacità contributiva;

i motivi sono infondati e vanno rigettati;

in particolare, in relazione al primo motivo, il ricorso in appello dell’amministrazione finanziaria era ammissibile, in quanto conteneva una specifica critica alla sentenza di primo grado;

questa Corte ha avuto modo di evidenziare che “nel processo tributario, stante il carattere devolutivo pieno dell’appello volto ad ottenere il riesame della causa nel merito, l’onere di impugnazione specifica richiesto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53 non impone all’appellante di porre nuovi argomenti giuridici a sostegno dell’impugnazione rispetto a quelli già respinti dal giudice di primo grado, specie ove le questioni che formano oggetto del giudizio siano di mero diritto” (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 32838 del 19/12/2018);

inoltre si è anche detto che la riproposizione, a supporto dell’appello, delle ragioni inizialmente poste a fondamento dell’impugnazione del provvedimento impositivo (per il contribuente) ovvero della dedotta legittimità dell’accertamento (per l’Amministrazione finanziaria), in contrapposizione alle argomentazioni adottate dal giudice di primo grado, assolve l’onere di impugnazione specifica imposto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53 (cfr. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 32954 del 20/12/2018, secondo cui è necessario che il dissenso investa la decisione nella sua interezza e che, comunque, le ragioni di censura siano ricavabili, seppur per implicito, in termini inequivoci dall’atto di gravame interpretato nel suo complesso);

nel caso di specie, la C.t.p. aveva ritenuto che il canone pattuito fosse quello di 7.000,00 Euro al mese, e non quello di 12.000,00 Euro, in quanto la decurtazione del canone per la rinunzia del conduttore alle sue prerogative di legge, trattandosi di clausola contrattuale, incideva sull’importo pattuito;

con il ricorso in appello, l’ufficio deduceva che la rinuzia del conduttore ad alcune sue prerogative, ad un prezzo stabilito mensilmente in decurtazione del canone, non incideva sulla determinazione del canone stesso, avendo una diversa causale;

tale argomentazione, seppure fosse stata già manifestata nelle controdeduzioni del primo grado di giudizio, secondo quanto sostenuto dal ricorrente, assolverebbe comunque al requisito di specificità dei motivi di appello, in quanto rivolge una critica specifica alla stauizione impugnata e presuppone un assunto incompatibile con essa;

né si ravvisa il vizio di ultrapetizione, denunziato con il secondo motivo di ricorso;

il giudice di appello, infatti, ha ritenuto che ai fini fiscali, indipendentemente dalla validità delle clausole contrattuali di rinunzia da parte del locatario al diritto di prelazione ed all’indennità di avviamento, il valore economico del canone di locazione fosse quello di 12.000,00 Euro, in ciò accogliendo la tesi dell’amministrazione e ritenendo ininfluente la decurtazione del canone ad altro titolo (rinunzia del conduttore alle prerogative di legge, introdotta con clausola contrattuale che, comunque, incidentalmente, la C.t.r. riteneva di dubbia validità);

rimane da valutare se, come denunziato dal ricorrente con il terzo motivo, tale interpretazione del giudice di appello sia in contrasto con l’art. 26 T.u.i.r.;

ai sensi dell’art. 26 T.u.i.r., “1. I redditi fondiari concorrono, indipendentemente dalla percezione, a formare il reddito complessivo dei soggetti che possiedono gli immobili a titolo di proprietà, enfiteusi, usufrutto o altro diritto reale, salvo quando stabilito dall’art. 30, per il periodo di imposta in cui si è verificato il possesso. I redditi derivanti da contratti di locazione di immobili ad uso abitativo, se non percepiti, non concorrono a formare il reddito dal momento della conclusione del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità del conduttore. Per le imposte versate sui canoni venuti a scadenza e non percepiti come da accertamento avvenuto nell’ambito del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità è riconosciuto un credito di imposta di pari ammontare”;

pertanto i canoni da locazione immobiliare, anche se non effettivamente percepiti, concorrono ai fini della determinazione del reddito imponibile, indipendentemente dalla causa della mancata riscossione, fatti salvi i correttivi espressamente previsti dall’art. 26 t.u.i.r. per i casi di sfratto per morosità del conduttore (in tal senso Cass. sez. trib., 09/05/2019, n. 12332);

il giudice di appello, interpretando il contratto di locazione, ha ritenuto che il canone pattuito, al quale fare riferimento ai fini fiscali, fosse quello indicato nella clausola n. 3 e che fosse irrilevante la sua decurtazione nella successiva clausola contrattuale n. 4, prevista per la rinunzia del conduttore alle sue prerogative di legge e legittimante unicamente il pagamento di un minore importo;

la C.t.r., inoltre, avendo evidenziato incidentalmente la dubbia validità della clausola n. 4, ha rimarcato, a sostegno della propria decisione, come, in caso di impugnativa del conduttore per far valere la nullità della rinunzia alle sue prerogative di legge, il locatore avrebbe potuto richiedere l’intero canone pattuito di 12.000,00 Euro;

l’intepretazione del giudice di appello, che ritiene di aver identificato il canone pattuito sulla base dell’ermeneutica contrattuale, non viola l’art. 26 T.u.i.r;

eventuali contestazioni all’interpretazione del contratto andavano fatte valere dal ricorrente sotto il diverso profilo della violazione delle regole ermeutiche di cui agli artt. 1362 c.c. e s.s., doglianza estranea al ricorso in esame;

pertanto, il ricorso va complessivamente rigettato;

nulla deve disporsi in ordine alle spese, poiché l’Agenzia delle entrate non ha svolto attività difensiva.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 6 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2021

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