Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25800 del 18/11/2013


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Civile Sent. Sez. U Num. 25800 Anno 2013
Presidente: RORDORF RENATO
Relatore: FORTE FABRIZIO

SENTENZA
sul ricorso ai sensi dell’art. 200 del R.D. 11 dicembre 1933
n. 1775 e dell’art. 360 c.p.c., iscritto al n. 25620 del
Ruolo Generale degli affari civili del 2012, proposto
DA
SOCIETA’ DI FATTO CAVE DI CHAMPAGNE DI BOSIO L. E C.,

in

Data pubblicazione: 18/11/2013

persona dei soci LEOPOLDO BOSIO e WALTER MALACRIDA BOSIO,

in

proprio e quali eredi di Lina Borra deceduta il 15 settembre
2008, con sede in Chatillon, entrambi elettivamente
domiciliati in Roma, alla Via Antonio Gramsci n. 9, presso

roma.org . FAX n.ro 06 80687995), che la rappresenta e
difende, con l’avv. Daniele Panni da Aosta
(avvdanieleparini@puntopec.it FAX n.ro 016541930), per
procura a margine del ricorso.
RICORRENTE
CONTRO
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE,

in persona del

ministro in carica e AGENZIA DEL DEMANIO,

in persona del

direttore p.t., entrambi ex lege domiciliati in Roma, alla
Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello
Stato, che per legge li rappresenta e difende.
RESISTENTE

avverso la sentenza del Tribunale Superiore delle acque
pubbliche in sede d’appello, del 19 ottobre 2011 – 26 marzo
2012. All’udienza del 22 ottobre 2013, udita la relazione del
Cons. dr. Fabrizio Forte e sentiti l’avv. Chevallard, per
– delega, per i ricorrenti, l’avvocato dello Stato Di Cave, per
2

l’avv. Arcangelo Guzzo (PEC arcangeloguzzo@ordine avvocati

i controricorrenti e il P.M. dr.Umberto Apice, che conclude
per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Ministero della Finanze, con citazione notificata il 9

Torino la società di fatto Cave di Champagne di Bosio L. e
C., in persona di Bosio Leopoldo e Walter Malacrida Bosio, in
qualità anche di eredi di Lina Borra, (d’ora in avanti:
Società Cave) e deduceva che la convenuta, nell’anno 1981,
aveva eseguito scavi lungo il fiume Dora Baltea, estraendo
mc. 18.000 d’inerti del valore di £. 18.000.000 e, con
successiva citazione, lamentava analogo sottrazione dello
stesso materiale per altri mc. 37.000, del valore complessivo
di £. 74.000.000.
I processi sorti dai due distinti atti introduttivi erano
riuniti nella presente causa e il tribunale adito accoglieva
le domande, per non avere la società convenuta provato di
essere la proprietaria delle cave da essa sfruttate,
condannando la stessa e le persone fisiche soci di essa in
solido a pagare £. 36.864.000 al Ministero delle Finanze, per
i loro abusi della proprietà demaniale.
Riteneva il giudice adito che i convenuti dovevano provare
3

novembre 1983, conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di

repentino abbandono del letto del fiume, da cui sarebbe
potuta derivare la natura privatistica dell’area sfruttata
come cava lasciata libera dal corso d’acqua che in precedenza
in essa scorreva, in via esclusivamente naturalmente e non

versione all’epoca vigente, così accogliendo la domanda del
Ministero.
Su gravame dell’amministrazione, la Corte d’appello di
Torino, con sentenza del 9 ottobre 2011, ha rilevato la sua
incompetenza funzionale sulle domande aventi ad oggetto un
accertamento negativo della demanialità di superfici vicine a
fiumi, di cui solo il Tribunale regionale delle acque presso
la Corte d’appello di Torino (d’ora in avanti: TRAP Torino)
poteva conoscere, ai sensi dell’art. 140, l ° comma, lett. a,
del R.D. 11 dicembre 1993 n. 1775 (da ora T.U. Acque).
A seguito della rilevata incompetenza funzionale del giudice
adito ad opera della Corte di appello di Torino investita
della causa con il gravame, l’azione era riassunta dinanzi al
TRAP Torino, che rigettava la domanda, per essere rimasta
incerta la situazione che aveva determinato il mutamento
dello stato dei luoghi e soprattutto se questo fosse avvenuto
naturalmente o per opere antropiche.
4

per opere antropiche ai sensi dell’art. 946 c.c., nella

Pertanto la domanda in riassunzione del Bosio e della Barra e
della società di cui in epigrafe, notificata il 28 marzo
2003, era rigettata perché non provata; con essa si era
dedotto che l’area, da cui erano stati estratti gli inerti,

dalle acque del fiume, chiedendo gli attori di essere
dichiarati unici proprietari di tali aree, delle quali il
Ministero, con il proprio atto in riassunzione, aveva chiesto
invece dichiararsi la natura demaniale, perché la eventuale
trasformazione della superficie che precede era stata effetto
di opere antropiche e non di trasformazioni naturali.
Il TRAP Torino, con sentenza del 1 0 settembre 2006, rigettava
le eccezioni dei convenuti sulla domanda del Ministero delle
Finanze di accertare la natura demaniale dei due laghi
artificiali originati dagli scavi operati dai privati per lo
sfruttamento della cava, che aveva determinato la attuale
conformazione del corso attuale del fiume Dora Baltea,
dovendosi ritenere che l’alveo sorto per l’abbandono delle
acque era comunque rimasto nel patrimonio dello Stato per
essere i mutamenti di esso derivati da opere dell’uomo, tanto
che nessun privato ne aveva rivendicato la proprietà.
Su gravame del Bosio e della Borra, che avevano dedotto la
5

era di natura privata, perché “naturalmente” abbandonata

naturale trasformazione, con l’alluvione del 1957, della Dora
Baltea lungo la quale erano emersi vari terreni in precedenza
allagati, tanto che in Catasto tali aree erano state
classificate come acque fino al 1923, divenendo Demanio nel

dovevano per i privati appellanti essere classificati come
terreni privati.
La Corte d’appello di Torino dichiarava la incompetenza
funzionale per materia sulla domanda, della quale doveva
conoscere il solo Tribunale delle acque pubbliche presso la
locale Corte d’appello (da ora TRAP Torino), dinanzi al quale
la causa era riassunta, con ricorso notificato il 4 marzo
2003.
Era già risultato dall’istruttoria espletata anche dinanzi al
giudice non specializzato che una diga realizzata dalla
s.p.a. Montecatini nel 1957, non aveva prodotto alcuno
innalzamento del terreno, rimasto soggetto alle piene
ordinarie del fiume e, quindi, da ritenere ancora demaniale.
In difetto di prova dell’abbandono naturale del precedente
corso del fiume, si è negato dal TRAP Torino, con sentenza
del 14 giugno – 1 0 settembre 2006, che vi fosse la prova
della cessazione naturale della demanialità del vecchio corso
6

1975 e di nuovo acque, almeno in parte, dal 1984, per cui

del fiume, non avendo rilevanza probatoria su tale natura le
risultanze catastali, per cui era da ritenersi immodificato
il carattere demaniale delle aree di cui sopra, mai
trasformate in private, se non per interventi antropici che,

previgente alla L. n. 37 del 1994, impedivano ogni mutamento
della natura pubblica o privata di esse.
Il Tribunale superiore delle acque pubbliche (d’ora in poi
T.S.A.P.), con sentenza del 26 marzo 2012, ha respinto gli
appelli dei privati Bosio e Borra anche per conto della
società di fatto contro la sentenza del Trap Torino,
riconoscendo la legittimazione ad agire del Ministero, per
essere lo Stato ancora titolare del Demanio fluviale, che
solo nella Valle d’Aosta, era stato trasferito in concessione
alla Regione, respingendo poi nel merito il gravame degli
indicati privati, per non essere provata la pretesa
intervenuta trasformazione in privata della natura pubblica
delle aree già demaniali.
In particolare, il T.S.A.P. ha ritenuto non provati dagli
appellanti né l’alluvione impropria di cui al già vigente
art. 942 c.c., per ritiro insensibile delle acque sul
terreno, né quella propria, di cui all’art. 946 c.c. già in
7

ai sensi degli artt. 942 e 946 del c.c. nella versione

vigore, per cui il letto abbandonato del fiume sarebbe
spettato ai proprietari confinanti con le due rive, cioè ai
ricorrenti in questa sede, salvo che i mutamenti del letto
del fiume fossero dipesi da opere antropiche.

il Ministero dell’economia e delle Finanze è legittimato ad
agire a tutela del demanio fluviale e del carattere pubblico
del terreno in cui scorre il corso d’acqua, essendo la
Regione solo concessionaria di tali aree, ai sensi dell’art.
5 dello Statuto della Valle d’Aosta approvato da legge
costituzionale 26 febbraio 1948 n. 4, e non essendosi
previsto il passaggio delle acque pubbliche al di fuori di
quell’ambito regionale, lasciando le stesse in proprietà
dello Stato, che era unico soggetto legittimato a chiederne
quindi la tutela.
Il Tribunale superiore con sentenza n. 49 del 26 marzo 2012,
ha rilevato che, prima della legge 5 gennaio 1994 n. 37, non
si erano avuti né un ritiro naturale delle acque dal corso
del fiume né un abbandono repentino di quest’ultimo, per cui
era da negare che del letto del fiume abbandonato fossero
divenuti proprietari i titolari dei fondi finitimi ad esso.
Lo stesso c.t.u. nominato nel processo di merito aveva
8

Rileva il T.S.A.P. Torino, in sede di appello, anzitutto, che

rilevato che, già nel 1950, dalla mappa catastale emergevano
ampi depositi di sabbie e ghiaie nell’alveo della Dora Baltea
oggetto di causa e che il quindi il fenomeno si era solo
incrementato con la costruzione della traversa di derivazione

accentuando la tendenza del corso d’acqua a depositare
materiale solido in quel tratto.
L’alveo del fiume meandrizzato intorno al 1954, rimaneva
comunque identificabile ancora nel 1965, anche se non era più
corrispondente a quello originario e principale, a causa
dell’attività estrattiva degli inerti sulla sponda sinistra
del fiume, intensificata dal 1975 per costruire l’autostrada
Torino-Aosta, con la conseguenza che s’era evidenziato un
ampio lago artificiale effetto delle escavazioni, cui se ne
era aggiunto un secondo, anche esso dovuto alle modifiche
della situazione dei luoghi negli anni ’70, comunque effetto
di lavori, anche di ripristino, di tali luoghi, con abbandono
della forma ad intreccio e a meandro del fiume Dora Baltea,
che era divenuto rettilineo, rimanendo tale anche dopo
l’alluvione del 1993.
Le conclusioni che precedono, già contenute nella relazione
del c.t.u. nominato in primo grado, erano state confermate
9

dello stabilimento della Montecatini che operava in loco,

anche dal consulente nominato in appello il quale aveva
affermato che l’area oggetto dell’accertamento faceva parte,
fino al 1924, dell’alveo della Dora Baltea, e che essa, tra
il 1924 e il 1930, a causa della realizzazione dalla

Montecatini di una traversa a valle che aveva determinato un
rallentamento della velocità della corrente a monte, aveva
dato luogo al deposito di grandi quantità di materiali inerti
granulari, che avevano innalzato la quota del pelo libero e
provocato l’allagamento dei terreni circostanti la Dora
Baltea e l’espansione dell’alveo stesso nella zona a sud, per
effetto di dette opere.
Nel 1957, un’alluvione devastante aveva distrutto la traversa
della Montecatini di cui sopra, abbassando il pelo libero
dell’acqua stessa e provocando un mutamento di percorso del
fiume e del vecchio alveo, che si riattivava solo con gli
eventi di piena verificatisi nel 1982, tanto che in quell’
anno, erano state respinte le richieste dei Bosio, di
privatizzare le aree che precedono, di cui si era chiesta
nuovamente la sdemanializzazione e l’acquisizione per i
privati attori nel giudizio.
Alla fine degli anni ’60, per l’incremento dell’attività
estrattiva dovuta alla costruzione dell’autostrada Torino10

/

Aosta, si era formato il lago orientale, sulla cui sponda
sinistra, all’epoca, si era situata un’azienda di lavorazione
e trasformazione di inerti, con la conseguenza che
certamente, tra il 1968 e il 1974, l’alveo della Dora Baltea

luogo alla nascita di un secondo lago a sud del vecchio
alveo.
In sintesi, lo stesso c.t.u. nominato nel merito aveva
chiarito che la quasi totalità dei terreni in questione era
emersa già nel 1899, ma che tale emersione era risultata
definitiva e chiara solo dal 1965, dopo le rilevanti opere
antropiche di cui sopra, al cui concorso il fenomeno poteva
essere attribuito.
Il T.S.A.P. ha quindi ritenuto che non vi era il presupposto
“naturale” che solo può fondare l’accessione fluviale di cui
all’art. 946 c.c. previgente; di conseguenza era da negare
anche l’acquisto a titolo originario dei terreni su cui erano
avvenuti gli scavi oggetto di causa, considerato comunque
l’effetto interruttivo delle due citazioni del 1983 e del
1985 dei privati, per cui era da negare l’acquisto a titolo
originario dei terreni per i privati appellanti, restando
assorbito l’appello incidentale condizionato del Ministero, 11

aveva abbandonato definitivamente il vecchio corso e dato

con spese del giudizio a carico degli appellanti stessi Bosio
e Borra.
Per la cassazione di tale sentenza viene proposto dalla
società di fatto Cave di Champagne di Bosio L. e c., in

quali eredi di Lina Borra, ricorso notificato a mezzo posta
il 9 novembre 2012 al Ministero dell’Economia e delle Finanze
e all’Agenzia del Demanio, soggetti che non si sono difesi in
questa sede.
Motivi della decisione

Il ricorso di Leopoldo Bosio e Walter Malacrida Bosio, anche
quali eredi di Lina Borra, dopo avere riepilogato in 23 delle
26 pagine di cui è composto, la storia del procedimento e
descritto i fatti oggetto di causa, con ampi brani delle
relazioni dei c.t. nominati nel merito, richiama la
documentazione fotografica allegata alle relazioni degli
ausiliari tecnici nominati in primo e secondo grado,
deducendo due motivi di cassazione della sentenza impugnata,
per violazione e falsa applicazione di legge e per omessa,

persona di Bosio Leopoldo e Walter Malacrida Bosio, anche

insufficiente e/o contraddittoria motivazione.
Affermano i ricorrenti che la relazione dell’ing. Mosca,
sulla quale si fonda la decisione oggetto di ricorso e che
I
12

era stata redatta, in altro analogo giudizio, relativo ad
aree finitime a quelle per cui è causa, non poteva
utilizzarsi nel grado di appello del giudizio dinanzi al
Tribunale superiore delle acque pubbliche, essendo frutto del

mero accertamento tecnico preventivo chiesto dall’Agenzia
delle Entrate, che riportava le conclusioni di altra indagine
svoltasi irritualmente e senza rispetto del contraddittorio.
Tale violazione di legge comporta per i ricorrenti che, dei
fatti come ricostruiti negli accertamenti tecnici di cui si è
detto, non poteva tenersi conto nella sentenza oggetto di
ricorso, che invece ha basato la decisione su di essi.
1.2. Si deduce, in secondo luogo, che comunque la relazione
di consulenza a base della decisione impugnata, riguardava
altra causa tra altre parti e in luoghi a valle di quelli
oggetto del presente giudizio di merito.
Affermano i ricorrenti che le conclusioni del c.t.u., sulle
quali il T.S.A.P. ha fondato la sua decisione evidenziano
come l’andamento definitivo dell’alveo della Dora Baltea e la
sua conformazione erano dovuti ad attività antropiche.
Il Tribunale superiore non ha tenuto conto delle affermazioni
dello stesso ausiliare, per il quale le aree in contestazione
erano fin dalla fine del secolo diciannovesimo nelle stesse
‘(
13

condizioni e da allora non facevano più parte dell’alveo
della Dora Baltea, che era rimasto sempre identico, prima e
dopo la costruzione della traversa da parte della
Montecatini.
In realtà, la maggior parte del terreno in contestazione era
emersa stabilmente sin dalla fine dell’ottocento e solo una
parte minore era rimasta sotto acqua fino al 1965, per cui
era scorretta la conclusione del T.S.A.P. che aveva ritenuto
che l’intera superficie tutta demaniale, in tale contesto di
fatto, dando rilievo solo alla parte generale della descritta
evoluzione nel tempo dello stato dei luoghi, senza
considerare la evidenziata mancanza di modifiche dell’area in
contestazione, che non poteva che considerarsi non demaniale.
2. I due motivi di ricorso sono inammissibili, non chiarendo
in quale sede processuale di merito i ricorrenti abbiano
denunciato la violazione di legge dedotta con il primo motivo
d’impugnazione, cioè la circostanza che la relazione dell’
ing. Mosca, che era stato c.t.u. nominato nel merito in altro
processo relativo a luoghi vicini a quelli oggetto di causa,

.

era frutto di accertamenti peritali resi solo con la
partecipazione del Ministero e non in contraddittorio tra le _
parti, come deducono i ricorrenti.
14

1P

L’ing. Mosca, nel diverso processo di merito in cui aveva
espletato il suo mandato, non risulta avere violato il
. diritto di difesa delle parti di esso e comunque i ricorrenti
in questa sede non deducono alcun errore di fatto

considerare invalide le sue conclusioni.
In particolare, non è precisato dai ricorrenti quale sia
stato il denunciato uso errato delle risultanze della
relazione del c.t.u. depositata “in altra causa, con altra
parte, per terreni adiacenti a quelli oggetto di questa
controversia” (pag. 8 sentenza di merito), né si chiarisce
in cosa consista la dedotta violazione dei diritti di difesa
dei ricorrenti, per detto uso delle conclusioni dell’
ausiliare nella diversa causa sopra richiamata.
Neppure si contestano, se non genericamente, le risultanze
delle indagini del tecnico Mosca, analiticamente riportate
alle pagg. 8 e 9 della sentenza oggetto di ricorso, dato che
i ricorrenti chiedono soltanto di ripetere l’indagine tecnica
del c.t.u., non altrimenti censurata, solo per essersi svolta
in altro analogo processo, relativo a terreni vicini a quelli
di cui è causa e in situazione di fatto simile a quella a
base delle domande dei privati.
15

dell’ausiliare nella sua relazione, per il quale sarebbero da

2.1. Nulla risulta censurato nel ricorso in ordine alle
evidenziate attività antropiche che avrebbero concorso a
determinare il mutamento dello stato dei luoghi e la pretesa
trasformazione delle aree in contestazione, che escludono

l’alterazione dei luoghi causata da intervento umano.
Nessun cenno vi è ad altre indagini di tecnici, che
dimostrino il carattere solo naturale dei pretesi mutamenti
dello stato dei luoghi che, se non effetto di interventi
antropici, avrebbe potuto comportare la modifica della natura
pubblica delle aree in contestazione e la qualificazione
delle stesse come private.
In difetto di ulteriori elementi che consentano di escludere
la correttezza delle conclusioni del c.t.u. Mosca in altra
causa analoga, ma relativa a terreni vicini a quelli oggetto
del presente giudizio e in condizione simile a quella di tali
terreni, non può che dichiararsi inammissibile il primo
motivo di ricorso.
Infatti non risulta chiarito dalla ricorrente la ragione che
imporrebbe di ritenere inapplicabili le conclusioni del
.

tecnico fatte proprie dal Tribunale delle acque, per cui il
primo motivo di ricorso è precluso, perché privo di
16

come tali la loro sdemanializzarle per essere stata

autosufficienza su detto punto decisivo.
Altrettanto è a dire in ordine al difetto di motivazione
denunciato con il secondo motivo di ricorso che, pur
evidenziando come la relazione a base della sentenza

più a valle di quelli oggetto di causa, non chiarisce le
ragioni che avrebbero imposto di ritenere di ordine
“naturale” e non quindi opera dell’uomo le modifiche dello
stato dei luoghi, che avrebbero sottratto alle piene
ordinarie della Dora Baltea, le aree oggetto di ricorso.
In sostanza, neanche il secondo motivo di ricorso assume
rilievo logico giuridico, denunciando una insufficiente o
omessa motivazione, che certamente invece vi è ed è logica ed
autosufficiente, non specificandosi, nella impugnazione, le
ragioni che imporrebbero la cassazione della sentenza di
merito in rapporto al rilevato contributo antropico alla
trasformazione

dei

luoghi

ostativo

alla

loro

sdemanializzazione, che rende irrilevante detto mutamento per
privatizzare le aree per cui è causa.
3. Deve quindi rigettarsi il ricorso, dovendosi porre a
carico dei ricorrenti le spese del giudizio di cassazione nel

quale i due intimati si sono difesi irritualmente con atto di
17

impugnata avesse riguardo a luoghi diversi e siti in una zona

costituzione del 15 febbraio 2013, partecipando alla udienza
di discussione con l’assistenza dell’Avvocatura erariale.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido

favore di entrambi i contro ricorrenti, in complessivi C
7.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio delle Sezioni
unite civili della corte di Cassazione del 22 ottobre 2013.

a pagare le spese del giudizio di cassazione che liquida, in

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