Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25815 del 31/10/2017


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Cassazione civile, sez. III, 31/10/2017, (ud. 25/05/2017, dep.31/10/2017),  n. 25815

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. GIAIME GUIZZI Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7760-2014 proposto da:

SNP SRL, in persona dell’amministratore unico e legale rappresentante

pro tempore, sig. N.S., elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA RICCIOTTI NICOLA, 9, presso lo studio dell’avvocato

BRUNELLA CAIAZZA, rappresentata e difesa dall’avvocato ANTONIO

SETTEMBRE giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

D.R., P.A.;

– intimate –

avverso la sentenza n. 545/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 10/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25/05/2017 dal Consigliere Dott. GIAIME GUIZZI STEFANO;

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La società S.N.P. s.r.l. (d’ora in poi, “SNP”) ricorre per cassazione avverso la sentenza n. 545/14 della Corte di Appello di Napoli, pubblicata il 10 febbraio 2014, che – in accoglimento soltanto parziale del gravame proposto dall’odierna ricorrente, avverso sentenza resa dal Tribunale partenopeo su domanda, avanzata nei suoi confronti da D.R. ed avente ad oggetto sia la richiesta di rilascio di un locale sito alla (OMISSIS) del capoluogo campano, dall’attrice concesso in locazione ad P.A. e, sempre secondo la prospettazione attorea, occupato invece “sine titulo” da essa SNP, nonchè la condanna di entrambi i convenuti, in solido, al pagamento dell’indennità da occupazione abusiva-confermava, per quanto qui interessa, l’ordine di rilascio del’immobile, riformando parzialmente, invece, la decisione nella restante parte.

2. Riferisce, in particolare, la ricorrente che la D. – sul presupposto di aver conseguito il 22 dicembre 2004, nei confronti della P., provvedimento di convalida di sfratto per morosità dell’immobile suddetto, nonchè di aver tentato, inutilmente, di portarlo ad esecuzione per ben due volte (il 4 febbraio 2005 ed il 4 aprile dello stesso anno) – notificato nuovo atto di precetto in data 16 aprile 2010, veniva a conoscenza del fatto che il locale di (OMISSIS) era posseduto, a suo dire abusivamente, da SNP, per averne la già conduttrice dello stesso consentito, all’insaputa della locatrice, l’occupazione.

Proposto, pertanto, dalla D. ricorso ex art. 447-bis c.p.c. nei confronti della suddetta società e della P., essa chiedeva al Tribunale di Napoli di dichiarare abusiva l’occupazione della prima, ordinandole il rilascio dell’immobile, condannandola anche – in solido con la seconda – al pagamento della relativa indennità.

Rammenta, inoltre, l’odierna ricorrente che entrambe tali domande venivano accolte dal giudice di prime cure, che respingeva tanto l’eccezione sollevata da essa SNP per ottenere ai sensi dell’art. 164 c.p.c., in relazione al precedente art. 163, nn. 3) e 4), la declaratoria di nullità del ricorso introduttivo del giudizio (non risultando individuato compiutamente nè l’immobile oggetto della domanda, ora identificato tout court nel locale sito al civico n. 8 di (OMISSIS), ora in un retrobottega che avrebbe accesso dal primo, nè le ragioni poste a fondamento della stessa),quanto quella relativa al difetto di legittimazione attiva alla causa e al rapporto sostanziale dedotto in giudizio, non avendo – a suo dire – la D. fornito la prova nè del diritto di proprietà, nè di un rapporto obbligatorio diverso da quello instaurato con la P., necessari a contrastare il suo autonomo e pacifico possesso dell’immobile a far data dall’anno 2007.

Gravata con appello da SNP la sentenza del Tribunale di Napoli, la Corte della stessa città – recependo, a dire dell’odierna ricorrente, l’erronea impostazione del primo giudice -confermava la stessa quanto all’ordine di rilascio dell’immobile.

3. Avverso la decisione della Corte napoletana ha proposto ricorso per cassazione SNP, sulla base di due motivi, ciascuno dei quali, peraltro, formulato con riferimento – indifferentemente – alle fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5).

3.1. Con il primo, in particolare, si deduce – oltre all’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti – “violazione” e “falsa applicazione degli artt. 2702,2697 e 2909 c.c.”, e degli artt. “116 e 214 c.p.c.”.

Perpetuando l’errore del Tribunale, infatti, anche il giudice di appello avrebbe fallacemente attribuito rilievo (con violazione, dunque, dell’art. 2697 c.c. e art. 116 c.p.c.), ai fini della prova della titolarità, in capo alla D., sia del rapporto sostanziale dedotto in giudizio che della legittimazione della stessa ad agire nello stesso, ad un provvedimento giurisdizionale (l’ordinanza di convalida di sfatto per morosità adottato a carico della P.) e ad un negozio giuridico (il contratto di locazione intercorso con la stessa), ciascuno dei quali, in realtà, si porrebbe – rispetto ad essa SNP – come una “res inter alios acta”. Di qui, pertanto, anche la dedotta inosservanza, in relazione al primo atto (l’ordinanza), dell’art. 2909 c.c., nonchè, con riferimento al secondo (il contratto), tanto dell’art. 2902 c.c., quanto dell’art. 214 c.p.c.; la sentenza impugnata, infatti, non solo avrebbe riconosciuto alla scrittura privata contrattuale un’efficacia di piena prova che va oltre la previsione della prima di tali norme (che la circoscrive ai sottoscrittori che siano anche parti del giudizio), e ciò ritenendo che essa fosse idonea a dimostrare non la sola disponibilità del bene in capo alla D. ma anche la consegna dello stesso ad essa ricorrente, ma addirittura di prova legale. Ed invero, predicando che SNP avrebbe dovuto proporre querela di falso per disconoscere l’efficacia di tale scrittura negoziale verso di essa, la Corte partenopea avrebbe disatteso la “regula iuris” secondo cui “la querela di falso può essere esperita solo dalle parti del negozio o dai loro aventi causa”, condizione, quest’ultima, in cui non verserebbe la SNP, avendo essa “dichiarato di non aver avuto alcun rapporto con la P. e di ignorare persino l’esistenza del retrobottega” oggetto dell’avversaria iniziativa.

3.2. Il secondo motivo – oltre, nuovamente, a far valere l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti – deduce “violazione” e “falsa applicazione degli artt. 948 e 2058 c.c.”.

In particolare, si evidenzia che, in assenza di un rapporto negoziale tra la D. (o la P.) ed essa ricorrente, la Corte di appello, nel qualificare come personale l’azione volta al recupero del bene, “ha ignorato del tutto la distinzione tra occupazione abusiva, conseguente alla cessazione di un rapporto giuridico originariamente esistente tra le parti”, e quella, invece, “in cui il titolo sia inesistente ab origine”. Sussistendo, nella specie, tale seconda ipotesi, la sentenza impugnata, nel confermare la statuizione del primo giudice di accoglimento di un’azione di natura personale quale quella esperita dalla D., ha violato le norme suddette, a mente delle quali la stessa avrebbe dovuto esperire l’azione di rivendicazione.

4. Non hanno resistito con controricorso nè la D., nè la P..

5. Hanno presentato memoria la Procura Generale presso questa Corte, chiedendo dichiararsi l’inammissibilità, o comunque disporsi il rigetto dell’impugnazione, nonchè la stessa SNP, insistendo nelle proprie conclusioni.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

6. In via preliminare, deve osservarsi che, sebbene esistano dubbi in relazione al regolare completamento della procedura di notificazione del ricorso della SNP nei confronti della P. (atteso che dalla relata risulta il suo trasferimento presso luogo diverso dalla residenza anagrafica in cui è stata tentata la notificazione), l’inammissibilità del ricorso – per le ragioni che si illustreranno di seguito – rende superflua la rinnovazione dell’incombente, e ciò anche in ragione del fatto che l’impugnazione dell’odierna ricorrente non mette in gioco il tema della condanna, comminata anche nei confronti della P., al pagamento dell’indennità di occupazione, ma solo quello del rilascio del bene, ordinato alla sola SNP.

Può, dunque, farsi applicazione del principio secondo cui, nel giudizio di legittimità, “il rispetto del principio della ragionevole durata del processo impone, in presenza di un’evidente ragione d’inammissibilità del ricorso, di definire con immediatezza il procedimento, senza la preventiva integrazione del contraddittorio nei confronti di litisconsorti necessari cui il ricorso non risulti notificato, trattandosi di un’attività processuale del tutto ininfluente sull’esito del giudizio” (Cass. Sez. 3, sent. 24 maggio 2013, n. 12995, Rv. 626808-01)

7. Il ricorso è, come detto, inammissibile.

7.1. In disparte, infatti, i rilievi formulabili – sotto un duplice profilo – con riferimento all’evocazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), atteso che, per un verso, l’omesso esame censurabile in sede di legittimità, secondo la citata disposizione, deve investire “non una “questione” o un “punto” della sentenza, ma un fatto vero e proprio, e quindi un fatto principale, ex art. 2697 c.c. (cioè, un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo), oppure secondario (cioè, dedotto in funzione di prova di un fatto principale)” (cfr., da ultimo, Cass. Sez. 1, sent. 8 settembre 2016, n. 17761), nonchè, per altro verso, che sussiste nella specie una mescolanza – di dubbia legittimità – fra motivi tra loro eterogenei (cfr. Cass. Sez. 5, sent. 14 settembre 2016, n. 18021, Rv. 641127-01), l’esito della declaratoria di inammissibilità si impone per un’assorbente ragione.

7.2. La proposta impugnazione, infatti, non coglie l’effettiva “ratio decidendi” della sentenza della Corte partenopea, della quale oblitera – quanto alla conferma dell’ordine di rilascio del bene oggetto di causa – la natura esclusivamente processuale, ciò che segna, nel senso sopra indicato, l’esito del presente giudizio.

Giova, infatti, rammentare che – nel proporre gravame contro la decisione del Tribunale di Napoli – la SNP, come emerge dalla lettura della sentenza di secondo grado e dallo stesso ricorso per cassazione, formulava tre diverse doglianze, le prime due indirizzate verso la statuizione di condanna al rilascio dell’immobile di (OMISSIS), la terza (che sarebbe stata accolta) nei confronti della condanna al pagamento dell’indennità di occupazione.

In particolare, con i primi due motivi di appello essa riproponeva l’eccezione di nullità del ricorso introduttivo il giudizio, per incertezza sul bene oggetto della domanda di rilascio e sulle ragioni poste a fondamento della stessa, dolendosi, inoltre, del ribaltamento dell’onere della prova, avendo il giudice di prime cure – a dire di SNP – sia esonerato la D. dalla necessità di dimostrare l’esistenza del rapporto obbligatorio, costituente titolo dell’azione personale di restituzione esercitata (e, dunque, la titolarità dal lato attivo del rapporto controverso e la sua legittimazione ad agire), sia addossato all’odierna ricorrente, per contro, l’incombenza di provare il titolo legittimante il suo possesso.

Orbene, si legge nella pronuncia della Corte di Napoli che la SNP, articolando “i primi motivi di gravame” (ovvero, quelli diversi dalla doglianza – poi accolta – sulla condanna al pagamento dell’indennità di occupazione), “limitandosi in buona sostanza a ripercorrere le argomentazioni difensive svolte nel precedente grado, ha innanzitutto omesso di conferire ad essi la necessaria specificità seguendo le linee tracciate dalle novellate norme del codice di rito in punto di ammissibilità delle impugnazioni, e ciò non avendo provveduto nè all’indicazione delle parti del provvedimento appellato e delle modifiche richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado, nè all’indicazione delle circostanze da cui sarebbe derivata la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata”.

A fronte di questi rilievi, sarebbe stato onere di SNP, con il presente ricorso, mettere in discussione – invocando, in ipotesi, un’errata applicazione dell’art. 434 c.p.c.- la statuizione di inammissibilità dei motivi di gravame per difetto di specificità, e non certo la parte dell’impugnata sentenza in cui, “ad abundantiam”, il giudice di appello, “glissando pure sull’evidenziato profilo in rito”, ha ritenuto che non potessero “condividersi le censure mosse nel merito all’impugnata sentenza” del Tribunale partenopeo, per le ragioni oggetto di censura con il presente ricorso.

7.3. Tanto premesso, difatti, deve farsi applicazione nel caso di specie del principio affermato da questa Corte nella sua più autorevole composizione, secondo cui, qualora il giudice, “dopo una statuizione di inammissibilità” (tale non potendo dubitarsi essere anche quella che dichiari il difetto di specificità dei motivi di appello), “con la quale si è spogliato della “potestas iudicandi” in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l’onere nè l’interesse ad impugnare” le stesse, sicchè “è ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed è viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta “ad abundantiam” nella sentenza gravata” (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2007, n. 3840, Rv. 595555-01). Si tratta di principio, questo, ribadito più volte dalla giurisprudenza di legittimità (cfr., da ultimo, Cass. Sez. 2, sent. 2 maggio 2011, n. 9647, Rv. 616900; Cass. Sez. Un., sent. 17 giugno 2013, n. 15122, Rv. 626812-01; Cass. Sez. 3, sent. 20 agosto 2015, n. 17004, Rv. 636624-01), al quale anche questo collegio ritiene di dover dare continuità, non sussistendo valide ragioni per discostarsene.

Il presente ricorso è, pertanto, rigettato.

8. Nulla quanto alle spese, in difetto di controricorso della D. e della P..

9. A carico del ricorrente rimasto soccombente sussiste l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, trovando tale norma applicazione anche in casi – come quello presente – di inammissibilità originaria del ricorso (cfr. Cass. Sez. 3, ord. 10 febbraio 2017, n. 3542, Rv. 642858-01; Cass. Sez. 6-2, ord. 2 luglio 2015, n. 13636, Rv. 635682-01).

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella udienza camerale della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 23 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2017

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