Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25808 del 18/11/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 25808 Anno 2013
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: FALASCHI MILENA

rapporto densità
fondiaria e dal
confine

SENTENZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 30007/07) proposto da:
RUSSO ROSALIA e RUSSO MARIA GIOVANNA, rappresentate e difese, in forza di procura
speciale a margine del ricorso, dall’Aw.to Calogero Di Stefano del foro di Palermo ed
elettivamente domiciliate presso lo studio Di Stefano in Roma, via Giuseppe Zanardelli n. 23;
– ricorrenti –

contro
RUSSO MARIA ROSALIA, in qualità di erede del padre Russo Mariano (deceduto il 13.11.2004),
rappresentata e difesa dall’Aw.to Alessandro Italo Massucci del foro di Roma, in virtù di procura
.speciale apposta in calce al controricorso, ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in
Roma, viale Medaglie D’Oro n. 199;
– controricorrente –

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)V(1

Data pubblicazione: 18/11/2013

e contro
RUSSO MATTEA
– intimata –

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 19 settembre 2013 dal
Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;
uditi gli Avv.ti Calogero Di Stefano, per parte ricorrente, e Italo Alessandro Masucci, per
parte resistente;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Rosario
Giovanni Russo, che ha concluso per la manifesta infondatezza del ricorso, con condanna
aggravata alle spese ex art. 385, comma 4, c.p.c..

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 19 luglio 1990 Mariano RUSSO evocava, dinanzi al Tribunale di
Palermo, Mattea RUSSO, Rosalia RUSSO e Maria Giovanna RUSSO esponendo di essere
proprietario di un fondo rustico sito in Trappeto c.da Piano d’Inferno e che le convenute,
proprietarie del terreno confinante, avevano realizzato sullo stesso due villini, non rispettando né il
rapporto relativo alla densità fondiaria, né la distanza rispetto al suo confine, in quando — secondo
le norme di attuazione afferenti il Programma Urbanistico comprensoriale — la distanza minima da
osservare rispetto al confine sarebbe stata di dieci metri lineari; chiedeva, pertanto, che le
convenute fossero condannate ad arretrare i loro corpi di fabbrica sino alla distanza di dieci metri
dal confine con il proprio fondo, in subordine, al risarcimento dei danni.
Instaurato il contraddittorio, nella resistenza delle RUSSO Rosalia e Maria Giovanna, il giudice
adito, espletata istruttoria, anche con c.t.u., accoglieva la domanda di arretramento della

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avverso la sentenza della Corte d’appello di Palermo n. 633 depositata il 20 giugno 2007.

costruzione realizzata dalle convenute sino alla distanza di dieci metri dal confine del fondo
dell’attore.
In virtù di rituale appello interposto da tutte le convenute RUSSO, con le quali lamentavano — tra

appello di Palermo, nella resistenza dell’appellato, il quale decedeva nelle more del giudizio e si
costituiva in suo luogo l’erede Russo Maria Rosalia, rigettava il gravame e per l’effetto
confermava la decisione impugnata.
A sostegno della decisione adottata la corte territoriale evidenziava che secondo consolidato
orientamento della corte di legittimità le norme dei piani regolatori andavano distinte fra quelle
tendenti a soddisfare interessi di carattere generale e quelle di carattere integrativo del codice
civile sulle distanze legali fra fabbricati; solo da queste ultime nasceva accanto al vincolo di diritto
pubblico, anche il diritto del privato a pretenderne l’osservanza, secondo l’estensione fissata
dall’art. 872 c.c. con la riduzione in pristino. Aggiungeva che quando le norme regolamentari, in
particolare le norme tecniche di attuazione dei piani regolatori, stabilivano determinate distanze
dal confine, poiché si trattava di norme integratrici di quelle del codice civile in materia di distanze,
non era consentito edificare sul confine e di conseguenza non operava il principio di prevenzione,
salvo una espressa previsione derogativa della stessa normativa regolamentare. Tanto precisato,
dal testo del piano comprensoriale del Comune di Trappeto vigente all’epoca, la distanza di una
costruzione dal confine non poteva essere inferiore a dieci metri ed in osservanza del principio
giurisprudenziale, secondo il quale allorchè il regolamento edilizio locale prevedeva una distanza
minima fra costruzioni, non poteva costruirsi sul confine, non operava il principio della
prevenzione, non potendo conciliarsi con il carattere assoluto della prescrizione regolamentare.
Concludeva sull’irrilevanza del c.d. condono edilizio nei rapporti di vicinato di cui agli artt. 873 e ss
c.c., riguardando la concessione solo l’aspetto formale dell’attività costruttiva.

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l’altro – che il giudice di primo grado non avesse utilizzato il principio di prevenzione, la Corte di

Avverso la indicata sentenza della Corte di appello di Palermo proponevano ricorso per
cassazione Maria Giovanna e Rosalia RUSSO, affidato a due motivi, al quale ha resistito Maria
Rosalia RUSSO, con controricorso, non costituita l’intimata Mattea Russo.

Con il primo motivo le ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione degli artt. 873 e
872 c.c., nonché delle norme di attuazione del piano comprensoriale urbanistico n. 3 approvato
con D.A.R.S. n. 66/A del 16 aprile 1975 per essere il ragionamento della corte di merito
assolutamente non condivisibile fondandosi sull’erroneo presupposto che la norma edilizia
regolamentare vigente nel Comune di Trappeto prevedesse una distanza minima, di dieci metri,
dal confine per le costruzioni realizzate nella zona omogenea “E”, in cui ricade il fondo di loro
proprietà, in ciò riportando un’interpretazione soggettiva della norma fornita dal c.t.u..
Proseguono le ricorrenti che il Comune di Trappeto al momento della esecuzione delle opere
aveva il P.C.U., in particolare l’art. 19 delle norme di attuazione dello strumento urbanistico
generale per le costruzioni da edificare nelle zone territoriali omogenee “E” prescriveva una
distanza minima di fabbricati di venti metri, ma nessun distacco minimo degli immobili rispetto al
confine, previsto, di converso, nelle altre zone omogenee, per cui nel caso di specie avrebbe
dovuto trovare applicazione il principio della prevenzione. A corollario del mezzo è posto il
seguente quesito di diritto: “Se in materia di distanze legali fra costruzioni edificate su fondi
finitimi è applicabile il principio della prevenzione allorquando la disciplina urbanistica locale
prescrive soltanto un distacco minimo tra fabbricati e non tra fabbricati ed il confine e se a chi
costruisce per primo è consentito erigere la propria fabbrica a distanza, rispetto al confine con il
fondo limitrofo, inferiore alla metà di quella totale prescritta tra le costruzioni e per l’effetto non va
ordinata la riduzione in pristino”.

Il motivo non può trovare ingresso.

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MOTIVI DELLA DECISIONE

Le stesse ricorrenti non mettono in dubbio l’esattezza del principio, affermato in giurisprudenza
(Cass. n. 14261 del 2005; Cass. n. 627 del 2003), secondo cui quando il regolamento edilizio
locale prevede una distanza minima della costruzione dal confine non solo, com’è owio, non può

conciliarsi con il carattere assoluto della relativa prescrizione normativa, che va rispettata anche
se il fondo del vicino sia inedificato (vedi “ex multis” Cass. 13 dicembre 1999, n. 13963; Cass. 9
aprile 2002 n. 4895; da ultimo: Cass. 19 luglio 2006 n. 16574; Cass. 22 febbraio 2007 n. 4199 e
Cass. 5 dicembre 2007 n. 25401).
Nel caso di specie, pacifico che i villini (insistenti in zona destinata a verde agricolo (“E”)) siano
stati costruiti dalle RUSSO in vigenza del Piano Urbanistico Comprensoriale n. 3, è irrilevante il
richiamo all’art. 19 dello strumento urbanistico generale del Comune di Trappeto (norma che
peraltro non ha formato oggetto di specifica contestazione nei precedenti gradi di merito), dal
momento che è lo stesso piano comprensoriale n. 3 del Comune di Trappeto a prevedere che per
l’utilizzazione delle aree, a fini edificativi, è stabilita la distanza minima di una costruzione dal
confine non inferiore a dieci metri, per cui si tratta di misura fissata in un minimo assoluto.
Tanto premesso, l’interpretazione del’piano comprensoriale n. 3, approvato con D.A.R.S. n. 68/A
del 16 aprile 1975, fornita dalla Corte di merito si sottrae alle censure che le sono state rivolte,
atteso che dalle disposizioni sopra richiamate emerge senza dubbio la volontà della fonte
normativa locale di stabilire una distanza della costruzione dal confine, indicazione questa che,
attese le espressioni usate, ha senz’altro valore precettivo ed integra, di per sè, elemento
sufficiente per escludere non solo, come si è detto, la facoltà di edificare sul confine, ma anche
l’operatività del criterio della prevenzione.
Nè in contrario può assumere rilievo la considerazione che il regolamento non determinerebbe
tale distanza con un minimo assoluto, così come previste dalla citata disposizione del
regolamento edilizio generale. La dedotta circostanza, se pone un problema in ordine alla

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costruirsi sul confine, ma non opera, altresì, il criterio della prevenzione, non potendo esso

determinazione in concreto della distanza prescritta, sembra infatti, al fine qui considerato, del
tutto irrilevante, tenuto conto che sul punto il testo regolamentare di cui all’art. 19 non appare in
grado di incidere sulla regola del P.U.C. che prescrive una distanza della costruzione dal confine,

Il secondo motivo lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. alla luce
delle considerazioni che precedono e culmina nel seguente quesito di diritto: “Se è legittima la
condanna di una parte al rimborso delle spese a favore dell’altra parte, nell’ipotesi in cui il giudice
di merito abbia risolto una controversia sulla base della errata valutazione ed individuazione dei
presupposti di fatto e di diritto”.
Anche detto motivo non è fondato.
Le conclusioni cui si è pervenuti con riferimento alle precedenti censure rendono pienamente
corretta la statuizione adottata dalla Corte di merito in ordine alle spese dei gradi di merito
secondo il principio della soccombenza, consequenziale ed accessoria a quella con cui è stata
sancita la soccombenza, la cui motivata adozione consente, perciò, di escludere la sussistenza
della violazione contestata (v. anche Cass. 22 marzo 2007 n. 6945 e Cass. 7 luglio 2006 n.
15431).
Conclusivamente, il ricorso è rigettato.
Le spese del giudizio di Cassazione seguono la soccombenza e, liquidate come in dispositivo,
sono posta a carico delle ricorrenti.
Infine osserva il Collegio che nessun provvedimento può adottarsi ai sensi dell’art. 385, comma 4,
c.p.c., come richiesto dal P.G.. Dispone – infatti – la invocata disposizione (introdotta con
decorrenza dal 2 marzo 2006 dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 12, e abrogata con

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eliminandole il valore e gli effetti che le sono propri e che sono stati sopra evidenziati.

decorrenza dal 4 luglio 2009 dalla legge 18 giugno 2009, n. 699, art. 46) che quando pronuncia
sulle spese .. la Corte, anche d’ufficio, condanna al pagamento.. .di una somma.
Certo quanto precede, non può essere accolta la istanza del Procuratore Generale, in quanto

consapevolmente contraria alla buona fede o ad un uso strumentale del processo (Cass. SS.UU.
25831 del 2007; di recente, Cass. 8 maggio 2013 n. 10720).

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di
Cassazione, che liquida in complessivi E. 2.200,00, di cui E. 200,00 per esborsi.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione Civile, il 19 settembre 2013.

l’infondatezza palese dei motivi di ricorso non appare sostenuta da una condotta

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