Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2580 del 04/02/2010

Cassazione civile sez. trib., 04/02/2010, (ud. 28/09/2009, dep. 04/02/2010), n.2580

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. MARIGLIANO Eugenia – Consigliere –

Dott. MELONCELLI Achille – rel. Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso rgn 18889/2005, proposto da:

Comune di Pordenone, di seguito “Comune”, in persona del vice sindaco

in carica, signor P.E., rappresentato e difeso dagli avv.

Annechini Egidio e De Martini Corrado, presso il quale è

elettivamente domiciliato in Via F. Siacci 2B, Roma;

– ricorrente –

contro

il signor M.G., di seguito anche “Contribuente”,

(OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale (CTR) di

Trieste 27 aprile 2004, n. 40/2/04, depositata il 25 maggio 2004;

udita la relazione sulla causa svolta nell’udienza pubblica del 28

settembre 2009 dal Cons. Dott. Achille Meloncelli;

udito l’avv. Corrado De Martini per il Comune;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

Fedeli Massimo, che ha concluso per il rinvio a nuovo ruolo in attesa

della decisione delle Sezioni unite e, in subordine, per il rigetto

del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Gli atti introduttivi del giudizio di legittimità.

1.1.1. L’8 luglio 2005 è notificato al signor M.G. un ricorso del Comune per la cassazione della sentenza descritta in epigrafe, che ha respinto l’appello del Comune contro la sentenza della Commissione tributaria provinciale (CTP) di Pordenone n. 412/01/2001, che aveva accolto il ricorso del Contribuente contro l’avviso di pagamento di L. 140.700 del tributo per il servizio di fognatura e depurazione per il 1998.

1.1.2. Il ricorso per cassazione del Comune è sostenuto con due motivi d’impugnazione e si conclude con la richiesta che sia cassata la sentenza impugnata, con ogni conseguente statuizione, anche in ordine alle spese processuali.

1.2. L’intimato non si costituisce in giudizio.

2. I fatti di causa.

I fatti di causa sono i seguenti:

a) il 5 marzo 2001 il Comune chiede al Contribuente il pagamento di L. 140.700 per il tributo del servizio di fognatura e depurazione per il 1998;

b) il ricorso del Contribuente è accolto dalla CTP di Pordenone, perchè, in base all’ari 14 L. 10 maggio 1976, n. 319, presupposto del tributo è l’effettiva fruizione del servizio mediante l’effettivo collegamento alla fognatura o la concreta possibilità del suo utilizzo;

c) l’appello del Comune è, poi, respinto dalla CTR con la sentenza ora impugnata per cassazione.

3. La motivazione della sentenza impugnata.

La sentenza della CTR, oggetto del ricorso per cassazione, è così motivata:

a) “presupposto per l’applicazione del canone … è l’utilizzo di uno scarico nella pubblica fognatura, anche in modo potenziale, a prescindere dall’effettivo uso … da parte del singolo”;

b) “nel caso in esame è lo stesso Comune … ad ammettere che nella esecuzione della rete fognaria non era stata predisposta a confine con la proprietà del contribuente la presa di utenza, come risulta dalla deroga temporanea all’allacciamento rilasciata dall’Amministrazione comunale e dall’affermazione – non confutata – del contribuente sulla circostanza che la presa in questione venne realizzata solo nell’autunno 1999, dopo la realizzazione dell’allacciamento alla rete fognaria di (OMISSIS)”;

c) “è evidente, quindi che, in conseguenza di ciò, non vi era alcuna possibilità per il contribuente, nemmeno potenziale, di fruire del relativo servizio. Non si vede, d’altro canto, che senso possa avere il concedere una deroga all’allacciamento (pur ragionevolmente richiesto) e poi pretendere, invece, il pagamento del canone per un servizio in alcun modo fruibile”.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

4. Il primo motivo d’impugnazione 4.1. La censura proposta con il primo motivo d’impugnazione.

4.1.1. La rubrica del primo motivo d’impugnazione il primo motivo d’impugnazione è preannunciato dalla seguente rubrica: “Violazione e falsa applicazione della L. 5 gennaio 1994, n. 36 e in particolare violazione della L. 5 gennaio 1994, n. 36, art. 14, violazione della L. n. 319 del 1976, artt. 16 e 17”.

4.1.2. La motivazione addotta a sostegno del primo motivo d’impugnazione.

Il Comune sostiene di aver dedotto in appello: l’esistenza e la violazione del Regolamento comunale di fognatura, che prevede l’obbligo di allacciarsi alla fognatura; l’obbligo per il Comune di chiedere comunque il pagamento del canone per il servizio di fognatura e depurazione; l’impossibilità di consentire al singolo utente di non allacciarsi alla rete fognaria, premiandolo con l’esenzione dal pagamento dell’imposta; l’assurdità del principio di lasciare libero il debitore d’imposta di pagare o meno l’imposta non allacciandosi alla rete fognaria; l’esistenza di gravi pericoli sul piano igienico sanitario e di salute pubblica connessi con il mancato allacciamento alla rete; l’impossibilità di consentire comportamenti in palese violazione delle norme poste a tutela delle acque dall’inquinamento; l’assurdità di prevedere, da un lato, l’esborso di gravosissime somme di denaro da parte dell’ente pubblico per costruire reti fognarie e impianti di depurazione e, dall’altro, che tali opere non avrebbero potuto essere compensate con le tariffe che erano finalizzate proprio a reperire le necessarie disponibilità finanziarie per la loro esecuzione. “Proprio con riferimento a tali motivi d’appello, il giudice di secondo grado avrebbe dovuto ricercare la norma da applicare al caso concreto e avrebbe dovuto quindi applicare la L. n. 319 del 1976, artt. 16 e 17, così come integrati dalla L. n. 36 del 1994, art. 14”.

4.1.3. La norma di diritto indicata dal ricorrente.

La norma di diritto invocata è indicata dal Comune attraverso la formulazione del seguente quesito di diritto: “In base alla L. 5 gennaio 1994, n 36 il servizio di depurazione delle acque reflue costituisce un servizio pubblico irrinunciabile, ed in forza dell’art. 14 della legge che gli utenti, anche potenziali, sono chiamati a contribuire tramite il versamento di apposito canone sia alle sue spese di gestione ordinaria e a quelle di installazione e di completamento, comprese quelle per il collegamento fognario delle singole utenze. Il canone per i servizi di depurazione delle acque reflue è dovuto indipendentemente non solo dalla effettiva utilizzazione del servizio, ma anche dalla istituzione dello stesso o dall’esistenza dell’allacciamento fognario della singola utenza”.

5. Il secondo motivo d’impugnazione 5.1. La censura proposta con il secondo motivo d’impugnazione.

5.1.1. La rubrica del secondo motivo d’impugnazione.

Il secondo motivo d’impugnazione è posto sotto la seguente rubrica:

“Violazione e falsa applicazione della L. 5 gennaio 1994, n. 36 e in particolare violazione della L. 5 gennaio 1994, n. 36, art. 14, violazione della L. n. 319 del 1976, artt. 16 e 17. Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia. Violazione dei canoni di interpretazione di un documento”.

5.1.2. La motivazione addotta a sostegno del secondo motivo d’impugnazione.

Il Comune afferma, al riguardo, che “ha sostenuto, nel corso del giudizio di primo e di secondo grado, che elemento o presupposto di fatto necessario per la nascita dell’obbligazione tributaria per cui è processo era unicamente la possibilità dell’allacciamento alla rete fognaria comunale e non l’effettivo allacciamento. Il giudice di secondo grado non ha neppure preso in esame l’assunto difensivo del comune, affermando che era necessario l’effettivo allacciamento”. Le argomentazione addotte a sostegno del primo motivo d’impugnazione varrebbero, a maggior ragione, nel caso in cui l’utente non sia effettivamente allacciato, ma possa sicuramente allacciarsi.

5.13. La norma di diritto indicata dal ricorrente.

Il Comune indica la norma, di cui invoca l’applicazione, formulando il seguente quesito di diritto: “In forza della L. 5 gennaio 1994, n. 36, art. 14 gli utenti che possano allacciarsi alla rete fognaria comunale e non siano allacciati sono egualmente obbligati al pagamento del tributo relativo ai servizi di depurazione e di fognatura”.

6. La valutazione dei motivi d’impugnazione 6.1. La valutazione congiunta dei due motivi d’impugnazione.

I due motivi sono così strettamente connessi, che meritano di essere esaminati congiuntamente.

6.2. L’individuazione della norma applicabile.

Al riguardo si deve sottolineare che il punto nodale, ed in larga misura decisivo, ai fini della risoluzione delle questioni controverse, è costituito dall’individuazione della disciplina applicabile ratione temporis all’annualità in discussione (1998).

E’, pertanto, necessario tracciare il quadro normativo di riferimento, che risulta dalla successione di numerosi interventi legislativi:

a) la L. 10 maggio 1976, n. 319, stabilì che per i servizi relativi alla raccolta, all’allontanamento, alla depurazione e allo scarico delle acque di rifiuto provenienti da superfici ed edifici privati e pubblici è dovuto il pagamento di un canone o diritto secondo apposita tariffa, formata dalla somma di due parti, corrispondenti rispettivamente al servizio di fognatura ed a quello di depurazione (art. 16, commi 1 e 2) e che “La parte relativa al servizio di depurazione è dovuta dagli utenti del servizio di fognatura quando nel comune sia in funzione l’impianto di depurazione centralizzato anche se lo stesso non provveda alla depurazione di tutte le acque provenienti da insediamenti civili” (art. 17, comma 3, in vigore dal 18/03/1995 al 31/12/1998, nel testo modificato dal D.L. 17 marzo 1995, n. 79, art. 2);

b) il D.L. 28 febbraio 1981, n. 38, art. 2 conv. in L. 23 aprile 1981, n. 153, aggiungendo la L. 10 maggio 1976, n. 319, art. 17-ter, stabilì che l’accertamento del canone in questione doveva essere effettuato in base alle disposizioni del testo unico della finanza locale (R.D. 14 settembre 1931, n. 1175) e la sua riscossione secondo le disposizioni del R.D. 14 aprile 1910, n. 639, in tema di entrate patrimoniali dello Stato, mentre per il relativo contenzioso dichiarò applicabili le norme di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 638, art. 20;

c) la L. 5 gennaio 1994, n. 36, introdusse il servizio idrico integrato – comprensivo, oltre che della raccolta e depurazione, anche della fornitura delle acque (art. 4, comma 1, lett. f) – qualificando la tariffa come corrispettivo del servizio (art. 13), pur stabilendo che “La quota di tariffa riferita al servizio di fognatura e depurazione è dovuta dagli utenti anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi” (art. 14, comma 1); l’art. 32 abrogò quindi l’art. 17-ter, della L. 10 maggio 1976, n. 319;

d) il D.L. 17 marzo 1995, n. 79, art. 2, comma 1-bis, convertito con modificazioni dalla L. 17 maggio 1995, n. 172, aggiunse un ultimo comma, all’art. 17 della L. 10 maggio 1976, n. 319, che, ristabilendo di fatto il contenuto dell’art. 17-ter citato, disponeva che “Fino all’entrata in vigore della tariffa fissata dalla L. 5 gennaio 1994, n. 36, artt. 13 e ss., per l’accertamento del canone o diritto, continuano ad applicarsi le disposizioni del testo unico per la finanza locale … e la riscossione è effettuata ai sensi del D.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43, artt. 68 e 69, previa notificazione dell’avviso di accertamento o di liquidazione”, mentre per il contenzioso continuavano ad applicarsi le disposizioni del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 638, art. 20;

e) la L. 23 dicembre 1999, n. 448, art. 31, comma 28, stabilì che “A decorrere dal 1 gennaio 1999 il corrispettivo dei servizi di depurazione e di fognatura costituisce quota di tariffa ai sensi della L. 5 gennaio 1994, n. 36, artt. 13 e ss., “ed abrogò, di conseguenza, l’art. 17, u.c., della L. 10 maggio 1976, n. 319, introdotto dal D.L. 17 marzo 1995, n. 79);

f) il D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152, modificando l’indicazione temporale della disposizione della L. 23 dicembre 1999, n. 448, dispose a sua volta che “L’abrogazione della L. 10 maggio 1976, n. 319, artt. 16 e 17, … ha effetto dall’applicazione della tariffa del servizio idrico integrato di cui alla L. 5 gennaio 1994, n. 36, artt. 13 e ss.” precisando altresì che il canone o diritto di cui alla L. 10 maggio 1976, n. 319, art. 16, continua ad applicarsi in relazione ai presupposti di imposizione verificatisi anteriormente all’abrogazione del tributo ad opera della presente legge, con conseguente applicazione delle disposizioni relative ad esso per quanto concerne le fasi dell’accertamento e della riscossione (art. 62, commi 5 e 6);

g) il D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258, art. 24, comma 1, lett. a), infine, dispose la soppressione del D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152, art. 62, commi 5 e 6, rendendo in tal modo immediatamente efficace, a partire dalla sua entrata in vigore (3 ottobre 2000, essendo stato il provvedimento pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 18 settembre 2000) quanto previsto dalla L. 23 dicembre 1999, n. 448, art. 31, comma 28.

Alla luce di questa ricostruzione della normativa, si può ritenere che la disciplina applicabile nel caso concreto debba essere individuata nelle disposizioni della L. 10 maggio 1976, n. 319, in particolare negli artt. 16 e 17, e non nella successiva L. 5 gennaio 1994, n. 36. Ciò in quanto, come si è sopra visto, i diversi interventi legislativi che sono succeduti a tale ultimo testo normativo hanno prorogato l’applicazione della precedente L. n. 319 del 1976, artt. 16 e 17 al 31 dicembre 1998 (L. 23 dicembre 1999, n. 448, art. 31, comma 28), termine successivamente esteso dal D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152, al momento dell’entrata in vigore del sistema idrico integrato di cui alla L. 5 gennaio 1994, n. 36; soltanto con la soppressione di tale ultima disposizione ad opera del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258, e, quindi, dalla sua entrata in vigore (3 ottobre 2000) può pertanto dirsi che le disposizioni in materia di cui alla L. 10 maggio 1976, n. 319, hanno cessato efficacia, essendo state definitivamente soppiantate dalla L. 5 gennaio 1994, n. 36, artt. 13 e ss..

Questa conclusione è del tutto in linea con l’orientamento più volte espresso da questa Corte in materia di giurisdizione sulle controversie relative agli importi richiesti per il servizio di fognatura e di depurazione, che ha affermato il principio secondo cui la domanda avente ad oggetto la non debenza di queste somme rientra nella competenza del giudice tributario se riferita ad un periodo anteriore al 3 ottobre 2000, data di entrata in vigore del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258, art. 24, atteso che, prima di essa, trova applicazione la disciplina precedente alla L. 5 gennaio 1994, n. 36, che attribuiva al predetto canone natura di tributo comunale, avendo la predetta disposizione di cui all’art. 24, abrogando del D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152, l’art. 62, commi 5 e 6, eliminato per il futuro il transitorio differimento dell’inizio di efficacia della L. 23 dicembre 1999, n. 448, art. 31, comma 28, che ha qualificato il corrispettivo di tale servizio come quota di tariffa ai sensi della L. 5 gennaio 1994, n. 36 (Cass. SU. n. 6418 del 2005; Cass. S.U. n. 19388 del 2003; Cass. S.U. n. 19390 del 2003; Cass. S. U. n. 11188 del 2003; Cass. S.U. n. 16157 del 2002; Cass. S.U. n. 11631 del 2002).

Nè può essere condivisa la posizione dell’Amministrazione ricorrente che suggerisce una contemporanea applicazione della L. 10 maggio 1976, n. 319, artt. 16 e 17, e del D.L. 5 gennaio 1994, n. 36, art. 14, denunziandone la contestuale violazione da parte del giudice a quo. Al di là, invero, di quanto è stato finora osservato, in ordine alla vigenza temporale di queste due leggi, appare sufficiente un semplice confronto tra il contenuto di queste disposizioni per convincersi della loro sostanziale inconciliabilità e quindi della impraticabilità della soluzione avanzata dal Comune. La conclusione secondo cui la L. 5 gennaio 1994, n. 36, art. 14, per le ragioni sopra illustrate, non trovi applicazione per il periodo anteriore al 3 ottobre 2000, risulta del resto confermata con la massima chiarezza dall’ordinanza n. 55 del 10 febbraio 2006 della Corte costituzionale, secondo cui “la disciplina dei canoni di depurazione delle acque versati nel periodo precedente al 3 ottobre 2000 – oggetto dei giudizi a quibus – rientra non nell’ambito temporale di applicazione della L. n. 36 del 1994, denunziato art. 14, comma 1, bensì in quello della L. 10 maggio 1976, n. 319, artt. 16 e 17”. In questa direzione merita richiamo anche la recente sentenza delle S.U. di questa Corte n. 21887 del 15 ottobre 2009, che, nel pronunciarsi su una questione di giurisdizione in ordine ad una pretesa risalente al periodo precedente al 3 ottobre 2000, ha dichiarato ininfluente sulla propria decisione la sentenza della Corte costituzionale n. 335 del 2008, che ha dichiarato parzialmente illegittima L. 5 gennaio 1994, n. 36, art. 14, sul presupposto – implicito – della non applicabilità, ratione temporis, di tale disposizione nel caso concreto.

La ricostruzione della normativa in materia permette, pertanto, di concludere sul punto nel senso che nel caso concreto, in cui si discute della debenza dei canoni di fognatura e di depurazione per il 1998, trovano applicazione la L. 10 maggio 1976, n. 319, artt. 16 e ss., in particolare l’art. 17, comma 3, sopra richiamato, che in relazione alla parte del canone relativa al servizio di depurazione dichiara lo stesso dovuto quando nel comune sia in funzione l’impianto di depurazione centralizzato, anche se lo stesso non provveda alla depurazione di tutte le acque provenenti dagli insediamenti civili.

Con riferimento all’applicazione di questa disciplina, l’orientamento giurisprudenziale di questa Corte, dal quale non si ravvisano nè risultano dedotte valide ragioni per discostarsi, è stato costantemente nel senso che dalla già rilevata natura tributaria del relativo canone discende necessariamente l’obbligatorietà del suo pagamento, indipendentemente dalla effettiva utilizzazione del servizio, trattandosi di servizio pubblico irrinunciabile, che gli enti gestori sono tenuti ad istituire per legge ed alla cui gestione i potenziali utenti sono chiamati a contribuire mediante il versamento di un canone, anche se non ne abbiano usufruito in concreto, per avere affidato a terzi lo smaltimento delle acque reflue; con l’importante precisazione tuttavia che, in ragione della disciplina positiva, l’obbligo sorge soltanto per effetto dell’istituzione del servizio e dell’allaccio alla rete fognaria ed è perciò condizionato all’esistenza dell’impianto centralizzato ed all’allacciamento fognario (Cass. S.U. n. 96 del 2005; Cass. n. 11481 del 2003; Cass. n. 9434 del 1994; Cass. n. 2800 del 1992).

In conclusione, nel 1998 vigeva la seguente norma giuridica: “La parte relativa al servizio di depurazione è dovuta dagli utenti potenziali del servizio di fognatura, che siano posti nella condizione di poterlo utilizzare, quando nel comune sia in funzione l’impianto di depurazione centralizzato”.

6.3. La sussunzione della fattispecie concreta sotto la norma individuata.

Il caso di specie ultima oggetto della presente controversia è stato categorizzato dal giudice d’appello come rientrante nel genere del cittadino comunale che non è posto nella condizione di poter utilizzare il servizio di fognatura, perchè egli, a causa della mancata predisposizione dell’allaccio da parte del Comune, non può allacciarsi al servizio di fognatura attivato.

Ne deriva che il Contribuente non rientra nella categoria dei destinatari della norma indicati come soggetti passivi del tributo.

Lo dimostra con tutta evidenza il fatto che il secondo motivo assume come presupposto una fattispecie controversa differente da quella che è stata accertata dalla CTR e categorizzata come “utenza non utilizzabile nel 1998”, tanto che esso è da considerare inammissibile per irrilevanza.

7. Conclusioni.

7.1. Sul dispositivo.

Le precedenti considerazioni comportano il rigetto del ricorso del Comune.

7.2. Sulle spese processuali.

Poichè l’intimato non si è costituito in giudizio, nulla deve disporsi sulle spese processuali relative al giudizio di cassazione.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 28 settembre 2009 e il 26 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2010

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