Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25816 del 23/09/2021

Cassazione civile sez. trib., 23/09/2021, (ud. 06/07/2021, dep. 23/09/2021), n.25816

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreiana – rel. Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A. P. – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 17825/2012 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del direttore p.t., rappresentata e

difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici, in

Roma, in via dei Portoghesi, n. 12, è domiciliata;

– ricorrente –

contro

Astrazeneca S.p.A., in persona del l.r.p.t., rappresentata e difesa

dagli avv.ti Leonardo Perrone e Giuseppe Marini, elettivamente

domiciliata presso il primo in Roma alla via Giuseppe Mercalli, n.

11;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 52/11/12 della Commissione tributaria

regionale della Lombardia, depositata in data 16 aprile 2012 non

notificata.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6 luglio 2021

dal consigliere Dott.ssa Giudicepietro Andreina.

Lette le conclusioni scritte del Procuratore generale De Augustinis

Umberto, che ha chiesto l’accoglimento del primo motivo di ricorso.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

l’Agenzia delle Entrate notificava in data 3 dicembre 2009 alla società Astrazeneca s.p.a. cartella di pagamento recante l’importo di Euro 325.346,22 emessa a seguito di controllo automatizzato della dichiarazione Modello Unico 2006 per l’anno 2005, avendo rilevato il mancato versamento dell’IRAP;

l’Ufficio, rilevata la tardività del versamento del primo acconto IRAP (effettuato in data 8 novembre 2005) e la non emendabilità di tale inadempimento mediante ravvedimento operoso, iscriveva a ruolo le relative sanzioni e gli interessi per tardivo versamento;

la contribuente impugnava innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Milano la cartella di pagamento, eccependo la carenza di motivazione e la violazione del principio del ne bis in idem; ammetteva di avere versato, in data 20 giugno 2005, un importo per acconto Irap inferiore a quello dovuto e di avere utilizzato in compensazione un credito IRES relativo all’anno precedente in misura superiore all’ammontare consentito dalla legge;

in accoglimento del ricorso, l’adita Commissione tributaria riteneva applicabile anche per l’esercizio 2005 l’istituto del ravvedimento operoso e corretta la misura del 10 per cento delle sanzioni applicate;

in esito all’appello dell’Amministrazione finanziaria ed all’appello incidentale della contribuente, la Commissione tributaria regionale della Lombardia confermava la sentenza impugnata;

avverso la suddetta decisione ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, affidandosi a due motivi, cui resiste la società contribuente con controricorso, ulteriormente illustrato con memoria ex art. 380-bis.1. c.p.c.;

il giudizio, inizialmente fissato per la camera di consiglio del 18 novembre 2019, veniva sospeso, ai sensi del D.L. 23 ottobre 2018, n. 119, art. 3, comma 6, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 136 del 2018, fino al 31 dicembre 2020, su istanza della società contribuente, che si era avvalsa della c.d. “rottamazione-ter” disciplinata dal D.L. 30 aprile 2019, n. 34, art. 16-bis, conv. in L. 28 giugno 2019, n. 58 (rubricato “riapertura dei termini per gli istituti agevolativi relativi ai carichi affidati agli agenti della riscossione”);

la società ha depositato istanza di trattazione, non avendo avuto comunicazione da parte dell’Agenzia delle entrate riscossione circa l’accoglimento (o meno) della domanda nonché circa la liquidazione delle somme da versare;

il ricorso, quindi, è stato nuovamente fissato è stato fissato per la camera di consiglio del 6 luglio 2021;

la società ha depositato memoria telematica.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

preliminarmente, deve rilevarsi l’infondatezza dell’eccezione di giudicato sollevata da parte controricorrente;

fin dal primo grado di giudizio, la società ha dedotto che vi era un giudicato a lei favorevole su di una cartella di pagamento, precedente rispetto a quella oggetto di impugnazione e relativa alle somme dovute per il mancato versamento dell’acconto Irap per l’anno 2005;

la società ha dunque prodotto la sentenza della C.t.p. di Milano n. 418/41/09, che afferma essere divenuta definitiva per la mancata impugnazione da parte dell’ufficio;

tuttavia, l’assunto della controricorrente rimane privo di prova, in quanto la sentenza prodotta risulta priva dell’attestazione del giudicato;

questa Corte ha avuto modo di chiarire che “la rilevanza espansiva del giudicato esterno, nei giudizi tra le stesse parti che derivino da una medesima situazione giuridica, è comunque condizionata dalla presenza in atti della sentenza che si intenda far valere, munita dell’attestazione dell’intervenuto passaggio in giudicato” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 11889 del 22/05/2007);

inoltre, specificamente in tema di processo tributario, la Corte ha rilevato che “in mancanza di una previsione specifica sulla certificazione del passaggio in giudicato della sentenza, va applicato per “analogia legis”, secondo la previsione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2, l’art. 124 disp. att. c.p.c., sicché è necessario che il segretario della commissione tributaria, provinciale o regionale, certifichi, in calce alla copia della sentenza contenente la relazione della notificazione alla controparte o alla copia della sentenza non notificata, che nei termini di legge non è stata proposta impugnazione” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 21366 del 21/10/2015; Sez. 5, Sentenza n. 3621 del 07/02/2019);

con il primo motivo, il ricorrente denunzia la violazione del D.L. 17 giugno 2005, n. 106, art. 1, del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 2, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 13, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

secondo l’Agenzia ricorrente, la C.t.r., ritenendo corretto il comportamento della società, che aveva versato le sanzioni in misura ridotta “applicando l’aliquota ridotta al 10% prevista per il ravvedimento operoso”, aveva violato le disposizioni sopra richiamate;

sostiene la ricorrente che il D.L. n. 106 del 2005, art. 1, comma 3, ha disposto l’inapplicabilità della riduzione delle sanzioni previste dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 13 in caso di violazione dell’obbligo di versamento da effettuare a saldo dell’Irap per il periodo di imposta in corso alla data del 17/6/2005 e che analoga previsione, relativa all’acconto e al saldo dell’Irap per il periodo d’imposta in corso alla data dell’8/6/2006, è contenuta nel D.L. n. 206 del 2006, art. 1, comma 1, convertito dalla L. n. 234 del 2006;

secondo la ricorrente, la C.t.r., ritenendo corretto il versamento della sanzione con “aliquota ridotta al 10% prevista per il ravvedimento operoso”, avrebbe violato altresì, la disposizione di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 13, comma 1, lett. b), che prevede che la sanzione è ridotta (…) ad un quinto del minimo se la regolarizzazione degli errori e delle omissioni, anche se incidenti sulla determinazione o sul pagamento del tributo, avviene entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all’anno nel corso del quale è commessa la violazione ovvero, quando non è prevista dichiarazione periodica, entro un anno dall’omissione o dall’errore”;

la norma, invero, prevede, il versamento di una sanzione ridotta ad un quinto del minimo e non l’aliquota ridotta al 10%, come ritenuto dalla C.t.r.;

con il secondo motivo, l’Agenzia ricorrente denunzia l’illogica motivazione della sentenza impugnata, che ha ritenuto non applicabile il D.L. n. 106 del 2005, art. 1 “perché il ritardo nasceva da compensazione del debito in dichiarazione”;

a tal riguardo, la ricorrente evidenzia che la stessa contribuente ammetteva di aver versato, quale primo acconto IRAP per il 2005, un importo inferiore a quello dovuto e di aver usato in compensazione orizzontale un credito Ires dell’anno precedente in misura superiore all’ammontare consentito dalla legge;

successivamente, avvedutasi dell’errore, provvedeva a regolarizzare il pagamento nei termini di legge tramite l’istituto del ravvedimento operoso, tuttavia non consentito nel caso di specie, per cui, secondo la ricorrente, sarebbe evidente che il ritardo non dipendeva dalla compensazione di un credito;

il primo motivo è fondato e va accolto, con conseguente assorbimento del secondo;

in particolare, il D.L. n. 106 del 2005, art. 1, comma 3, convertito dalla L. n. 156 del 2005, dispone che “In caso di violazione dell’obbligo di versamento a saldo dell’imposta regionale sulle attivita produttive di cui al cl.lgs. n. 446/97, relativo al periodo di imposta precedente a quello in corso alla data dell’entrata in vigore del presente decreto, nonché dell’obbligo di versamento in acconto o a saldo della medesima imposta relativo al periodo d’imposta in corso alla predetta data, non si applicano le disposizioni in materia di riduzione delle sanzioni previste dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 13 e successive modificazioni nonché dal D.Lgs. n. 462 del 1997, art. 2, comma 2, e successive modificazioni”;

dunque, il legislatore, con tale norma, ha introdotto un limite a carattere temporaneo all’utilizzo dell’istituto del ravvedimento operoso;

tale disposizione, rispondeva all’esigenza di garantire il gettito derivante dall’IRAP, evitando che i contribuenti non effettuassero i versamenti dovuti in attesa della pronuncia della Corte di Giustizia Europea in ordine alla compatibilità dell’Irap con l’ordinamento comunitario e, segnatamente, con l’art. 33 della sesta direttiva Iva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE;

si riteneva evidentemente da parte del legislatore che l’attesa o la speranza di una pronuncia della Corte Europea che ne sancisse l’illegittimità (pronuncia che come noto poi non vi è stata, essendo stata data alla questione soluzione opposta: C.G.C.E. 3 ottobre 2006, in causa C-475/03) potesse spingere i contribuenti alla violazione dell’obbligo d’imposta e con la prevista esclusione dell’applicabilità della riduzione delle sanzioni D.Lgs. n. 472 del 1997, ex art. 13 si voleva a tanto contrapporre un disincentivo;

nel caso in esame, la C.t.r., pur riconoscendo la sussistenza del limite all’utilizzo del ravvedimento operoso, ha ritenuto che esso non fosse applicabile alla fattispecie concreta, in quanto il ritardo nel pagamento era dovuto ad un’errata compensazione in dichiarazione con crediti oltre i limiti consentiti;

l’interpretazione del giudice di appello non risulta condivisibile, in quanto la norma di cui al D.L. n. 106 del 2005, art. 1, comma 3, convertito dalla L. n. 156 del 2005, deve intendersi applicabile in ogni caso di violazione dell’obbligo di versamento in acconto o a saldo, circostanza assolutamente pacifica nel caso in esame;

pertanto, la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla C.t.r. della Lombardia, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità;

PQM

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla C.t.r. della Lombardia, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 6 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2021

 

 

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