Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25806 del 13/11/2020

Cassazione civile sez. lav., 13/11/2020, (ud. 16/09/2020, dep. 13/11/2020), n.25806

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10245-2015 proposto da:

A.I., A.T., C.D.,

C.M.T., F.A., N.D., P.G.,

T.G., V.D.O., tutti elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA NAZARIO SAURO 16, presso lo studio dell’avvocato STEFANIA

REHO, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato MASSIMO

PISTILLI;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA, in

persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia

ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3215/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 11/04/2014 R.G.N. 10021/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/09/2020 dal Consigliere Dott. TORRICE AMELIA.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

1. questa Corte con la sentenza n. 27745 del 2011, in accoglimento del ricorso proposto dal Ministero dell’Istruzione Università e Ricerca, ha cassato la sentenza della Corte di Appello di Roma che aveva confermato la sentenza di primo grado che aveva accolto la domanda proposta dagli odierni ricorrenti, appartenenti all’area del personale amministrativo tecnico ed ausiliario della scuola, volta all’accertamento del diritto al riconoscimento integrale dell’anzianità maturata alle dipendenze dell’ente locale prima del trasferimento nei ruoli del Ministero, disposto ai sensi della L. 3 maggio 1999, n. 124;

2. con la sentenza rescindente questa Corte, cassata la sentenza gravata, ha rinviato alla stessa Corte d’Appello di Roma per un nuovo esame, finalizzato a “verificare la sussistenza o meno di un peggioramento retributivo sostanziale all’atto del trasferimento”;

3. la sentenza rescindente, in consonanza con i principi affermati dalla Corte di Giustizia, ha indicato i criteri in base ai quali siffatto accertamento avrebbe dovuto essere effettuato ed ha precisato che: a) quanto ai soggetti la cui posizione va comparata, il confronto è con le condizioni immediatamente antecedenti al trasferimento dello stesso lavoratore trasferito e non ostano eventuali disparità con i lavoratori che all’atto del trasferimento erano già in servizio presso il cessionario; b) quanto alle modalità, si deve trattare di “peggioramento retributivo sostanziale” e la comparazione deve essere “globale” e, quindi, non limitata allo specifico istituto; c) quanto al momento da prendere in considerazione, il confronto deve essere fatto “all’atto del trasferimento”;

4. il giudizio di rinvio è stato definito dalla Corte d’Appello di Roma con la sentenza qui impugnata che ha ritenuto infondata l’originaria domanda proposta dagli attuali ricorrenti ed ha conseguentemente accolto il gravame del Ministero, riformando la pronuncia di prime cure e compensando fra le parti le spese di tutti i gradi di giudizio;

5. il giudice del rinvio ha ritenuto che non era stato allegato e dimostrato un peggioramento retributivo sostanziale collegato al trasferimento perchè, al contrario, dalle buste paga allegate dai ricorrenti risultava che non si era verificato alcun peggioramento retributivo complessivo;

6. per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso A.I. e gli altri ricorrenti indicati in epigrafe sulla base un unico motivo, illustrato da successiva memoria, ai quali ha resistito con tempestivo controricorso il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

7. i ricorrenti con l’unico motivo di ricorso denunciano “violazione ed errata interpretazione della L. n. 124 del 1999, art. 8, – Incostituzionalità della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 218. – Violazione dei principi generali del vigente diritto comunitario – Violazione dell’obbligo internazionale derivante all’Italia dall’art. 6/1 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo”;

8. addebitano alla sentenza impugnata di essersi limitata ad esaminare le sole buste paga al fine di verificare se vi era stato un depauperamento patrimoniale di ciascun lavoratore all’atto del transito, per tal via legittimando il criterio di temporizzazione eliso dalla giurisprudenza Europea dall’ordinamento “perchè consacrato da norma dichiarata illegittima perchè contraria alla CEDU”; asseriscono che la Corte territoriale, pur avendo deciso la controversia alla luce dei criteri indicati nella sentenza rescindente, non poteva “prescindere da criteri sovranazionali che avrebbero dovuto ispirare il convincimento nella verifica della posizione globalmente sfavorevole” e addebitano alla sentenza impugnata di avere disapplicato la sentenza Agrati della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo; assumono che la sentenza rescindente aveva esaminato soltanto la sentenza della Corte di Giustizia evidenziando che questa non si era pronunciata sulla quarta questione pregiudiziale posta dal Tribunale di Venezia concernente l’applicazione dell’art. 47 della Carta di Nizza e l’art. 6 della Convenzione; asseriscono che la sentenza rescissoria avrebbe dovuto applicare i criteri dettati dalla sentenza rescindente alla luce dei principi della sentenza Agrati;

9. il ricorso è inammissibile perchè, nell’invocare un’interpretazione della normativa interna orientata al rispetto della giurisprudenza della Corte EDU, finisce per sollecitare una revisione del principio di diritto affermato nella sentenza rescindente;

10. quest’ultima, pronunciata dopo l’intervento della Corte di Giustizia e della Corte E.D.U. (la sentenza è stata pubblicata il 20 dicembre 2011, successivamente alla pubblicazione della sentenza Agrati ed altri contro Italia del 7 giugno 2011, della quale si dà conto nella motivazione e alla sentenza, CGUE del 6.9.2011 C-108/10 Scattolon), ha ribadito l’efficacia retroattiva della L. n. 266 del 2005, art. 1; ha richiamato i quattro interventi del Giudice delle leggi, che hanno escluso profili di illegittimità costituzionale della norma di interpretazione autentica; ha ritenuto che il complesso normativo fosse, appunto, costituito dalle L. n. 124 del 1999 e L. n. 266 del 2005 e che, sulla base del diritto Eurounitario, come interpretato dalla Corte di Lussemburgo, la domanda potesse trovare accoglimento solo nell’ipotesi di accertato peggioramento retributivo sostanziale; ha evidenziato che la quarta ed ultima questione posta dal Tribunale di Venezia, atteneva alla conformità della disciplina italiana e specificamente della Legge Finanziaria del 2006, art. 1, comma 218, all’art. 6, n. 2 TUE in combinato disposto con l’art. 6 della CEDU e artt. 46 e 47 e art. 52, n. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, come recepiti nel Trattato di Lisbona, la CGUE con la sentenza del 6.9.2011 C-108/10 Scattolon, dando attof della pronunzia emessa il 7 giugno 2011 dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, che aveva statuito che “vista la risposta data alla seconda ed alla terza questione, non c’è più bisogno di esaminare se la normativa nazionale in oggetto, quale applicata alla ricorrente nella causa principale, violi i principi” di cui alle norme su indicate;

11. a norma dell’art. 384 c.p.c., comma 2, l’enunciazione del principio di diritto vincola il giudice di rinvio che ad esso deve uniformarsi, con conseguente preclusione della possibilità di rimettere in discussione questioni, di fatto o di diritto, che siano il presupposto di quella decisione, e di tener conto di eventuali mutamenti giurisprudenziali della stessa Corte, anche a Sezioni Unite, non essendo consentito in sede di rinvio sindacare l’esattezza del principio affermato dal giudice di legittimità (cfr. fra le tante Cass. n. 11290/1999; Cass. n. 16518/2004; Cass. n. 23169/2006; Cass. n. 17353/2010; Cass. n. 1995/2015);

12. dall’irretrattabilità del principio di diritto discende che la Corte di Cassazione, nuovamente investita del ricorso avverso la sentenza pronunziata dal giudice di merito, deve giudicare muovendo dalla “regula iuris” in precedenza enunciata, perchè l’efficacia vincolante, che si estende anche alle premesse logico-giuridiche della decisione adottata oggetto di giudicato implicito interno (Cass. n. 17353/2010 e Cass. n. 20981/2015), viene meno solo qualora la norma, in epoca successiva alla pubblicazione della pronuncia rescindente, sia stata dichiarata costituzionalmente illegittima ovvero sia divenuta inapplicabile per effetto di ius superveniens (cfr. fra le tante Cass. n. 20128/2013; Cass. n. 13873/2012; Cass. n. 17442/2006);

13. tali ultime condizioni non ricorrono nel caso di specie, perchè il quadro normativo è rimasto immutato rispetto a quello apprezzato dalla sentenza rescindente, che ha con chiarezza indicato i limiti del giudizio di rinvio, subordinando l’accoglimento dell’originaria domanda all’esito dell’accertamento di fatto, effettuato dalla Corte territoriale in termini negativi per gli originari ricorrenti;

14. in via conclusiva, in continuità con l’orientamento già espresso da questa Corte in fattispecie analoghe (cfr. fra le più recenti Cass. n. 8213/2020, Cass. n. 6949/2019, Cass. n. 6000/2019Cass. n. 30916/2018, Cass. n. 30266/2018, Cass. n. 29938/2018, Cass. n. 29936/2018, Cass. n. 28033/2018), il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

15. le spese del giudizio di legittimità vanno regolate secondo il principio della soccombenza e poste a carico dei ricorrenti nella misura indicata in dispositivo;

16. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso.

Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 8.000,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale, il 16 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2020

 

 

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