Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25798 del 13/11/2020

Cassazione civile sez. lav., 13/11/2020, (ud. 25/06/2020, dep. 13/11/2020), n.25798

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –

Dott. LEO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 43-2020 proposto da:

C.N., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’Avvocato ROSARIA TASSINARI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i

cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI 12;

– resistente con mandato –

avverso il decreto n. 5239/2019 del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositato

il 04/11/2019 R.G.N. 445/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25/06/2020 dal Consigliere Dott. CINQUE GUGLIELMO.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

CHE:

1. Con decreto del 4.11.2019 n. 5239 il Tribunale di Bologna, rigettando il ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 bis, proposto avverso il provvedimento della competente Commissione territoriale notificato l’11.12.2017, ha respinto le istanze volte al riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria, avanzate in via gradata da C.N., cittadino della Nigeria.

2. Il richiedente ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

3. Il Ministero dell’Interno ha depositato atto di costituzione al fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

4. Il PG non ha rassegnato conclusioni scritte.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5, per non avere il Tribunale di Bologna applicato, nella specie, il principio dell’onere della prova attenuato così come affermato dalle SS.UU. della Suprema Corte di cassazione con la sentenza n. 27310 del 2008 e per non avere valutato la credibilità di esso richiedente alla luce dei parametri stabiliti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, in relazione al punto 3 dell’art. 360 c.p.c. e per difetto di motivazione.

3. Con il secondo motivo si censura la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), per non avere il Tribunale di Bologna riconosciuto la sussistenza di una minaccia grave alla vita del cittadino straniero derivante da una situazione di violenza indiscriminata, così come meglio definita nella sentenza della Corte di Giustizia C-456/2007 (Elgafaji): in particolare, per non avere considerato la situazione attuale della Nigeria, Paese di provenienza.

4. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1988, art. 5, comma 6, per non avere il Tribunale di Bologna esaminato compiutamente la ricorrenza dei requisiti per la protezione umanitaria, omettendo di verificare la sussistenza dell’obbligo costituzionale ed internazionale a fornire protezione in capo a persone che fuggono da paesi in cui vi siano sconvolgimenti tali da impedire una vita senza pericoli per la propria vita e incolumità.

5. Il primo motivo è infondato.

6. Il giudice di merito ha compiutamente argomentato il proprio convincimento di inconsistenza, vaghezza e totale inattendibilità del racconto del richiedente, e ciò escludeva -nel caso concreto- l’attivazione officiosa del potere-dovere di cooperazione istruttoria, appunto condizionato alla non intrinseca ed irrimediabile inattendibilità del racconto offerto (Cass. n. 11267/2019; Cass. n. 16925/2018, Cass. n. 32668/2019), relativamente alle richieste riguardanti lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, lett. a) e b).

7. Nella fattispecie, il Tribunale, con motivazione congrua, ha ritenuto che il racconto fornito dal richiedente (avere lasciato la Nigeria per recarsi in Libia a lavorare dopo avere comunicato all’uomo al quale riteneva che la zia lo avesse venduto l’intenzione di allontanarsi ed essere stato da questo minacciato di morte, uomo che gli aveva insegnato il mestiere di piastellistra, facendolo lavorare senza mai pagarlo, anzi dal quale era stato spesso maltrattato e picchiato) fosse generico e privo di circostanze di dettaglio idonee a dare concretezza alla versione fornita, in quanto il richiedente non era stato in grado neppure di indicare episodi specifici verificatisi nel periodo in cui sarebbe stato costretto a lavorare per l’uomo cui la zia l’avrebbe venduto (e anche questa vicenda è stata considerata genericamente prospettata) senza peraltro produrre alcun documento che avvalorasse quanto dichiarato.

8. Nessuna violazione di legge, come denunciata, nè difetto di motivazione è pertanto, ravvisabile nella decisione del Tribunale che ha applicato correttamente il principio secondo cui, in tema di protezione internazionale, il richiedente è tenuto ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta e, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, trovando deroga il principio dispositivo soltanto a fronte di una esaustiva allegazione, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare, soltanto quando egli, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e avere compiuto ogni sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 (Cass. n. 15794 del 2019).

9. Ciò, come sopra già specificato, per quanto riguarda la richiesta relativa allo status di rifugiato, in relazione alla quale non era stata fornita alcuna motivazione di possibili atti persecutori riconducibili al novero dei “motivi di persecuzione” di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8 e di quella riguardante la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), per non essere stata prospettata l’esistenza di una situazione di rischio effettivo di subire una delle forme di danno grave.

10. Il secondo ed il terzo motivo, da trattarsi congiuntamente per connessione riguardando essi la valutazione di una situazione di violenza generalizzata rilevante ai fini dell’applicazione dell’art. 14, lett. c) e della richiesta di protezione umanitaria, sono parimenti infondati.

11. Il Tribunale, procedendo in ogni caso agli accertamenti di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 (Cass. n. 13449 del 2019; Cass. n. 8819 del 2020) pur in presenza di una ritenuta inattendibilità delle dichiarazioni del richiedente, ha affermato che dall’esame delle fonti esaminate (risoluzione dell’UNHCR, rapporti EASO e Human Right Watch, World Report 2018 Nigeria ed altre) emergeva che nella regione di origine e provenienza della Nigeria (Delta State) non ricorreva una situazione di violenza generalizzata e indiscriminata derivante da un conflitto armato interno tale da porre la popolazione civile in pericolo per il solo fatto di essere presente sul territorio e che l’area critica in Nigeria rimaneva delimitata sia sotto il profilo della sicurezza sia sotto quello dell’emergenza umanitaria, agli Stati di Borno, Yobe e Adamawa, oltre alle regioni limitrofe.

12. Così argomentando, il giudice di merito ha fatto corretta applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), che richiede, ai fini della sussistenza del grave danno rilevante per il riconoscimento della protezione sussidiaria, che la minaccia grave e individuale alla vita e alla persona di un civile derivi dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale.

13. Il conseguente accertamento, in concreto, costituisce, poi, un apprezzamento di fatto rimesso al giudice di merito e censurabile, in sede di legittimità, solo nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. n. 32064/2018; Cass. n. 30105/2018).

14. In ordine, infine, alle doglianze riguardanti la domanda di protezione umanitaria, da valutare ai sensi della disciplina di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 comma 6, applicabile ratione temporis (cfr. Cass. n. 29459 del 2019), che presuppone l’esistenza di situazioni non tipizzate di vulnerabilità dello straniero, risultanti da obblighi internazionali o costituzionali, conseguenti al rischio del richiedente di essere immesso, all’esito del rimpatrio, in un contesto sociale, politico e ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali (Cass. n. 5358/2019), va osservato che il Tribunale ha escluso la sussistenza di una siffatta condizione di vulnerabilità dopo avere effettuato una valutazione comparativa, ponendo in rilievo l’assenza di un rischio di compromissione dei diritti fondamentali del ricorrente ed aggiungendo che quest’ultimo era giovane, non aveva problemi di salute e che non era rilevante il periodo trascorso in Libia, paese di transito, dovendo invece considerarsi il paese di origine.

15. Le suddette argomentazioni, corrette e adeguatamente motivate, resistono, pertanto, alle censure mosse, come specificate nel motivo di gravame.

16. Alla stregua di quanto esposto il ricorso deve essere rigettato.

17. Nulla va disposto in ordine alle spese di lite, non avendo l’Amministrazione resistente svolto attività difensiva.

18. Analogamente, nulla deve essere statuito circa la richiesta di liquidazione dei compensi, presentata dal Difensore del ricorrente ammesso al patrocinio a spese dello Stato, perchè, in tale ipotesi, secondo la disciplina di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, la competenza sulla liquidazione degli onorari al difensore per il ministero prestato nel giudizio di cassazione spetta, ai sensi dell’art. 83 del suddetto decreto, come modificato dalla L. 24 febbraio 2005, n. 25, art. 3, al giudice di rinvio, oppure a quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato a seguito dell’esito del giudizio di cassazione. Nel caso di cassazione e decisione nel merito, la competenza spetta invece a quello che sarebbe stato il giudice di rinvio ove non vi fosse stata decisione nel merito (Cass. n. 11028 del 2009; Cass. n. 23007 del 2010).

19. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali (Cass. Sez. Un. 4315/2000), come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza Camerale, il 25 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2020

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