Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25795 del 13/11/2020

Cassazione civile sez. lav., 13/11/2020, (ud. 04/03/2020, dep. 13/11/2020), n.25795

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27162-2016 proposto da:

S.F., domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dagli avvocati ALFONSO MARIA PARISI, TOMMASA PERGOLIZZI;

– ricorrente –

contro

P.V. ditta individuale, in persona del suo omonimo titolare,

domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE

SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato ANTONINO

FAZIO;

– controricorrente –

e contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati

ANTONINO SGROI, EMANUELE DE ROSE, LELIO MARITATO, ESTER ADA

SCIPLINO, CARLA D’ALOISIO, GIUSEPPE MATANO;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 977/2016 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 20/07/2016 R.G.N. 388/2013.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. con sentenza del 20 luglio 2016 la Corte di Appello di Messina ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva respinto il ricorso proposto da S.F. nei confronti di P.V. – volto al riconoscimento della natura subordinata di un rapporto asseritamente intercorso tra le parti dal 1991 al 2001, “sulla scorta del giuramento decisorio reso, su istanza della S., da P.V., che ha negato di avere mai assunto la S. alle proprie dipendenze dal 1991, che la stessa si fosse occupata, sotto le sue direttive, istruzioni e ordini, in favore della sua ditta o di altre sue attività, di disbrigare, fra le altre, le pratiche d’ufficio, andare alla posta, intrattenere i rapporti con il commercialista ai fini della gestione della contabilità, versare i contributi degli operai alla posta, rispondere al telefono, andare in banca, etc…”;

2. la Corte territoriale non ha invece ammesso due circostanze pure deferite dalla S., stante “il divieto di deferire il giuramento decisorio, ai sensi dell’art. 2739 c.c., in relazione a circostanze che, costituendo fatti illeciti, esporrebbero il giurante, ove confermate per vere, in sede di giuramento, a responsabilità civile”;

3. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso S.F. con due motivi, al quale ha resistito il P. con controricorso; l’Inps ha solo depositato procura; la ricorrente ha anche comunicato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2739 c.c., in relazione all’art. 57 c.p.c.; si sostiene che il divieto di cui alla disposizione del codice civile “ha efficacia soltanto nei confronti dell’autore del fatto illecito medesimo e non anche del soggetto danneggiato (nel ns. caso la S.), nè per negare un fatto che risulti avvenuto alla presenza di un pubblico ufficiale che ha formato l’atto stesso”; si deduce che i capitoli non ammessi “riguardavano specifiche circostanze affermate anche dal P. innanzi al tribunale penale di Messina”;

2. il motivo è inammissibile avuto riguardo alla questione della pretesa inoperatività del divieto per dichiarazioni rese innanzi all’autorità giudiziale penale, perchè introduce una questione nuova, rispetto alla quale non indica, nel corpo del motivo medesimo, quando la medesima sia stato portata all’attenzione della Corte di merito che su di essa nulla dice (cfr. Cass. SS. UU. n. 2399 del 2014; Cass. n. 2730 del 2012; Cass. n. 20518 del 2008; Cass. n. 25546 del 2006; Cass. n. 3664 del 2006; Cass. n. 6542 del 2004), esso è, per il resto, infondato;

come costantemente affermato da questa Corte, la formula del giuramento decisorio dev’essere tale che, una volta assunto il giuramento, al giudice di merito non resti altro da fare che accogliere o respingere la domanda, previa verifica dell’an iuratum sit (cfr. Cass. n. 24025 del 2009; Cass. n. 4001 del 2006); l’apprezzamento in ordine all’idoneità della formula ad orientare la soluzione della controversia è poi rimesso al giudice di merito, il cui giudizio in ordine alla portata decisoria dei fatti capitolati è sindacabile in sede di legittimità con esclusivo riferimento alla sussistenza di vizi logici o giuridici, nella specie neppure indicati dalla ricorrente (Cass. n. 9831 del 2014);

inoltre l’art. 2739 c.c. vieta di deferire il giuramento sopra un fatto illecito; la ratio di tale norma va individuata nell’esigenza di non costringere il giurante a scegliere – nel momento in cui viene espletata una prova con effettivi decisivi per l’esito della controversia – tra l’ammettere circostanze di fatto lesive della sua dignità e del suo decoro ed il giurare il falso, sicchè tale divieto è applicabile allorquando si ponga colui che deve giurare nella rigida alternativa di eventualmente confessare il proprio fatto illecito o di rendersi responsabile del reato di falso giuramento (Cass. n. 26851 del 2013); in precedente occasione (Cass. n. 8423 del 1998) questa Corte ha avuto modo di precisare che il divieto “trova il suo fondamento nell’opportunità di non obbligare il giurante a confessarsi autore di un atto per lui potenzialmente produttivo di responsabilità non soltanto penale, ma anche civile od amministrativa, sì che la locuzione “fatto illecito” (che ha sostituito quella di “fatto delittuoso” contenuta nell’art. 1364 codice previgente) va intesa nella sua (più ampia) portata di atto contrastante con norme imperative, di ordine pubblico, di buon costume o, comunque, turpe o riprovevole secondo la coscienza collettiva del tempo”;

la Corte siciliana ha motivato la decisione di escludere taluni capitoli del giuramento decisorio chiarendo che essi erano inammissibili ai sensi dell’art. 2739 c.c., perchè riguardavano fatti illeciti che avrebbero esposto il giurante P. a responsabilità civile e tale valutazione di merito, che implica anche quella circa la idoneità dei capitoli ammessi a risolvere la controversia, non risulta affatto censurata in modo adeguato da parte ricorrente;

3. con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., art. 2729 c.c., nonchè “omesso esame circa un fatto decisivo” e “omessa motivazione su punti decisivi”; si lamenta che la Corte territoriale, avendo escluso i detti capitoli di giuramento, “non era più vincolata – in ordine a tali circostanze – alla limitazione derivante dal detto mezzo processuale e, pertanto, su dette circostanze, avrebbe dovuto tenere conto di quanto contenuto nelle deposizioni testimoniali formatesi nel procedimento penale”;

4. il motivo è privo di fondamento;

come ricordato, una volta assunto il giuramento, al giudice di merito non resta altro da fare che accogliere o respingere la domanda, previa verifica dell’an iuratum sit, senz’altra indagine o valutazione istruttoria, come ha correttamente fatto la Corte territoriale argomentando che “l’esito dei giuramento decisorio, sfavorevole all’appellante, esime il Collegio dal valutare gli ulteriori profili di censura, nel merito, della sentenza appellata”;

3. conclusivamente il ricorso va rigettato; le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo in favore del controricorrente, mentre nulla va disposto nei confronti dell’INPS che non ha svolto attività difensiva;

occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese liquidate in Euro 5.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e spese generali al 15%.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 4 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2020

 

 

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