Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25805 del 31/10/2017


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Cassazione civile, sez. III, 31/10/2017, (ud. 29/03/2017, dep.31/10/2017),  n. 25805

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso depositato nel 2011, LA GIOIA di Y.S. & C. s.a.s. chiese al Tribunale di La Spezia la risoluzione per inadempimento e, in subordine, per impossibilità sopravvenuta, del contratto di locazione avente ad oggetto un immobile ad uso commerciale, stipulato con la locatrice ALTHAR S.r.l., deducendo l’inadempimento di quest’ultima, la quale, obbligatasi ad eseguire opere di ristrutturazione dell’immobile entro la data del 10 maggio 2010 prevista per la consegna del bene, non aveva mai provveduto a tanto nè aveva mai consegnato l’immobile, e chiese, altresì, la condanna della convenuta al risarcimento dei danni, pari all’importo capitale di Euro 250.000,00.

Il Giudice adito, con decreto del 6 aprile 2011, accolse il ricorso per sequestro conservativo proposto dalla conduttrice nei confront della locatrice e confermò tale provvedimento con successiva ordinanza e dispose poi, a seguito del versamento della somma di 79.000,00, la sostituzione dell’oggetto del sequestro con fideiussione bancaria dell’importo di Euro 20.000,00.

La ALTHAR S.r.l., costituendosi nel giudizio di merito, chiese la risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta, esponendo che: a fine marzo – inizio di aprile del 2010 all’interno dell’immobile locato si era verificato un fenomeno esondativo di liquami provenienti dalla sottostante fognatura con allagamento anche di acque di scarico, ivi riversate per l’intasamento dei pluviali; tali eventi avevano determinato il sollevamento della pavimentazione esistente nei locali con scollamento di mattonelle, il distacco dell’intonaco e l’imbibimento idrico dei muri perimetrali, con conseguente inutilizzabilità dell’immobile; le fognature e i pluviali raccoglievano liquami e acque meteoriche del soprastante Condominio di (OMISSIS); dell’accaduto erano stati informati sia la conduttrice che il predetto Condominio, al quale erano stati indicati gli interventi necessari; i lavori, iniziati nel febbraio 2011, erano stati completati nel successivo mese di aprile, a spese del Condominio, che doveva ritenersi responsabile di tali fenomeni ed esclusivo responsabile dei danni lamentati dalla conduttrice ricorrente. Il resistente chiese, quindi, ed ottenne, di chiamare in causa in garanzia il predetto Condominio.

Nel costituirsi il terzo chiamato in causa, per quanto ancora rileva in questa sede, dedusse l’infondatezza della domanda attorea, sostenendo che, essendo la società ricorrente inattiva, l’immobile locato, inutilizzato da un decennio, non era in buono stato di conservazione, necessitando di radicali interventi di risanamento, situazione, questa, facilmente riconoscibile dalla società conduttrice; contestò la domanda risarcitoria proposta e chiese ed ottenne di chiamare in causa la propria società assicuratrice, AVIVA Italia S.p.a..

Si costituì in giudizio anche tale chiamata in causa che, tra l’altro, si associò alle deduzioni del condominio in relazione allo stato di abbandono dell’immobile locato prima di essere reso abitabile, oppose che le infiltrazioni di acqua erano derivate dalla mancanza di vetri alle finestre e che, ai sensi di polizza, non erano indennizzabili i danni conseguenti al mancato adeguamento degli scarichi del Condominio, il quale, una volta venuto a conoscenza dei difetti fognari, si era subito attivato per la sistemazione degli stessi.

Il Tribunale adito, con sentenza del 13 febbraio 2013, pronunciò la risoluzione del contratto di locazione in questione per inadempimento della società locatrice che condannò al risarcimento dei danni, liquidati, in favore della conduttrice, in Euro 170.000,00, oltre interessi legali dalla domanda al saldo, rigettò ogni altra domanda e regolò tra le parti le spese di lite.

Avverso tale decisione ALTHAR S.r.l. propose appello, cui resistettero il Condominio, che propose pure impugnazìone incidentale, LA GIOIA di Y.S. & C. s.a.s. e AVIVA ITALIA S.p.a..

La Corte di appello di Genova, con sentenza pubblicata il 17 gennaio 2014, rigettò l’appello principale e, in accoglimento dell’appello incidentale proposto dal Condominio, riformò la sentenza impugnata in relazione al solo capo inerente alla statuizione sulle spese del giudizio nel rapporto tra ALTHAR S.r.l. e Condominio; condannò ALTHAR S.r.l. al rimborso nei confronti del Condominio delle spese di giudizio di primo grado nonchè al rimborso delle spese del secondo grado in favore di tutti gli appellati.

Avverso la sentenza della Corte di merito ALTHAR S.r.l. ha proposto ricorso per cassazione basato su tre motivi e illustrato da memoria.

Ha resistito con controricorso, pure illustrato da memoria, il solo Condominio di (OMISSIS).

Gli intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il Collegio ha disposto la redazione della sentenza con motivazione semplificata.

2 Con il primo motivo si lamenta “Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti: distinzione fra quanto oggetto di intervento nella proprietà privata Althar S.r.l. e quanto oggetto di intervento nella proprietà condominiale; il tutto con riferimento al disposto dell’art. 360 c.p.c., n. 5”.

Ad avviso della ricorrente, la Corte di merito e il Tribunale spezzino non avrebbero “tenuto in alcuna considerazione la distinzione e l’entità dei lavori eseguiti poi dal condominio per la sistemazione definitiva di tutto l’impianto fognario condominiale” e i lavori da eseguire in base alle pattuizioni del contratto di locazione.

3.1. Il motivo è inammissibile, atteso che, risultando dalla stessa sentenza impugnata (v. p. 11) che il ricorso in appello è stato depositato in data 25.7.2013, va applicato al riguardo l’art. 348-ter c.p.c., u.c.. Si evidenzia, infatti, che nell’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dalla norma indicata (applicabile, ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), il ricorrente in cassazione – per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, (nel testo riformulato dal D.L. n. 83 cit., art. 54, comma 3, ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012) deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse.

Nel caso all’esame, invece, la ricorrente ha rappresentato che la lamentata omissione sarebbe da imputare ai giudici di entrambi i gradi di giudizio (v. ricorso p. 16) ma non ha evidenziato l’eventuale diversità di tali ragioni di fatto.

3. Con il secondo motivo si lamenta “Falsa applicazione di una norma di diritto per erroneo richiamo al disposto dell’art. 1134 c.c. con riferimento al danno alla cosa comune. Il tutto ex art. 360 c.p.c., n. 3”.

Deduce la ricorrente che la Corte di merito, nonostante la sentenza di primo grado non abbia fatto specifico riferimento all’art. 1134 c.c., ha ritenuto che il Tribunale abbia a tale norma inteso far riferimento, e, pur sollevando dubbi sull’applicabilità della stessa, detta Corte ha rilevato che lo strumento più ovvio e di indiscussa applicazione nella disponibilità della società locatrice, al fine di rendersi adempiente alle proprie obbligazioni verso la parte conduttrice, sarebbe stata l’immediata attivazione nei confronti del condominio di un procedimento cautelare ai sensi dell’art. 700 c.p.c.. Secondo la ricorrente, il fatto di non aver iniziato una procedura ex art. 700 c.p.c. non comporterebbe alcun riconoscimento di una sua responsabilità e che sarebbe evidente l’inapplicabilità del disposto dell’art. 1134 c.c. nella fattispecie all’esame, trattandosi, ad avviso dell’ALTHAR S.r.l., di norma “applicabile solo come facoltà e non come obbligo, per la salvaguardia della cosa comune, e non per un interesse soggettivo quale quello del concludere, in termini, un contratto di locazione”. Sostiene la ricorrente che ove si fosse attivata, come “suggerito” dalla Corte di merito, “non avrebbe poi avuto modo di ottenere il ristoro di quanto ottenuto per spese difettando i requisiti di urgenza e di non rinviabilità per la salvaguardia della cosa comune” e che il condominio, comunque, aveva già incaricato la ditta per l’esecuzione dei lavori sicchè non sarebbe più stato possibile un suo intervento.

3.1. Il motivo è inammissibile.

Precisato che la Corte territoriale ha espressamente affermato di non condividere le obiezioni sollevate dall’appellante avverso la sentenza di primo grado circa l’applicabilità, nel caso di specie, dell’art. 1134 c.c. (v. sentenza gravata, p.19 e 20), e di ritenere “dirimente” l’inerzia dell’ALTHAR S.r.l. nei confronti del terzo in ordine alla salvaguardia della possibilità dell’adempimento delle obbligazioni previste a suo carico quale contraente del contratto di locazione con LA GIOIA di Y.S. & C. s.a.s., va osservato che, in materia di procedimento civile, nel ricorso per cassazione il vizio della violazione e falsa applicazione della legge di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, giusta il disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, deve essere, a pena d’inammissibilità, dedotto non solo con l’indicazione delle norme di diritto asseritamente violate ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass., ord., 26/06/2013 n. 16038). Nella specie però le doglianze proposte e ora all’esame non risultano veicolate esattamente nei predetti termini nè può al riguardo rimediarsi in sede di memorie ex art. 378 c.p.c..

Inoltre, risulta evidente che, con il motivo all’esame, la ALTHAR S.r.l. deduce, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti, non consentita in questa sede.

4. Il terzo motivo è così rubricato: “Falsa applicazione di una norma di diritto con riferimento alla L. n. 392 del 1978, art. 34 e artt. 1226 c.c. il tutto ex art. 360 c.p.c., n. 3”.

Assume la ricorrente che sarebbe consentito al giudice il ricorso alla liquidazione equitativa del danno solo quando sia stata previamente dimostrata l’esistenza certa o almeno verosimile di un effettivo pregiudizio e che nel caso di specie, invece, il danneggiato non avrebbe mai provato il concreto pregiudizio economico sofferto a causa della mancata consegna dell’immobile, in particolare non avrebbe dimostrato il lucro cessante, non essendo l’attività mai iniziata, con conseguente inapplicabilità dell’art. 1226 c.c..

Sostiene altresì la ALTHAR S.r.l. che il giudice di primo grado si sarebbe poi limitato “a richiamare l’applicazione in via analogica equitativa della L. n. 392 del 1978, art. 34”, il che, nel caso di specie, ad avviso della ricorrente, non potrebbe essere condiviso, riferendosi la predetta norma a fattispecie aventi “presupposti, in fatto e diritto, completamente diversi dalla presente vertenza”.

4.1. Il motivo va disatteso.

4.2. Osserva il Collegio che, quanto alle doglianze relative alla lamentata falsa applicazione dell’art. 1226 c.c., avendo la Corte di merito, nella sentenza impugnata, dato atto della sola contestazione della operata liquidazione del danno ma non dell’an debeatur, e non avendo la ricorrente precisato in ricorso se e in che termini abbia formulato in appello doglianze con riferimento a tale ultimo aspetto, la questione risulta ora inammissibile per novità.

4.3. In relazione poi alle ulteriori censure proposte relative alla pretesa falsa applicazione della L. n. 392 del 1978, art. 34 le stesse sono sostanzialmente rivolte alla sentenza di primo grado sul punto, la cui motivazione al riguardo è stata riportata nella sua sentenza dalla Corte di merito al fine di affermare che l’appellante, attuale ricorrente, non avrebbe colto il significato di tale motivazione “addotta nella gravata sentenza funzionalmente alla individuazione di un criterio tendenziale di riferimento per la liquidazione equitativa di siffatto pregiudizio”.

4.3.1. Oltre a non aver censurato specificamente tale ratio decidendi, la ricorrente neppure riporta in quali termini abbia sollevato in appello le sue doglianze in relazione alla lamentata violazione dell’art. 34 in parola e, comunque, va ritenuto corretto il riferimento alla predetta norma quale mero parametro per la liquidazione del danno futuro in questione.

5. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.

6. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza tra le parti costituite, mentre non vi è luogo a provvedere per dette spese nei confronti delle società intimate, non avendo le stesse svolto attività difensiva in questa sede.

7. Va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.200,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 29 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2017

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