Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25805 del 14/10/2019

Cassazione civile sez. lav., 14/10/2019, (ud. 04/07/2019, dep. 14/10/2019), n.25805

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. RAIMONDI Guido – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27933-2015 proposto da:

F.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE

MILIZIE 48, presso lo studio dell’avvocato FABIO BORGOGNONI, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente principale –

contro

ALMAVIVA CONTACT S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLE TRE MADONNE 8,

presso lo studio degli avvocati MAURIZIO MARAZZA, DOMENICO DE FEO,

MARCO MARAZZA, che la rappresentano e difendono;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 4182/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 16/05/201 R.G.N. 5287/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/07/2019 dal Consigliere Dott. CATERINA MAROTTA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO RITA che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale e rigetto del ricorso incidentale;

udito l’Avvocato FABIO BORGOGNONI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. F.M., assunto dalla Atesia S.p.A., nel periodo 7 agosto 2000/30 giugno 2007, con distinti contratti di collaborazione autonoma e continuativa quindi con contratti a progetto, come operatore di call center, conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Roma la società chiedendo l’accertamento della natura subordinata del rapporto e la declaratoria di prosecuzione dello stesso con nullità e/o inefficacia del licenziamento intimatogli e condanna della società alla reintegrazione nel posto di lavoro in precedenza occupato nonchè al risarcimento del danno, pari alle retribuzioni maturate dal licenziamento alla effettiva riammissione in servizio.

2. Il Tribunale, in parziale accoglimento del ricorso, dichiarava la nullità dei contratti a progetto stipulati l’1/10/2005 e l’1/6/2006 e accertava che tra il F. e la società si fosse costituito un rapporto di lavoro a tempo pieno con condanna della società al pagamento in favore del ricorrente della somma di Euro 25.000,26.

3. La decisione era in parte riformata dalla Corte d’appello di Roma che, decidendo sull’impugnazione principale della società e su quella incidentale del F., dichiarava la sussistenza fra le parti di un rapporto di lavoro subordinato part-time a tempo indeterminato, con inquadramento nel 3 livello del c.c.n.l. di settore, con decorrenza dal 7 agosto 2000 con condanna della società al risarcimento del danno nella misura pari a cinque mensilità.

Rilevava la Corte territoriale che dal complessivo materiale di causa (istruttoria direttamente espletata e contenuto del verbale ispettivo) fosse emerso sin dal primo contratto tra le parti il pieno inserimento del ricorrente nell’organizzazione aziendale, l’utilizzo da parte dello stesso degli strumenti e dei mezzi della società, la sua sottoposizione al potere organizzativo della società oltre che uno stringente assoggettamento ai poteri di controllo e direttivo, realizzato non solo attraverso direttive generiche bensì mediante puntuali ordini di servizio ed interventi dell’assistente di sala che controllava l’operato dei lavoratori, forniva assistenza, interveniva in caso di necessità.

Rilevava che l’operatore dovesse sottostare a disposizioni “decisamente invasive” in ordine alle modalità della prestazione e addirittura ai tempi di attesa, difficilmente conciliabili con un rapporto di lavoro autonomo.

Evidenziava che il concorso congiunto del sistema informatico, in grado di controllare l’attività del telefonista in tutti i suoi aspetti e della vigilanza dell’assistente di sala mostrasse l’esistenza di un controllo particolarmente accentuato, non usuale neppure per la maggior parte dei rapporti subordinati esistenti.

Riteneva che, una volta accertato, l’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro, con conseguente limitazione della sua autonomia, irrilevante fosse l’astratta previsione di una libertà di presenza e di orario e che si trattava di una libertà “limitata” visto che sussisteva da un lato l’obbligo di giustificare le assenze superiori a 10 giorni e dall’altro la prestazione non poteva comunque eccedere le 6 ore massime nell’ambito di un turno prestabilito.

Quanto alle conseguenze dell’accertamento della subordinazione, riteneva inapplicabili le norme relative alla reintegrazione nel posto di lavoro e alla decadenza L. n. 604 del 1966, ex art. 6 ma, data la nullità del termine e della conseguente conversione, considerava il rapporto proseguito ed ancora in atto.

Ai fini dell’invocata applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 50 rilevava che la proposta contrattuale operata da Almaviva Contact S.p.A. (incorporante l’Atesia S.p.A.) in favore dell’appellante in data 25 novembre 2010 di assunzione, con inquadramento nel 3 livello c.c.n.l. Imprese Esercenti Servizi di Telecomunicazione, profilo di “addetto al call center”, e rapporto a tempo parziale di 20 ore settimanali distribuite su 4 ore giornaliere, per cinque giorni a settimana (dal lunedì alla domenica), con un giorno di libertà ed uno di riposo a settimana a rotazione, fosse tale da integrare un’offerta congrua in quanto consequenziale ed omogenea alla precedente offerta formulata ai sensi della legge di stabilizzazione ed in conformità dell’accordo aziendale di stabilizzazione del 13/12/06 L. n. 296 del 1996, ex art. 1, commi 1202 e ss. prevedente i medesimi orari e lo stesso inquadramento.

Considerava, poi, che detta norma, in una interpretazione costituzionalmente orientata ed altresì conforme all’ordinamento sovranazionale, non avesse introdotto una speciale misura sanzionatoria in deroga all’ordinario regime applicabile in caso di accertamento della reale natura subordinata di un rapporto di lavoro e quindi non precludesse l’applicazione delle comuni regole in tema di conversione del rapporto di lavoro.

Riteneva che la prevista indennità economica di ammontare oscillante tra le 2,5 e le 6 mensilità si sostituisse a tutte le normali conseguenze che derivano dall’accertamento della natura subordinata del rapporto sotto il profilo esclusivamente patrimoniale, vale a dire sia i danni derivanti dall’inadempimento e dall’ingiustificata estromissione da parte del datore di lavoro sia i crediti retributivi vantati in relazione alla prestazione svolta, limitatamente, tuttavia, al solo periodo “intermedio”, cioè a quello che corre dalla cessazione della funzionalità del rapporto sino alla sentenza che ne opera la conversione.

4. Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale F.M. ha proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi.

5. Almaviva Contact S.p.A. ha resistito con controricorso e formulato altresì ricorso incidentale con un motivo.

6. La causa, originariamente chiamata all’adunanza camerale del 9 gennaio 2019, è stata rinviata a nuovo ruolo per la trattazione in udienza pubblica.

7. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso principale il lavoratore denuncia

l’incostituzionalità della L. n. 183 del 2010, art. 50 per contrarietà agli artt. 3,24,101,102 e 104 Cost..

Rileva che la novella legislativa, attraverso un uso distorto dello strumento della retroattività della legge, avrebbe realizzato un’influenza indebita sui giudizi in corso in contrasto anche con la carta Europea dei Diritti dell’Uomo e ciò senza alcuna specifica esigenza cui occorresse sopperire.

2. Con il secondo motivo del ricorso principale il lavoratore denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 50.

Deduce che la norma in questione non avrebbe potuto esse applicata nel corso del giudizio di appello non essendo prevista la possibilità di modificare i motivi di impugnazione.

Sostiene che i tempi concessi al lavoratore per la risposta non fossero stati, nella specie, sufficienti ad evitare che la stessa si appalesasse come meramente apparente atteso che tale proposta era stata ricevuta dal lavoratore in data 26/1/2001, la decorrenza dell’assunzione era il 16/2/2011 e il termine per la restituzione della proposta firmata di soli 10 giorni.

Contesta, poi, la valutazione di congruità dell’offerta sostenendo che questa prevedesse un inquadramento diverso da quello che la stessa sentenza aveva riconosciuto in favore del lavoratore ed inferiore rispetto a quest’ultimo.

3. Con l’unico motivo la ricorrente incidentale denuncia la violazione della L. n. 183 del 2010, art. 50 in relazione alla ritenuta conversione del rapporto.

Assume che la Corte territoriale avrebbe del tutto disatteso il dettato della norma prevedente unicamente l’indennizzo in favore del prestatore e non anche la conversione del rapporto.

Valorizza in particolare l’offerta della stipulazione di un rapporto di lavoro subordinato da parte del datore di lavoro che sarebbe tale da giustificare la deroga all’ordinario regime applicabile in caso di accertamento della reale natura subordinata di un rapporto di lavoro.

4. L’esame dei motivi del ricorso principale e del motivo di ricorso incidentale impone alcune preliminari considerazioni sull’interpretazione della L. n. 183 del 2010, art. 50.

4.1. La norma che viene qui in discussione ha formato oggetto di studio da parte della dottrina essendosi rilevati plurimi profili suscettibili di differenti interpretazioni ed essendosi, in particolare, il dibattito incentrato sulla questione se tale norma stabilisca “unicamente” la sanzione indennitaria a fronte del rifiuto, da parte del lavoratore, di due offerte di stabilizzazione del rapporto di lavoro ovvero faccia comunque salva la conversione o ricostituzione del rapporto (melius assunzione a tempo indeterminato).

Il suddetto art. 50 stabilisce che: “Fatte salve le sentenze passate in giudicato, in caso di accertamento della natura subordinata di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, anche se riconducibili ad un progetto o programma di lavoro, il datore di lavoro che abbia offerto entro il 30 settembre 2008 la stipulazione di un contratto di lavoro subordinato ai sensi della L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, commi 1202 e ss., nonchè abbia, dopo la data di entrata in vigore della presente legge, ulteriormente offerto la conversione a tempo indeterminato del contratto in corso ovvero offerto l’assunzione a tempo indeterminato per mansioni equivalenti a quelle svolte durante il rapporto di lavoro precedentemente in essere, è tenuto unicamente a indennizzare il prestatore di lavoro con un’indennità di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità di retribuzione, avuto riguardo ai criteri indicati nella L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 8”.

La disposizione introduce un regime speciale finalizzato a limitare, a determinate condizioni, le conseguenze sanzionatorie in caso di esito vittorioso del giudizio intentato dal lavoratore, volto all’accertamento della natura subordinata del rapporto di collaborazione continuativa e coordinata, anche a progetto.

4.2. L’esame della previsione non può prescindere da una sintetica ricostruzione del più ampio quadro normativo in cui essa interviene (L. n. 296 del 2006, art. 1, commi 1202-1210).

4.3. L’incipit della norma “fatte salve le sentenze passate in giudicato” rende, innanzitutto, chiaro che l’ambito di applicazione della stessa sia da riferirsi tanto alle controversie ancora da promuovere, quanto a quelle in corso. Ed anzi, proprio l’espresso richiamo alla L. n. 296 del 2006 è indicativo della voluntas legis di dettare una normativa finalizzata a proseguire il percorso, intrapreso dalla predetta L. n. 296, inteso a facilitare l’emersione di rapporti (simulati) di collaborazione, molti dei quali, proprio in quanto in sospetto di abuso, in fase di contenzioso giudiziale (percorso poi completato dal D.Lgs. n. 81 del 2015, art. 54).

4.4. Quanto ai presupposti di operatività, la norma richiede una sequenza di offerte da parte del datore di lavoro.

Questi (id est: il datore di lavoro) deve avere offerto al collaboratore, entro il 30 settembre del 2008, la stabilizzazione del rapporto di lavoro secondo la procedura di cui alla L. n. 296 del 2006, art. 1, commi 1202 e ss., articolata in tre fasi: a) la stipulazione di un accordo aziendale o territoriale volto a promuovere la trasformazione del rapporto di collaborazione in un rapporto di lavoro subordinato di durata non inferiore a 24 mesi; b) la sottoscrizione da parte dei lavoratori di atti di conciliazione individuali ai sensi e per gli effetti degli artt. 410 e 411 c.p.c. con riferimento ai diritti di natura retributiva, contributiva e risarcitoria per il periodo pregresso; c) il pagamento da parte del solo datore di lavoro di un contributo straordinario integrativo per ciascun lavoratore interessato alla trasformazione del rapporto di lavoro.

La prima offerta è, dunque, garantita dalla stessa procedimentalizzazione disegnata dal Legislatore del 2006 e filtrata dalle intese raggiunte dalle parti sociali.

Il datore di lavoro deve, poi, aver rinnovato l’offerta dopo l’entrata in vigore della medesima L. n. 183 del 2010. A tale riguardo, il dato letterale non pone dubbi interpretativi: la nuova proposta si aggiunge all’offerta di stabilizzazione compiuta entro il 30 settembre 2008, come reso palese dall’utilizzo dell’avverbio “ulteriormente” che rafforza il senso, già inequivoco, della congiunzione “nonchè”.

L’oggetto del contratto di lavoro subordinato di cui alla seconda offerta è predeterminato dal Legislatore; le mansioni di lavoro devono essere equivalenti a quelle del contratto in corso o cessato. Nulla è detto, invece, in ordine all’orario di lavoro e ciò è pienamente giustificabile in ragione della estrema variabilità dell’impegno lavorativo che può avere, in concreto, connotato ogni singolo rapporto.

4.5. La valutazione di conformità delle offerte datoriali ai parametri legali, che costituisce condizione essenziale per l’operatività, in sede giudiziale, del meccanismo di cui sopra si è detto, in quanto necessariamente mediata dalle risultanze processuali, è attività riservata al giudice di merito.

In presenza degli inviti datoriali, positivamente valutati dal giudice del fatto, rifiutati dal lavoratore (come risulta evidente ove si consideri che altrimenti non sussisterebbe neppure la possibilità di azionare alcun giudizio per effetto dell’avvenuta sottoscrizione degli atti di conciliazione individuali), gli effetti derivanti dall’accertamento giudiziale della natura subordinata di una collaborazione coordinata e continuativa, sono quelli indicati dal predetto art. 50 ed il datore di lavoro “è tenuto unicamente a indennizzare il prestatore di lavoro con un’indennità di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità di retribuzione, avuto riguardo ai criteri indicati nella L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 8”.

4.6. Il contrasto interpretativo verte, in particolare, sull’interpretazione dell’espressione “è tenuto unicamente a indennizzare”.

Trattasi, effettivamente, di una non felice soluzione espressiva, come del resto già evidenziato dal Presidente della Repubblica che, in occasione del messaggio, ex art. 74 Cost., in data 31 marzo 2010, ebbe ad osservare come la disposizione, insieme ad altre della L. n. 183 del 2010, potesse prestarsi “a seri dubbi interpretativi e a potenziali contenziosi”.

4.7. Due sono, infatti, le possibili letture dell’art. 50 in punto di conseguenze connesse al rifiuto del prestatore di accettare le offerte datoriali, in caso di accertamento giudiziale della natura subordinata del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa.

Da una parte, ritenere che l’indennità rappresenti l'”unica” misura sanzionatoria a carico del datore di lavoro, sostitutiva cioè di tutte le conseguenze normalmente ricollegabili ad un tale accertamento (ovvero la conversione in rapporto a tempo indeterminato ed il risarcimento), dall’altra, ritenere che la norma abbia inteso “unicamente” incidere sulla misura del danno e non anche direttamente sulla disciplina futura del rapporto di lavoro.

4.8. Stima il Collegio che, tra le due indicate opzioni interpretative, debba preferirsi la seconda che rende il dato letterale (pur in sè non univoco) coerente con quello sistematico.

4.9. La norma va interpretata nel senso che l’indennità economica si sostituisce esclusivamente alle normali conseguenze risarcitorie che derivano dall’accertamento della natura subordinata del rapporto, assicurando al lavoratore un indennizzo che copre, in via forfetaria, non diversamente dalla medesima L. n. 183 del 2010, art. 32 i danni derivanti dalla ingiustificata estromissione, fermo, tuttavia, il diritto del prestatore al ripristino della funzionalità del rapporto di lavoro ovvero alla “conversione”, in esecuzione della sentenza (oltre che naturalmente alle retribuzioni da tali momenti in poi ed a quelle eventualmente maturate in ragione del reale atteggiarsi del rapporto intercorso e non derivanti, ex se, dalla diversa qualificazione del rapporto).

L’avverbio “unicamente” è, infatti, riferito solo al riconoscimento di un minor ristoro economico, giustificato dal rifiuto delle proposte di stabilizzazione, secondo l’esegesi sostenuta dalla Corte di appello di Roma.

4.10. L’indennità, dunque, definisce i rapporti tra lavoratore e datore di lavoro, regolando la misura del risarcimento in relazione al periodo intercorrente tra la cessazione della collaborazione e la sentenza che ne accerta la natura subordinata (e, se del caso, anche al periodo non lavorato tra una collaborazione e l’altra, in caso di riconoscimento di un unico rapporto).

4.11. Conforta siffatta interpretazione l’esame dei lavori preparatori ed, in particolare, delle schede di lettura della Camera dei Deputati relativi agli articoli contenuti nella L. n. 183 del 2010.

In relazione all’art. 50 si dà atto che “l’articolo (…) determina la misura del risarcimento nei casi in cui sia stata accertata la natura subordinata di un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa”.

Il riferimento esclusivamente al “risarcimento” e l’assenza di una esplicita previsione della valenza sostitutiva di detta indennità, anche della ripresa del rapporto, è segno della scelta del Legislatore di preservare l’ordinaria e più pregnante tutela disposta dall’ordinamento e cioè il mantenimento dell’accertato rapporto di lavoro.

Quest’ultimo, infatti, non può considerarsi estinto in mancanza di una chiara previsione che colleghi tale rilevantissima conseguenza al rifiuto opposto dal lavoratore alle proposte datoriali.

4.12. Così interpretata, la disposizione consente di superare i dubbi di legittimità costituzionale e di violazione del diritto sovranazionale, essendo in linea con il principio di effettività ed adeguatezza delle sanzioni, con quello di parità di trattamento e con la clausola di non regresso delle tutele.

La novella in esame, limitandosi ad introdurre un criterio di liquidazione del danno di più agevole, certa ed omogenea applicazione, con salvezza del nucleo centrale della tutela sostanziale costituito dalla “conversione” ovvero dal ripristino del rapporto, garantisce il diritto di difesa ai sensi dell’art. 24 Cost. e, come tale, appare ragionevole, essendo destinata ad assicurare una parificazione di trattamento di situazioni eguali a prescindere dalla data di introduzione del giudizio, con il solo limite delle sentenze passate in giudicato.

Inoltre, restando fermo il diritto alle eventuali differenze di retribuzione maturate in relazione ai periodi lavorati, non si pongono profili di incostituzionalità per violazione dell’art. 36 Cost. (e conseguentemente dell’art. 38 Cost.); peraltro, anche nel caso dell’art. 50, come già accennato, a partire dalla sentenza con cui il giudice accerta la natura subordinata del rapporto ed ordina il ripristino del rapporto, il datore di lavoro è indefettibilmente obbligato a riammettere in servizio il lavoratore e a corrispondergli, in ogni caso, le retribuzioni dovute, anche in ipotesi di mancata riattivazione effettiva del rapporto.

In definitiva, la normativa esaminata risulta, nell’insieme, adeguata a realizzare un equilibrato componimento degli opposti interessi attraverso l’analitica disciplina, in quello che è stato definito un “delicato gioco di pesi e contrappesi”, dei parametri – modalità temporali e oggetto delle offerte che devono essere rispettati dal datore di lavoro per poter beneficiare del regime speciale di cui all’art. 50. Al lavoratore che abbia rifiutato ben due proposte di assunzione (e nonostante tale rifiuto) è comunque garantita l’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato (che va a sostituire il “ricorso ai contratti di lavoro subordinato” e il “corretto utilizzo dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa anche a progetto” di cui alla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 1202) unitamente ad un’indennità, predeterminata tra un minimo ed un massimo, che ridimensiona le pretese risarcitorie, in misura della metà del massimo dell’indennità stabilita dalla L. n. 183 del 2010, art. 32 non diversamente dalla previsione del comma 6 del medesimo art. 32 (“In presenza di contratti ovvero accordi collettivi nazionali, territoriali o aziendali, stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, che prevedano l’assunzione, anche a tempo indeterminato, di lavoratori già occupati con contratto a termine nell’ambito di specifiche graduatorie, il limite massimo dell’indennità fissata dal comma 5 è ridotto alla metà”), in funzione premiale della condotta datoriale.

Il tutto nell’ambito dell’illustrato e più ampio contesto normativo di deflazione e definizione di un consistente contenzioso, sedimentatosi in alcuni settori produttivi, nel quale si inscrive la vicenda in questione, che rende la norma in oggetto non solo ragionevole ma anche coerente con i criteri ispiratori della disciplina legislativa precedente.

4.13. Quanto ai possibili profili di violazione dei diritti sanciti dall’art. 6, paragrafo 1, CEDU, giudica il Collegio che, nello specifico, non vi sia stata alcuna ingiustificata intromissione del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia, tale da influire sulla decisione di singole controversie o su un gruppo di esse, bensì interventi che per quanto già sopra evidenziato, rispondono a “ragioni imperative di interesse generale” (v., ad esempio, tra le pronunce in questa materia della Corte Europea dei diritti dell’uomo relative a controversie tra privati: Arras c. Italia, 14.2.2012, p. 42; Ducret c. Francia, 12.6.2007 p. 32 ss.; Vezon c. Francia, 18.4.2006, par. 28 ss.) analoghe a quelle già riscontrate dal Giudice delle leggi in occasione della valutazione di legittimità costituzionale dell’art. 32 (v. Corte Costituzionale n. 303 del 2011, spec. p. 4.2), escludendosi così ogni violazione degli artt. 111 e 117 Cost., e tanto più evidenti nella fattispecie ove il Legislatore ha completato il percorso di transizione verso un corretto utilizzo dei contratti di collaborazione e di promozione dell’impiego dei lavoratori con contratti di lavoro subordinato supportando il prodotto dell’autonomia privata collettiva promosso dalla L. n. 296 del 2006.

Quanto sopra evidenziato esclude altresì che l’intervento legislativo (come detto inserito in un complessivo programma di riforme) di cui trattasi abbia mutato le conseguenze della violazione delle previgenti regole limitatamente ad un gruppo di fattispecie selezionate in base alla circostanza, del tutto accidentale, della pendenza di una lite giudiziaria tra le parti del rapporto di lavoro.

5. Alla luce delle considerazioni svolte ai punti da 4.1. a 4.13. che precedono sono infondati i rilievi di cui al ricorso principale ed al ricorso incidentale essendo corretta la decisione della Corte territoriale laddove ha ritenuto che la riconosciuta indennità economica fosse sostitutiva di tutte le normali conseguenze derivanti dall’accertamento della natura subordinata del rapporto, ferma restando la conversione dello stesso e laddove, con valutazione di merito incensurabile in sede di legittimità, ha valutato congrue le offerte di stabilizzazione dell’azienda.

6. Quanto alle altre doglianze del ricorrente principale vanno svolte le seguenti ulteriori considerazioni.

6.1. La L. n. 183 del 2010, art. 50 è entrato in vigore il 4 novembre 2010, nelle more del processo di appello.

La sentenza della Corte territoriale è stata emessa in data 16 maggio 2015.

Il lavoratore appellante incidentale di seconde cure (odierno ricorrente in cassazione) aveva impugnato la statuizione del Tribunale che aveva escluso la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato con tutte le conseguenze in termini di ripristino dello stesso e risarcitorie. Sul punto delle conseguenze economiche dipendenti dalla reclamata sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato non si era, dunque, formato un giudicato interno che avrebbe reso inammissibile l’applicazione della nuova disposizione.

Inoltre, vi era l’interesse della società all’applicazione dell’art. 50 che avrebbe consentito, sussistendone i presupposti, una verosimilmente più ridotta liquidazione del risarcimento del danno.

Lo ius superveniens rende proponibile una domanda nuova in appello (senza che la parte incorra in preclusioni) allorquando si tratti di una regolamentazione giuridica nuova di una situazione di fatto già dedotta in primo grado (v. già Cass. 7 gennaio 1970, n. 32 e più di recente Cass. 20 gennaio 2017, n. 1552). E sicuramente rientra in questa fattispecie la mera precisazione quantitativa del petitum dipendente da un fatto sopravvenuto nelle more del giudizio come la nuova determinazione legislativa delle conseguenze patrimoniali sanzionatorie in ipotesi di conversione a tempo determinato del contratto in corso ovvero precedentemente in essere.

6.2. Con riferimento, poi, alla tempistica dell’offerta, il ricorrente principale pone in questa sede questioni che non risultano essere state trattate nel giudizio di merito e che pertanto sono inammissibili per la novità delle stesse.

6.3. Quanto all’inquadramento nel 4 livello, che a dire del ricorrente sarebbe stato contenuto nell’offerta (diversamente dall’accertamento compiuto dalla Corte d’appello, secondo cui oggetto della proposta contrattuale formulata da Almaviva era stato invece l’inquadramento del F. nel 3 livello: v. pag. 31 della sentenza impugnata), il rilievo involge l’interpretazione dell’atto unilaterale (così come del contratto) che però, consistendo in un’operazione di ricostruzione della volontà del dichiarante (o dei dichiaranti), ovverosia di una realtà fenomenica ed obiettiva, si risolve in un’indagine di fatto riservata al Giudice di merito, la cui valutazione soggiace, in sede di legittimità, ad un limitato sindacato che esige, quanto al vizio di violazione di legge (unico, nella specie, prospettato), la precisa illustrazione del modo attraverso il quale si sarebbe realizzata la violazione dei canoni ermeneutici, profilo non adeguatamente sviluppato nel motivo di ricorso.

7. Conclusivamente sia il ricorso principale sia il ricorso incidentale vanno respinti.

8. L’esito dei ricorsi e la novità delle questioni trattate consentono di compensare tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

9. Va dato atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, poichè l’obbligo del pagamento dell’ulteriore contributo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo – ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione – del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, dell’impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell’ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell’apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione (cosi Cass., Sez., Un. 22035/2014).

P.Q.M.

La Corte rigetta entrambi i ricorsi; compensa le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale e della ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per quello incidentale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 4 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2019

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