Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25796 del 14/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 14/10/2019, (ud. 22/05/2019, dep. 14/10/2019), n.25796

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3590-2018 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE (OMISSIS), in persona del

Procuratore speciale pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA NOMENTANA 403, presso lo studio dell’avvocato ANTONELLA FIORINI,

rappresentata e difesa dall’avvocato MICHELA GABRIELLA NOCCO;

– ricorrente –

contro

L.O., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

LEONARDO SCARDIGNO;

– controricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1760/2017 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 11/08/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 22/05/2019 dal Presidente Relatore Dott.ssa ESPOSITO

LUCIA.

Fatto

RILEVATO

CHE:

la Corte d’appello di Bari, richiamando il dictum di Cass. S.U. n. 23397 del 18 novembre 2016, confermava la decisione del giudice di primo grado che aveva accolto l’opposizione proposta da L.O. avverso intimazione di pagamento scaturente da cartelle esattoriali relative a crediti previdenziali, per intervenuta prescrizione quinquennale maturatasi dopo la notifica delle cartelle medesime;

per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso Agenzia delle Entrate – Riscossione, subentrata a Equitalia Sud S.p.a., sulla base di due motivi;

L.O. ha resistito con controricorso, mentre l’Inps è rimasto intimato;

la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

Con il primo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 2946 c.c. (applicabilità del termine decennale di prescrizione dopo la notifica della cartella), rilevando che ciò che può prescriversi a seguito della mancata opposizione della cartella è solo l’azione diretta all’esecuzione del titolo definitivamente formatosi, riguardo alla quale, in difetto di diverse disposizioni (e in sostanziale conformità a quanto previsto per l’actio iudicati ai sensi dell’art. 2953 c.c.), trova applicazione il termine di prescrizione decennale ordinario di cui all’art. 2946 c.c.;

Con il secondo motivo deduce, ex art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 49 in relazione agli artt. 2946 e 2935 c.c. osserva, che con la formazione del ruolo e il contestuale ingresso nel rapporto dell’Agente della Riscossione, si determina un effetto novativo delle singole obbligazioni originariamente dovute a separate ragioni di credito e, a seguito della creazione del ruolo, inglobate in un unico credito pecuniario cumulativo così trasformato, nonchè deve trovare applicazione, in assenza di diverse previsioni per l’azione di riscossione, il termine di prescrizione decennale;

le censure, unitariamente considerate, sono inammissibili ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., poichè sui punti contestati la Corte territoriale ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte di legittimità e l’esame dei motivi non offre elementi nuovi rispetto all’elaborazione giurisprudenziale consolidata (ex plurimis Cass. n. 26013 del 29/12/2015, Cass. n. 10327 del 26/04/2017);

soccorre, infatti, il principio di diritto enunciato da questa Corte a Sezioni Unite (Sez. U. n. 23397 del 17/11/2016), secondo il quale: “La scadenza del termine – pacificamente perentorio – per proporre opposizione a cartella di pagamento di cui al D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, comma 5, pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito contributivo senza determinare anche la cd. “conversione” del termine di prescrizione breve (nella specie, quinquennale, secondo la L. n. 335 del 1995, art. 3, commi 9 e 10) in quello ordinario (decennale), ai sensi dell’art. 2953 c.c.. Tale ultima disposizione, infatti, si applica soltanto nelle ipotesi in cui intervenga un titolo giudiziale divenuto definitivo, mentre la suddetta cartella, avendo natura di atto amministrativo, è priva dell’attitudine ad acquistare efficacia di giudicato. Lo stesso vale per l’avviso di addebito dell’INPS, che, dall’1 gennaio 2011, ha sostituito la cartella di pagamento per i crediti di natura previdenziale di detto Istituto (D.L. n. 78 del 2010, art. 30, conv., con modif., dalla L. n. 122 del 2010)”;

in linea con il richiamato principio, con riferimento al preteso effetto novativo derivante dalla formazione del ruolo, questa Corte è intervenuta affermando che “In tema di riscossione di crediti previdenziali, il subentro dell’Agenzia delle Entrate quale nuovo concessionario non determina il mutamento della natura del credito, che resta assoggettato per legge ad una disciplina specifica anche quanto al regime prescrizionale, caratterizzato dal principio di ordine pubblico dell’irrinunciabilità della prescrizione; pertanto, in assenza di un titolo giudiziale definitivo che accerti con valore di giudicato l’esistenza del credito, continua a trovare applicazione, anche nei confronti del soggetto titolare del potere di riscossione, la speciale disciplina della prescrizione prevista dalla L. n. 335 del 1995, art. 3 invece che la regola generale sussidiaria di cui all’art. 2946 c.c. (Cass. n. 31352 del 04/12/2018), e ciò in conformità alla natura di atto interno all’amministrazione attribuita al ruolo (Cass. n. 14301 del 19/06/2009)”;

allo stesso modo non assume rilievo il richiamo al D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 20, comma 6, che prevede un termine di prescrizione strettamente inerente al procedimento amministrativo per il rimborso delle quote inesigibili, che in alcun modo può interferire con lo specifico termine di prescrizione previsto dalla legge per azionare il credito nei confronti del debitore (Sez. U. n. 23397 del 17/11/2016, Cass. n. 31352 del 04/12/2018);

in base alle svolte argomentazioni il ricorso va dichiarato inammissibile, con liquidazione delle spese del giudizio di legittimità secondo soccombenza nei confronti della parte costituita.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento in favore di L.O. delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 5.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15 % e accessori di legge, con distrazione in favore del difensore anticipata rio.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 22 maggio 2019.

Depositato in cancelleria il 14 ottobre 2019

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