Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25814 del 31/10/2017


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Cassazione civile, sez. III, 31/10/2017, (ud. 25/05/2017, dep.31/10/2017),  n. 25814

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. GIAIME GUIZZI Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24209-2015 proposto da:

C.L., G.M.C.C.L.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE DELLE MEDAGLIE D’ORO 266,

presso lo studio dell’avvocato ANGELOFIORE TARTAGLIA, che li

rappresenta e difende giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO ECONOMIA FINANZE (OMISSIS), AGENZIA DEL DEMANIO, MINISTERO

DIFESA (OMISSIS), in persona dei rispettivi rappresentanti pro

tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e

difende per legge;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2349/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 15/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25/05/2017 dal Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO;

Fatto

RILEVATO IN FATTO

Che:

con atto di citazione del 22 maggio 2008, C.L., G.M.C.C.L. e O.S. convenivano in giudizio, davanti al Tribunale di Roma, il Ministero della Difesa, il Ministero dell’Economia delle Finanze e l’Agenzia del Demanio, deducendo di avere ottenuto in passato in concessione dall’amministrazione della Difesa, un alloggio di servizio e che dalla data del 26 novembre 2003, sebbene le tre concessioni fossero scadute, essi detenevano sine titulo gli immobili oggetto delle concessioni, corrispondendo periodicamente all’amministrazione somme eguali al canone concessorio. Aggiungevano che era entrata in vigore la L. n. 326 del 2003 che prevedeva l’obbligo del Ministero della Difesa di alienare gli immobili aventi determinate caratteristiche, tra le quali rientravano gli alloggi occupati dagli attori, ai quali la legge aveva riconosciuto il diritto di opzione per l’acquisto dei predetti immobili. Al contrario, il Ministero della Difesa non aveva predisposto l’elenco degli immobili da porre in vendita, così ledendo il diritto degli istanti di acquistare gli alloggi ancora occupati. Sulla base di tali elementi chiedevano il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali. I convenuti si costituivano in giudizio chiedendo il rigetto delle domande;

il Tribunale di Roma, con sentenza n. 19810 del 2010 rigettava le domande degli attori che proponevano appello che, con sentenza del 15 aprile 2015 veniva rigettato, con condanna degli appellante al pagamento delle spese di lite;

avverso tale decisione propongono ricorso per cassazione C.L. e G.M.C., sulla base di un unico articolato motivo. Resistono in giudizio per il tramite dell’Avvocatura Generale dello Stato, il Ministero della Difesa, il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia del Demanio, con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Che:

con l’unico motivo di ricorso deducono violazione del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 26, comma 11 quater e omessa applicazione di tale disposizione, nonchè omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio a causa del travisamento dei fatti, l’errore sul presupposto e la manifesta, illogicità e contraddittorietà della motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

I ricorrenti lamentano la mancata valutazione del testo del citato art. 26, comma 11 quinquies, che riconosce il diritto di opzione a coloro che corrispondono allo Stato un canone o una indennità per l’occupazione dell’alloggio. Tale ipotesi rispecchia esattamente la posizione dei due ricorrenti. Deducono altresì che l’amministrazione non ha provveduto ad alienare gli alloggi, costringendo i ricorrenti a vivere in continuo stato di incertezza prolungando, sine die, i termini per la conclusione del procedimento di cartolarizzazione degli alloggi, sebbene la normativa non attribuisse alcuna discrezionalità alle amministrazioni nella selezione degli alloggi;

il motivo è infondato. La L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 43, aveva previsto che il Ministro della difesa adottasse un regolamento recante i criteri e le modalità di alienazione degli alloggi non ubicati nelle infrastrutture militari e ritenuti non più utili alle esigenze della Difesa. Il D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 26, comma 11-quater, convertito con modificazioni dalla L. 24 novembre 2003, n. 326, ha esteso agli alloggi di servizio per il personale delle Forze armate la disciplina di cui al Capo I del D.L. 25 settembre 2001, n. 351, convertito con modificazioni dalla L. 23 novembre 2001, n. 410, relativa all’alienazione del patrimonio immobiliare pubblico, mediante operazioni di cartolarizzazione.

La norma si riferiva agli alloggi: – non ubicati nelle infrastrutture militari o, se ubicati in un’infrastruttura militare, non operativamente posti al diretto e funzionale servizio dell’infrastruttura stessa, secondo quanto previsto con decreto del Ministero della difesa; – non classificati quali alloggi di servizio connessi all’incarico, occupati dai titolari dell’incarico in servizio. Inoltre, le disposizioni in questione non sarebbero state applicabili agli alloggi che, alla data di entrata in vigore della legge di conversione del Decreto-Legge, erano: – effettivamente assegnati a personale in servizio per attuali esigenze abitative proprie o della famiglia, nel rispetto delle condizioni e dei criteri di cui al citato D.M. n. 253 del 1997; – in corso di manutenzione per avvicendamento dei titolari; – occupati da soggetti ai quali sia stato notificato, eventualmente anche a mezzo di ufficiale giudiziario, il provvedimento amministrativo di recupero forzoso. Gli alloggi di servizio sono stati cartolarizzati, anche perchè il D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 26, comma 11-quater, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 novembre 2003, n. 326 è stato abrogati dalla L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 631, (legge finanziaria 2008).

La L. 24 dicembre 2007, n. 244 ha nuovamente dettato la disciplina relativa all’alienazione della proprietà, dell’usufrutto o della nuda proprietà di alloggi non più funzionali alle esigenze istituzionali provvedendo all’individuazione delle categorie di alloggi da assegnare al personale per il periodo di tempo in cui svolge particolari incarichi che richiedono la costante presenza nella sede di servizio, per una durata determinata e rinnovabile in ragione delle esigenze di mobilità ed abitative, con possibilità di opzione di acquisto mediante riscatto;

in particolare, la L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 2, comma 631, precedente alla data di notifica dell’atto di citazione, ha disposto – con l’abrogazione del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 26, comma 11-quater, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 novembre 2003, n. 326 – l’espressa previsione che gli immobili originariamente individuati per essere destinati alle procedure di vendita di cui al citato Decreto-Legge rimanevano nella disponibilità del Ministero della Difesa per l’utilizzo o per l’alienazione;

da quanto precede emerge che il comma 11 quinquies non è stato abrogato dalla normativa sopra indicata (L. n. 244 del 2007) ed il dato letterale evidenzia che la disposizione in esame allarga l’ambito di applicazione della L. n. 401 del 2001, prevedendo che il diritto di opzione spetta solo (anche) a coloro che comunque corrispondono allo Stato un canone o una indennità per l’occupazione dell’alloggio e riconoscendolo in favore di soggetti che non rivestono la qualità di conduttori, ma che comunque corrispondono allo Stato degli emolumenti connessi all’utilizzo degli immobili, non solo sotto forma di canone, ma anche a titolo di indennità per l’occupazione dell’alloggio;

in questi termini la motivazione della Corte territoriale va corretta ai sensi dell’art. 384 c.p.c., dovendosi, comunque, rilevare l’infondatezza delle censure dei ricorrenti sotto due profili. In primo luogo, non è configurabile una posizione di diritto soggettivo tutelabile perchè la disciplina non prevedeva termini vincolanti per l’attuazione della procedura di alienazione dei cespiti immobiliari.

La “fonte” della lesione (riposante, in una mera permanenza della situazione di incertezza) lamentata dai ricorrenti risiederebbe nell’omesso esaurimento delle procedure antecedenti alla data di entrata in vigore della L. n. 244 del 2007 (Consiglio di Stato, sez. 4, 16/06/2015, n. 2996);

In secondo luogo residua in capo alla amministrazione il potere di valutare l’eventuale mantenimento dell’unità abitativa nella propria disponibilità, sia nell’ipotesi in cui (come nel caso di specie) la stessa risulti posta al diretto e funzionale servizio delle basi militari (in tal senso la D.L. n. 273 del 2005, art. 4 quater, che chiarisce il significato degli alloggi “ubicati nelle infrastrutture militari”), sia per l’ipotesi di cespiti comunque ritenuti necessari per le esigenze istituzionali dell’amministrazione. Pertanto, non ha inteso attribuire ai soggetti indicati come beneficiari un diritto soggettivo ad ottenere dall’Amministrazione l’alienazione degli immobili, che resta subordinata all’apprezzamento discrezionale di questa, sulla base dei criteri generali di buona amministrazione e del perseguimento dei fini istituzionali pubblici (Sez. 1, Sentenza n. 13257 del 27/11/1999 (Rv. 531573 – 01). Appare condivisibile il principio espresso nella sentenza sopra richiamata attesa l’analogia della situazione e la identità di ratio connessa alla residua discrezionalità dell’amministrazione (la fattispecie riguardava la configurabilità di un diritto soggettivo ad ottenere dall’Amministrazione l’alienazione degli immobili a seguito della L. n. 123 del 1987, art. 19, che autorizzava l’Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato a vendere ai titolari di concessione in uso di alloggi di servizio, ai titolari di locazioni degli stessi alloggi e a coloro che continuavano ad occupare, a qualsiasi titolo, gli alloggi già avuti in regolare concessione nella qualità di dipendenti);

dalla disamina delle norme applicate e dei provvedimenti adottati, pertanto, emerge che prima di tale momento, non è configurabile una aspettativa giuridicamente tutelata di acquisto degli immobili occupati dai ricorrenti;

per il resto le censure relative all’illogicità e contraddittorietà della motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 sono inammissibili perchè il nuovo testo della norma invocata non consente tale sindacato da parte Corte;

il ricorso deve essere rigettato; le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza, dandosi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17: “Quando l’impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1-bis. Il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso”.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese in favore dei controricorrente, liquidandole in Euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza della Corte Suprema di Cassazione, il 25 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2017

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