Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25805 del 23/09/2021

Cassazione civile sez. trib., 23/09/2021, (ud. 24/05/2021, dep. 23/09/2021), n.25805

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – rel. Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –

Dott. PANDOLFI Catello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 11576/2014 R.G. proposto da:

F.L. e F.S., in proprio e nella qualità di

eredi di M.R., rappresentate e difese, in forza di

procura speciale in calce al ricorso, dall’avv. Giuseppe Maria

Cipolla, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale

Giuseppe Mazzini, n. 134;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

i cui uffici in Roma, alla via dei Portoghesi, 12 è elettivamente

domiciliata

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale

dell’Emilia-Romagna n. 105/3/13 depositata in data 4 novembre 2013;

udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 24 maggio

2021 dal Consigliere Dott.ssa Pasqualina Anna Piera Condello;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Dott. Celeste Alberto, che ha chiesto il rigetto del

ricorso;

udito il difensore delle parti ricorrenti, avv. Giuseppe Maria

Cipolla.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con un primo avviso di accertamento, notificato in data (OMISSIS), l’Agenzia delle entrate, all’esito del controllo della dichiarazione dei redditi presentata per l’anno 2002 da M.R., esercente sino al 1992 l’attività di agente assicurativo, procedeva al recupero a tassazione di maggiore imponibile IRPEF, pari ad Euro 309.874,00, avendo riscontrato una incongruenza tra i dati evidenziati nel Modello Unico 2003 presentato dalla contribuente ed i dati indicati dal sostituto d’imposta – MMI Danni s.p.a. (già CAB Assicurazioni s.p.a.) – nel modello 770/2003 Semplificato; a fronte della documentazione fornita dalla contribuente, l’atto impositivo veniva annullato in autotutela.

2. In data 21 maggio 2008 la società MMI Danni s.p.a., in risposta al questionario inviato dall’Ufficio, produceva atto di transazione concluso con la contribuente, dal quale si evinceva che la Cab Assicurazioni s.p.a. aveva corrisposto alla M., oltre all’importo di Euro 309.874,14, a titolo di indennità di risoluzione per il rapporto agenziale preesistente, anche ulteriori Euro 671.393,97 “a titolo di provvigioni”; all’esito di tale produzione, l’Agenzia delle entrate emetteva, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 41 e 41-bis, distinto avviso di accertamento, relativo all’anno 2002, con il quale accertava un reddito soggetto a tassazione separata, pari ad Euro 671.393,97, con conseguente recupero a tassazione di maggiore imposta IRPEF.

3. La contribuente impugnava l’atto impositivo dinanzi alla Commissione tributaria provinciale che rilevava la legittimità dell’atto impugnato, accertando la tempestività della notificazione e la rispondenza della qualificazione del reddito accertato a quello individuato dall’Ufficio.

4. La sentenza veniva impugnata dagli eredi della contribuente, nel frattempo deceduta, eccependo: a) la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 1; b) la violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 6, comma 2; c) la nullità dell’avviso di accertamento per carenza di motivazione e per omessa allegazione dell’atto transattivo in esso richiamato; d) la nullità dell’avviso di accertamento per illegittima rideterminazione della base imponibile; e) la nullità dell’accertamento per la natura risarcitoria delle somme percepite quale ristoro del danno biologico subito per le vicende processuali intercorse con la CAB Assicurazioni s.p.a.

La Commissione tributaria regionale, con la sentenza in questa sede impugnata, rigettava l’appello.

Osservava, in particolare, che i redditi percepiti dalla contribuente, non costituendo redditi d’impresa poiché la stessa aveva cessato di svolgere l’attività nel 1992, erano soggetti a tassazione separata D.P.R. n. 917 del 1986, ex art. 16 (ora art. 17), comma 3, considerato che le somme erano state incassate a seguito di transazione quando l’impresa non era più esistente, non avendo la M. esercitato alcuna opzione nella dichiarazione dei redditi. Aggiungeva che, ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 9, i redditi soggetti a tassazione separata non potevano essere oggetto di definizione automatica, con la conseguenza che, sebbene la contribuente avesse presentato istanza di definizione automatica L. n. 289 del 2002, ex art. 9, anche per l’anno oggetto di accertamento, in forza della stessa legge, art. 10, la stessa non poteva validamente opporre il valore preclusivo del condono, né l’eccezione di decadenza per violazione dei termini di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, in difetto di presentazione di dichiarazione integrativa L. n. 289 del 2002, ex art. 8, comma 2.

Ritenuta la tempestività dell’avviso di accertamento, affermava che l’Amministrazione aveva proceduto per un fatto nuovo, essendo emerso nel 2002 il percepimento di proventi a titolo di provvigioni, e che l’omessa allegazione dell’accordo transattivo non inficiava la validità dell’atto impositivo, conoscendo la contribuente la transazione dalla stessa sottoscritta. Escludeva, infine, che le somme riscosse a titolo di provvigioni non avessero valenza reddituale, bensì risarcitoria, avendo la stessa contribuente insistito per l’assimilazione del provento alla categoria dei redditi d’impresa.

5. F.L. e F.S. hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi. L’Agenzia delle entrate ha resistito mediante controricorso.

In prossimità dell’adunanza camerale fissata per il 5 novembre 2020, le contribuenti hanno depositato memoria ex art. 380-bis.1. c.p.c..

All’esito della Camera di consiglio il Collegio, con ordinanza resa in pari data, ha rinviato la causa a nuovo ruolo per la trattazione in pubblica udienza.

Fissata udienza pubblica, nel termine previsto dal D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8-bis, le contribuenti hanno avanzato istanza di discussione orale.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo – rubricato “violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41-bis (nel testo ratione temporis applicabile), e art. 43, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3” – le ricorrenti censurano la decisione impugnata laddove i giudici di appello hanno ritenuto la legittimità dell’attività accertativa svolta D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 41-bis.

Nell’evidenziare che è pacifico che l’Amministrazione ha notificato due diversi atti di accertamento aventi ad oggetto il medesimo anno d’imposta, rilevano che il secondo accertamento è illegittimo sia per violazione del citato art. 41-bis, perché l’atto di transazione non è stato acquisito a seguito di “accessi, ispezioni e verifiche”, ma in forza dell’invio di un questionario, sia per violazione del richiamato art. 43, perché l’atto transattivo non costituisce elemento nuovo, considerato che l’Agenzia delle entrate avrebbe potuto acquisirlo già in occasione del primo accertamento, dovendosi presumere che la somma percepita a titoli di provvigioni risultasse dalla dichiarazione del sostituto d’imposta.

2. Con il secondo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 1,6,11 e 16 t.u.i.r. (nel testo ratione temporis in vigore) e dell’art. 53 Cost., comma 2, censurano la decisione di appello nella parte in cui i giudici di merito affermano che la somma di Euro 671.393,97 ripresa a tassazione non sia stata conseguita nell’esercizio di un’impresa commerciale e riconoscono, in assenza di una espressa opzione contraria, che tale provento dovesse essere tassato separatamente, ai sensi dell’art. 16 t.u.i.r., comma 3.

Precisano, al riguardo, che dalla stessa formulazione letterale del citato art. 16, si evince che non tutti i redditi a formazione pluriennale sono assoggettati a tassazione separata, considerata l’elencazione tassativa contenuta nella medesima disposizione normativa, e che in ogni caso è necessario accertare se il provento sia stato o meno conseguito nell’esercizio di una impresa commerciale per stabilire se la tassazione separata operi solo previa opzione da parte del contribuente (comma 2) o d’ufficio salva contraria determinazione del contribuente stesso (comma 3).

3. Con il terzo motivo, censurando la sentenza impugnata per violazione, sotto altro profilo, degli artt. 6,17 e 75 t.u.i.r., nel testo ratione temporis vigente, ribadiscono che il provento corrisposto a seguito di transazione sottoscritta con la compagnia assicurativa è stato conseguito nell’esercizio di impresa commerciale, trattandosi di somma riconosciuta “a titolo di provvigioni”, e che il compenso, sebbene percepito nel 2002, costituisce reddito maturato nell’anno 1991, ossia in un periodo d’imposta in cui la M. svolgeva ancora attività imprenditoriale; con la conseguenza che tali somme avrebbero potuto essere assoggettate a tassazione separata solo qualora la contribuente ne avesse fatto espressa richiesta in sede di dichiarazione.

4. Con il quarto motivo, deducendo violazione della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 9, evidenziano che, nella ipotesi in cui si dovesse ritenere che il provento di Euro 671.393,97 costituisca reddito imponibile nell’anno 2002 in cui è stato incassato, l’avviso di accertamento sarebbe comunque illegittimo per avere la M. presentato in data (OMISSIS) domanda di condono tombale riguardante gli anni dal 1997 al 2002 compreso, che preclude qualsiasi accertamento tributario.

5. Con il quinto motivo, denunciando violazione della L. n. 289 del 2002, art. 10, e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 1, lamentano che la C.T.R. abbia erroneamente ritenuto che l’avviso di accertamento sia stato tempestivamente notificato e sostengono che la presentazione della domanda di condono, i cui effetti devono intendersi consolidati per omessa notifica di un atto di diniego, preclude anche l’applicazione della proroga biennale prevista dal citato art. 10, sicché l’atto di accertamento, notificato oltre i termini ordinari stabiliti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 1, è illegittimo per intervenuta decadenza dell’Ufficio dal potere di accertamento. 6. Il primo motivo è infondato.

6.1. Il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41-bis, comma 1, prevede, nel testo vigente ratione temporis, che “senza pregiudizio dell’ulteriore azione accertatrice nei termini stabiliti dall’art. 43, gli uffici delle imposte, qualora, dalle segnalazioni effettuate dal Centro informativo delle imposte dirette, dalla Guardia di finanza o da pubbliche amministrazioni ed enti pubblici oppure dai dati in possesso dell’anagrafe tributaria, risultino elementi che consentono di stabilire l’esistenza di un reddito non dichiarato o il maggiore ammontare di un reddito parzialmente dichiarato, che avrebbe dovuto concorrere a formare il reddito imponibile, compresi i redditi da partecipazioni in società, associazioni ed imprese di cui al testo unico delle imposte sui redditi, art. 5, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, o l’esistenza di deduzioni, esenzioni ed agevolazioni in tutto o in parte non spettanti, possono limitarsi ad accertare, in base agli elementi predetti, il reddito o il maggior reddito imponibili”.

Lo stesso tenore letterale di questa disposizione non giustifica l’interpretazione restrittiva prospettata dalle parti ricorrenti, atteso che l’accertamento parziale è strumento diretto a perseguire finalità di sollecita emersione della materia imponibile laddove le attività istruttorie – e non solo, perché il ricorso all’accertamento parziale è esperibile anche quando l’infedeltà dichiarativa emerga direttamente dalla dichiarazione (Cass., sez. 5, 12/03/2008, n. 6574) – diano contezza della sussistenza a qualsiasi titolo di attendibili posizioni debitorie e non richiedano, quindi, in ragione della loro oggettiva consistenza, l’esercizio di una attività valutativa ulteriore rispetto a quello che si risolve nel recepire e fare proprio il contenuto della segnalazione.

Ciò porta a ritenere che, a differenza degli altri strumenti accertativi di cui dispone l’Amministrazione finanziaria, l’accertamento parziale risulta qualitativamente diverso, poiché esso si vale, come si è affermato (Cass., sez. 5, 18/06/2014, n. 13799), di una sorta d’i “automatismo governativo” indotto da quelle fonti di conoscenza, per cui l’emissione dell’atto risulta possibile sulla base della sola segnalazione, senza che si renda necessario dare corso ad ulteriori attività di approfondimento che caratterizzano, invece, gli accertamenti più complessi.

Per tale ragione questa Corte ha precisato, con orientamento del tutto condivisibile, che l’accertamento parziale possa basarsi anche su una verifica generale, in quanto “la segnalazione costituisce solo l’atto di comunicazione che consente l’accertamento, distinto dall’attività istruttoria, anche se di modestissima entità, da esso necessariamente presupposta” (Cass., sez. 5, 13/11/2013, n. 25486; Cass., sez. 5, 26/05/2010, n. 12819; Cass., sez. 5, 5/02/2009, n. 2761), e che esso possa legittimamente essere adottato anche su iniziativa propria dell’ufficio titolare del potere di accertamento generale (Cass., sez. 5, 21/05/2010, n. 12577), essendo irrilevante che la segnalazione provenga da un soggetto estraneo all’Amministrazione o da fonti ad essa interne (Cass., sez. 5, 23/12/2014, n. 27323; Cass., sez. 5, 1/10/2018, n. 23685), in quanto rappresenta uno strumento diretto a perseguire finalità di sollecita emersione della materia imponibile (Cass., sez. 5, 23/12/2014, n. 27323; Cass., sez. 6-5, 22/01/2018, n. 1542).

6.2. L’Ufficio finanziario, nel sottoporre a controllo la posizione della contribuente M.R., ben poteva, dunque, accertare il maggior reddito imponibile sulla base dei dati emergenti dall’atto di transazione, dalla stessa sottoscritto con la CAB Assicurazioni s.p.a., acquisito all’esito dell’invio di un questionario al sostituto d’imposta, società MMI Danni s.p.a..

6.3. Sulla base di tali premesse, deve parimenti ritenersi insussistente l’ulteriore violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43.

Infatti, l’accertamento parziale può essere integrato da un successivo accertamento, senza che si renda necessario specificarne gli elementi sopraggiunti, come invece prescritto nella ipotesi di integrazione dell’accertamento (generale) previsto dal citato art. 43.

Come è stato precisato da Cass., sez. 5, n. 23685 del 1 ottobre 2008, “coerenza vuole che l’accertamento parziale non sia a singhiozzo”, ossia che, dopo un primo accertamento parziale, ne segua un altro basato su altri elementi acquisiti sin dall’origine, ma non contestati, perché ciò pregiudicherebbe una linea difensiva unitaria e complessiva da parte del contribuente.

Ciò non toglie, tuttavia, che ad un primo accertamento parziale possa seguirne un altro, entro i termini di scadenza dei poteri accertativi dell’Amministrazione, qualora siano stati identificati nuovi elementi, come avvenuto nel caso di specie.

Dalla stessa sentenza impugnata emerge, invero, che dopo l’emissione di un primo avviso di accertamento volto a recuperare a tassazione il reddito ammontante ad Euro 309.874,00, riscontrato sulla base di una incongruenza tra i dati dichiarati nel Modello unico 2003 dalla contribuente e quelli indicati dal sostituto d’imposta nel modello 770/2003 semplificato, per il medesimo anno d’imposta, l’Ufficio ha svolto ulteriori verifiche, solo all’esito delle quali è venuto a conoscenza dell’elemento nuovo costituito dal fatto che la Cab Assicurazioni s.p.a., in forza di atto di transazione, aveva corrisposto alla M., oltre all’importo di Euro 309.874,00 “a titolo di indennità di risoluzione per il rapporto agenziale preesistente”, anche l’ulteriore somma di Euro 671.393,97 a titolo di provvigioni.

Il secondo avviso di accertamento parziale e’, quindi, del tutto legittimo, essendo emersa dalla documentazione inviata dal sostituto d’imposta in risposta al questionario materia imponibile che consentiva una rideterminazione del reddito dichiarato e della relativa imposta dovuta.

7. Il secondo ed il terzo motivo, che possono essere scrutinati congiuntamente perché strettamente connessi, sono fondati, con assorbimento dei restanti motivi.

7.1. Risulta pacifico, e ciò d’altro canto si evince dall’atto di transazione, di cui, in omaggio al principio di autosufficienza, è stato trascritto il contenuto nel ricorso per cassazione, che le somme oggetto di ripresa fiscale trovano titolo giustificativo nell’attività di agente assicurativo pacificamente svolta da M.R. sino al 1992 e sono volte a definire il rapporto agenziale dalla stessa intrattenuto con la società Cab Assicurazioni s.p.a.

7.2. Le provvigioni attive spettanti all’agente, come è noto, si qualificano come redditi di impresa, a prescindere dal fatto che l’attività sia svolta in forma organizzata o meno. Infatti, l’art. 55 t.u.i.r., stabilisce che “sono redditi d’impresa quelli che derivano dall’esercizio di imprese commerciali. Per esercizio di imprese commerciali si intende l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, delle attività indicate nell’art. 2195 c.c….”, tra cui rientrano quelle ausiliarie alla circolazione di beni e servizi, come appunto l’attività delle agenzie di assicurazione.

7.3. Definita la natura del reddito, si pone il problema di individuare l’esercizio di competenza delle provvigioni ai fini della relativa tassazione.

Appartenendo le provvigioni maturate dall’agente alla categoria dei proventi derivanti dall’espletamento di prestazioni di servizi, rilevanti anche ai fini I.V.A. (D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, ex art. 3, comma 1), per la individuazione del relativo periodo di competenza occorre avere riguardo al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 109, comma 2, lett. b), secondo cui ” i corrispettivi delle prestazioni di servizi si considerano conseguiti (…) alla data in cui le prestazioni sono ultimate”. E la verifica del momento di ultimazione non può comunque prescindere dalla disciplina codicistica del contratto di agenzia, che è stata oggetto di significative modifiche ad opera del D.Lgs. 15 febbraio 1999, n. 65, emanato in attuazione della Dir. comunitaria n. 86/653/CEE.

7.3.1. Nella versione antecedente al richiamato intervento legislativo, l’art. 1748 c.c., comma 1, disponeva che “l’agente ha diritto alla provvigione solo per gli affari che hanno avuto regolare esecuzione” e l’Amministrazione finanziaria, nella risoluzione n. 9/934 del 26 maggio 1980, aveva identificato tale “regolare esecuzione”; nel momento in cui “… aveva luogo la fornitura che ne costituiva la prestazione, a nulla rilevando l’aspetto finanziario che regola la controprestazione del cliente”.

7.3.2. Per effetto delle modifiche operate dal citato D.Lgs. n. 65 del 1999, che hanno introdotto un regime di maggiore tutela dell’agente, si è ritenuto di individuare il momento di ultimazione della prestazione e, di conseguenza, il concorso del relativo compenso alla formazione dell’imponibile dell’agente, nella data in cui si verifica la stipula del contratto concluso grazie all’intervento di quest’ultimo (cd. contratto “procurato” dall’agente); in altri termini, si è considerata ultimata la prestazione alla data in cui è concluso il contratto tra il preponente ed il terzo, atteso che in questo momento deve ritenersi conclusa la prestazione da parte dell’agente, posto che quest’ultimo, ai sensi dell’art. 1742 c.c., ha l’obbligo di “promuovere…la conclusione dei contratti”. In tale momento, inoltre, la provvigione non solo trae origine da una prestazione ultimata, ma soddisfa anche i requisiti di “esistenza certa ed oggettiva determinabilità” richiesti dall’art. 109 t.u.i.r., ai fini dell’individuazione del momento temporale di imputazione a reddito dei componenti positivi e negativi.

L’art. 1748 c.c., nella sua nuova formulazione, prevede, infatti, che l’agente ha diritto alla provvigione “per tutti gli affari conclusi durante il contratto…quando l’operazione è stata conclusa per effetto del suo intervento” (comma 1); il che rende irrilevante il momento di esigibilità del compenso per la prestazione svolta dall’agente, eventualmente previsto in contratto, ai sensi dell’art. 1748 c.c., comma 4, trattandosi di previsione che ha il solo scopo di dilazionare il pagamento della provvigione maturata (ed in tal senso si è espressa anche l’Agenzia delle entrate con la risoluzione n. 115/E del 8 agosto 2005).

Come rilevato da questa Corte (Cass., sez. L, 2/05/2000, n. 5467), con la nuova formulazione dell’art. 1748 c.c., si è inteso porre in evidenza la dissociazione tra il momento costitutivo del diritto alla provvigione in capo all’agente ed il momento in cui la stessa provvigione (il cui diritto è già maturato) risulta esigibile, significando che il primo momento (quello costitutivo) viene ad esistere quando per effetto dell’intervento dell’agente si addiviene alla conclusione del contratto da lui promosso. E ciò a differenza di quanto previsto nella previgente formulazione dell’art. 1748 c.c., che stabiliva che l’agente acquisisse il diritto alla provvigione solo quando il contratto era stato accettato dalle parti ed aveva avuto regolare esecuzione.

7.4. Posto ciò, nel caso di specie, la determinazione del periodo di competenza in cui imputare le provvigioni corrisposte alla M. non può prescindere da una valutazione anche della rilevanza fiscale della transazione dalla contribuente sottoscritta con la compagnia assicurativa.

Infatti, considerato che le somme riconosciute a titolo di provvigioni sono state incassate, per effetto della transazione, dopo la chiusura dell’attività commerciale, occorre verificare se esse mantengono comunque la natura reddituale propria dell’attività in precedenza svolta, come sostenuto dalle ricorrenti, che invocano l’applicazione della disciplina prevista dall’art. 6 t.u.i.r., comma 2, o se, piuttosto, esse debbano ritenersi percepite al di fuori dell’esercizio dell’impresa, per avere la contribuente cessato la sua attività nell’anno 1992.

La questione così prospettata rende, pertanto, necessario accertare se la transazione del 21 febbraio 2002 abbia natura novativa o non novativa, risultando evidente che, laddove si dovesse ritenere che la transazione non ha alterato la fonte delle provvigioni, che rimane il contratto di agenzia, le somme recuperate a tassazione dovrebbero ritenersi comunque conseguite nell’esercizio dell’attività commerciale, con inevitabile incidenza sul regime di tassazione da applicare.

7.5. Come è noto, l’efficacia novativa della transazione presuppone una situazione di oggettiva incompatibilità tra il rapporto preesistente e quello originato dall’accordo transattivo, in virtù della quale le obbligazioni reciprocamente assunte dalle parti devono ritenersi oggettivamente diverse da quelle preesistenti, con la conseguenza che, al di fuori dell’ipotesi in cui sussista un’espressa manifestazione di volontà delle parti in tal senso, il giudice di merito deve accertare se le parti, nel comporre l’originario rapporto litigioso, abbiano inteso o meno addivenire alla conclusione di un nuovo rapporto, costitutivo di autonome obbligazioni (Cass., sez. 6 – 1, 6/10/2020, n. 21371; Cass., sez. 1, 11/11/2016, n. 23064).

La novazione oggettiva si configura, infatti, come un contratto che è nel contempo estintivo e costitutivo di obbligazioni, caratterizzato dalla volontà di far sorgere un diverso rapporto obbligatorio in sostituzione di quello precedente, con nuove ed autonome situazioni giuridiche; di tale contratto sono elementi essenziali, oltre ai soggetti e alla causa, l’animus novandi, consistente nella inequivoca, comune intenzione di entrambe le parti di estinguere l’originaria obbligazione, sostituendola con una nuova, e l’aliquid novi, inteso come mutamento sostanziale dell’oggetto della prestazione o del titolo del rapporto (Cass., sez. 1, 13/03/2019, n. 7194 cit.; Cass., sez. L, 26/02/2009, n. 4670).

Il relativo accertamento, circa la ricorrenza dell’una o dell’altra ipotesi di transazione, integrando un apprezzamento di fatto, è come tale riservato al giudice del merito, postulando una indagine sulla volontà delle parti (Cass., sez. L, 14/06/2006, n. 13717), e non può, pertanto, essere svolto in sede di legittimità.

7.6. La C.T.R. ha ritenuto che gli importi percepiti debbano essere assoggettati a tassazione separata sulla base del solo criterio cronologico del momento in cui le somme sono state percepite, valorizzando la circostanza che al momento della percezione non esisteva più attività d’impresa, ma ha trascurato di valutare il titolo dal quale deriva il reddito percepito, ossia se i proventi, sebbene conseguiti a distanza di molti anni dalla cessazione dello svolgimento dell’attività d’impresa, dovessero comunque essere inclusi nella categoria del reddito d’impresa.

La sentenza gravata non va dunque esente dalle censure ad essa rivolte con i mezzi in esame.

8. Conclusivamente, rigettato il primo motivo, vanno accolti il secondo ed il terzo motivo, assorbiti i restanti, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla competente Commissione tributaria regionale, in diversa composizione, che dovrà procedere al riesame, nonché alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo; accoglie il secondo ed il terzo motivo; dichiara assorbiti i restanti motivi del ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 24 maggio 2021,

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2021

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