Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25810 del 31/10/2017


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Cassazione civile, sez. III, 31/10/2017, (ud. 17/05/2017, dep.31/10/2017),  n. 25810

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25815/2014 proposto da:

ACCADEMIA NAZIONALE DI DANZA, in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI

12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende per legge;

– ricorrente –

contro

FONDAZIONE ACCADEMIA NAZIONALE DI DANZA, in persona del Presidente e

legale rappresentante p.t. Dott.ssa A.L., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA CASSIODORO 1/A, presso lo studio

dell’avvocato MARCO ANNECCHINO, che la rappresenta e difende giusta

procura a margine del controricorso;

– controrlcorrente –

avverso la sentenza n. 5866/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 21/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/05/2017 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MISTRI Corrado, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Fondazione dell’Accademia Nazionale di Danza intimò all’Accademia Nazionale di Danza sfratto per morosità a fronte del mancato pagamento di una rata trimestrale del canone dovuto per la locazione di un immobile ad uso non abitativo.

L’intimata – che pagò la rata solo dopo la notifica dell’intimazione di sfratto sostenne di avere omesso il versamento al fine di recuperare importi indebitamente versati a titolo di IVA.

Il Tribunale rigettò la domanda, ritenendo non sussistenti gli estremi della gravità dell’inadempimento.

La Corte di Appello ha riformato la sentenza, rilevando che l’art. 4 del contratto vietava al conduttore di ritardare il pagamento del canone o di far valere qualsiasi azione od eccezione se non dopo aver eseguito il pagamento delle rate scadute e ritenendo che sussistesse il requisito della gravità dell’inadempimento, “tenuto conto dell’evidente interesse del locatore al tempestivo adempimento (…) nonchè dell’entità della somma pari a ben tre mensilità del canone”.

Ha proposto ricorso per cassazione l’Accademia Nazionale di Danza, affidandosi a sette motivi; ha resistito l’intimata a mezzo di controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo denuncia l'”errata interpretazione dell’art. 4 del contratto” e la “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362 e 1365 c.c.”.

Richiamato il tenore dell’art. 4 del contratto (“il conduttore non potrà in alcun modo ritardare il pagamento del canone e degli oneri accessori oltre i termini stabiliti dalle vigenti disposizioni e non potrà far valere alcuna azione e eccezione se non dopo il pagamento delle rate scadute”), la ricorrente rileva che la clausola non escludeva la possibilità di compensare il canone con un pagamento preesistente (nel caso, quello relativo al versamento di importi non dovuti per IVA) e censura la diversa conclusione cui è pervenuta la Corte in quanto contraria ai canoni di cui agli artt. 1362 e 1365 c.c..

1.1. Il motivo è inammissibile per una duplice ragione.

In primo luogo, perchè non attinge la ratio decidendi, che è basata sull’affermazione che la sospensione del pagamento del canone non era consentita in difetto del preventivo accertamento giudiziale di una contrapposta ragione di credito (nel caso, soltanto affermata dalla conduttrice) idonea a giustificare la compensazione legale; la ricorrente non coglie questa ratio e sostiene che sarebbe stata, invece, sufficiente la mera contrapposizione di una pretesa restitutoria per giustificare il mancato pagamento del canone, in contrasto con l’espresso tenore dell’art. 4 del contratto e con i consolidati orientamenti di legittimità (cfr. Cass. n. 4382/1987 e Cass. n. 1870/1997).

In secondo luogo, perchè non risulta effettivamente prospettata alcuna specifica violazione dei canoni ermeneutici indicati in rubrica e la censura appare volta piuttosto a sollecitare una lettura alternativa della clausola contrattuale, tale da escludere dal suo ambito di operatività l’ipotesi della sospensione del pagamento correlata a un asserito precedente pagamento di somme non dovute.

2. Il secondo motivo prospetta la “violazione e/o falsa applicazione del comb. disp. art. 1341 c.c. e art. 1342 c.c., comma 2″: rilevato che la Corte aveva interpretato l’art. 4 del contratto come clausola limitativa della facoltà del conduttore di proporre qualunque eccezione, la ricorrente deduce la nullità della clausola in quanto contenuta in un contratto concluso mediante moduli o formulari e non specificamente approvata per iscritto.

2.1. Il motivo è infondato in quanto dalla prospettazione della ricorrente non risulta che la clausola, pur contenuta in contratto concluso mediante moduli, fosse stata anche predisposta dalla locatrice, così da richiedere la specifica approvazione scritta della conduttrice.

Il tutto a prescindere dalla novità della questione della nullità della clausola (che non risulta trattata dal giudice di appello e rispetto alla quale la ricorrente non ha indicato se, come e quando l’abbia dedotta nelle fasi di merito).

3. Il terzo motivo denuncia l'”omessa pronuncia sull’eccezione di adempimento per compensazione” e la “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.”, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4: censura la Corte per avere omesso di “esaminare nel merito l’eccezione di avvenuto pagamento sollevata dall’Accademia, verificando se l’IVA fosse o meno dovuta e se gli importi corrisposti dall’Accademia a tale titolo fossero sufficienti a coprire la 4^ rata del canone”, “omettendo di pronunciarsi sulla debenza o meno dell’IVA, e, in particolare sulla sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 673 del 1972, artt. 4 e 10, perchè potesse ritenersi operante, nel caso di specie, l’esenzione dall’IVA del contratto di locazione concluso fra le parti”.

3.1. Il motivo è inammissibile in quanto privo di concreto interesse: premesso che la conduttrice si era riservata di agire in separato giudizio e non aveva richiesto sulla questione un’espressa pronuncia preliminare alla valutazione della gravità dell’inadempimento (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata), deve rilevarsi che, una volta affermata l’illegittimità del mancato pagamento del canone in difetto del preventivo accertamento della sussistenza di un credito da opporre in compensazione, la Corte non era tenuta ad accertare se tale credito sussistesse effettivamente, giacchè la morosità nel pagamento del canone (sospeso unilateralmente) si era comunque determinata e doveva soltanto esserne valutata la gravità ai fini della risoluzione del contratto;

4. Il quarto motivo deduce la “violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 4,10”, sostenendo “non debenza dell’IVA, fondatezza della imputazione delle somme indebitamente versate al pagamento della 4^ rata, insussistenza dell’inadempimento”.

4.1. La censura è assorbita dalla ritenuta inammissibilità della precedente.

5. Col quinto motivo, viene dedotta, “in via subordinata, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132, comma 2, n. 5 (rectius: 4) per motivazione apparente”, assumendosi che la motivazione relativa alla gravità dell’inadempimento è “del tutto apparente ed anche intrinsecamente contraddittoria”, in quanto basata su due elementi (ossia l’interesse del creditore al tempestivo adempimento e l’entità dell’inadempimento corrispondente a ben tre mensilità del canone) che “nulla affermano sulla gravità dell’inadempimento che costituisce valutazione autonoma rispetto alla sua esistenza e colpevolezza”.

6. Il sesto motivo, formulato “in via ulteriormente subordinata”, denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1455 c.c., evidenziando che, a fronte del ritardato pagamento di una sola rata, non era emerso che la lesione dell’interesse del locatore ad ottenere il pagamento dei canoni avesse subito una pur minima lesione, tale da compromettere l’equilibrio delle prestazioni e l’interesse della Fondazione alla prosecuzione del rapporto locatizio.

7. In via “ulteriormente gradata”, il settimo motivo deduce l’omesso esame di un fatto decisivo, individuato nella “circostanza che l’inadempimento riguardava un’unica rata del canone” in relazione ad un contratto di durata sessennale e rinnovabile per un ulteriore sessennio.

8. Gli ultimi tre motivi – che possono essere esaminati congiuntamente – sono infondati.

Escluso che la motivazione in punto di gravità dell’inadempimento sia apparente o contraddittoria, deve rilevarsi che la Corte ha individuato un elemento oggettivo (costituito dalla circostanza che era stato omesso il pagamento di tre canoni) che è, di per sè, astrattamente idoneo a connotare l’inadempimento in termini di gravità e che la valutazione compiuta in tal senso dalla Corte costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità.

9. Le spese di lite seguono la soccombenza.

10. Trattandosi di ricorso proposto successivamente al 30.1.2013, sussistono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese di lite, liquidate in Euro 2.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 17 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2017

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