Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25806 del 23/09/2021

Cassazione civile sez. trib., 23/09/2021, (ud. 11/02/2021, dep. 23/09/2021), n.25806

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –

Dott. MAISANO Giulio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21923-2014 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

C.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA F.

SIACCI 4, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO VOGLINO,

rappresentato e difeso dall’avvocato FABIO BENINCASA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2651/2014 della COMM. TRIB. REG. CAMPANIA,

depositata il 17/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’11/02/2021 dal Consigliere Dott. GIULIO MAISANO;

 

Fatto

RILEVATO

che:

Con sentenza n. 2651/31/14, pubblicata il 17 marzo 2014, non notificata, la Commissione tributaria regionale della Campania ha rigettato l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Caserta n. 573/15/12 con la quale era stato accolto il ricorso proposto da C.L. avverso l’avviso di accertamento n. (OMISSIS), con il quale era stato recuperato a tassazione per l’anno 2007 il maggior reddito di capitale corrispondente alla quota di partecipazione del 50% della società Azienda Casearia C. La Casertana s.r.l. di cui era socio, per la quale era stato accertato un maggior reddito d’impresa per lo stesso anno d’imposta.

La Commissione tributaria regionale ha considerato valido il principio per cui l’accertamento nei confronti del socio presuppone la definitività dell’accertamento nei confronti della società anche se tale ultimo accertamento è comunque divenuto definitivo nelle more del giudizio; inoltre la stessa Commissione tributaria regionale ha considerato che la distribuzione degli utili ai soci in caso di società di capitali a ristretta base azionaria è sorretta da presunzione semplice che fa salva la possibilità per il contribuente di provare la mancata percezione degli utili oggetto dell’accertamento e, nel caso in esame, il contribuente aveva provato tale mancata distribuzione con abbondante documentazione relativa alle azioni poste in essere nei confronti dell’amministratore della società proprio per lamentare la mancata distribuzione degli utili stessi.

L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza articolato su due motivi.

C.L. resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 47, e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41 bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. In particolare si deduce che il citato art. 41 bis non impone affatto la notifica dell’avviso di accertamento nei confronti del socio di una società di capitali solo dopo che l’accertamento emesso nei confronti della società sia divenuto definitivo, essendo invece sufficiente sospendere il giudizio relativo all’accertamento nei confronti del socio in attesa che l’accertamento nei confronti della società sia divenuto definitivo, circostanza che nella specie è comunque avvenuta stante l’incontestata definitività di tale accertamento maturata nel corso del giudizio, ma giammai dalla mancata definitività dell’accertamento nei confronti della società conseguirebbe la nullità dell’accertamento nei confronti del socio.

2. Con il secondo motivo si assume violazione e falsa applicazione degli artt. 2697,2727 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con riferimento alla presunzione, sia pure semplice, di distribuzione degli utili ai soci anche nelle società di capitali a ristretta base partecipativa.

3. Giova esaminare preliminarmente per comodità di esposizione il secondo motivo, che deve ritenersi inammissibile, non cogliendo propriamente la censura la ratio decidendi ivi esposta dalla decisione della CTR.

3.1. Essa, invero, non disconosce il principio della presunzione semplice di distribuzione degli utili extracontabili in caso, come nella fattispecie in esame, di società di capitali a ristretta base partecipativa, ma si basa sull’affermato superamento della stessa in forza della prova contraria offerta dal contribuente, previo esame, quindi, da parte del giudice di merito, delle risultanze processuali acquisite, avendo quindi ritenuto la CTR a tal fine idonee le prove documentali offerte dal socio, che ha comprovato il dissenso con il socio amministratore e le iniziative giudiziarie volte proprio al conseguimento della documentazione contabile che gli consentisse di svolgere il controllo previsto dall’art. 2476 c.c..

3.2. Ne consegue che la censura espressa con detto motivo di ricorso dall’Amministrazione ricorrente per violazione o falsa applicazione delle norme di diritto di cui in rubrica, che presuppongono la violazione sullo stesso piano logico – giuridico del ragionamento inferenziale nonché del riparto in tema di onere della prova è inammissibile, non cogliendo la ratio decidendi in oggetto, con la quale la CTR ha correttamente applicato i principi esposti in materia dalla giurisprudenza di questa Corte, ritenendo nel merito, con valutazione congrua sottratta al sindacato di questa Corte, idonea al superamento della succitata presunzione la prova contraria offerta dal contribuente.

4. A ciò consegue che anche il primo motivo, con il quale l’Amministrazione ricorrente censura la statuizione (in sé erronea) in punto di necessità della notifica l’avviso di accertamento nei confronti del socio di società di capitali a ristretta base partecipativa solo dopo che quello emesso nei confronti della società, deve essere dichiarato inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse.

5. Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso, in disparte ulteriori profili d’inammissibilità pur dedotti dal controricorrente, deve essere pertanto dichiarato inammissibile, stante la definitività conseguita dall’altra autonoma statuizione esaminata riguardo al secondo motivo di ricorso.

6. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

7. Rilevato che risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.100,00 per compensi, oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15%, Euro 200,00 per esborsi ed accessori legge.

Così deciso in Roma, nella Ccamera di consiglio, il 11 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2021

 

 

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