Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25792 del 13/11/2020

Cassazione civile sez. II, 13/11/2020, (ud. 13/10/2020, dep. 13/11/2020), n.25792

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rosanna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

Sul ricorso (iscritto al N.R.G. 16897/’18) proposto da:

IMPRESA IDROTERMICA SOLARE S.R.L., in persona del liquidatore e

legale rappresentante pro-tempore, (P.I.: (OMISSIS)), rappresentata

e difesa, in forza di procura speciale a margine del ricorso, dagli

Avv.ti Paolo Carbone, e Roberto Folchitto, ed elettivamente

domiciliata presso lo studio del primo, in Roma, via del Pozzetto,

n. 122;

– ricorrente –

contro

D.B.C., (C.F.: (OMISSIS)) e D.B.L.,

(C.F.: (OMISSIS)), nella loro qualità di uniche eredi di

D.B.W., rappresentate e difese, in virtù di procura speciale

apposta in calce al controricorso, dall’Avv. Pierluigi Maria

Tenaglia, ed elettivamente domiciliate presso lo studio dell’Avv.

Giuseppe Faberi, in Roma, v. Fabio Massimo, n. 60;

– controricorrenti –

Avverso l’ordinanza della Corte di cassazione (II sez. civile) n.

28215/2017, depositata il 27 novembre 2017;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 13

ottobre 2020 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. Cimmino Alessandro, che ha concluso per il rigetto

del ricorso;

uditi gli Avv.ti Paolo Carbone, per la ricorrente e Giuseppe

Militerni, (per delega) nell’interesse delle controricorrenti.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

1. Con ordinanza n. 28215/2017 (depositata il 27 novembre 2017) questa Corte rigettava il ricorso proposto nell’interesse della Idrotermica Solare s.r.l. in liquidazione avverso la sentenza n. 2634/2013 della Corte di appello di Roma e nei confronti di D.B.C. e D.B.L., con la quale detta Corte territoriale si era pronunciata in sede di rinvio a seguito della cassazione (con decisione n. 26226/2009 di questa Corte) della sentenza n. 34/2008 della Corte di appello di L’Aquila.

2. La Idrotermica Solare s.r.l. chiedeva, con ricorso ritualmente formulato, la revocazione della suddetta ordinanza per asserito errore di fatto riconducibile all’art. 395 c.p.c., n. 4), sull’assunto dell’inesistenza di un fatto – decisivo ai fini della risoluzione della controversia e che non aveva costituito un punto controverso – la cui veridicità era già stata positivamente accertata. In particolare, si evidenziava che, nel decidere sull’avanzato ricorso per cassazione, questa Corte, con l’ordinanza n. 28215/2017, aveva ritenuto che il motivo formulato da essa Idrotermica Solare s.r.l. non aveva colto la ratio della decisione gravata, poichè la mancata realizzazione delle fogne e la mancata consegna dell’immobile oggetto dell’appalto nel termine per l’adempimento erano state dovute ad altro decisivo elemento rappresentato dall’accertata mancanza delle pompe di sollevamento entro il termine concordato per l’adempimento ad opera della società appaltatrice.

Le parti intimate si costituivano con controricorso, instando per la dichiarazione di inammissibilità o, comunque, per il rigetto del ricorso per revocazione.

Su proposta del relatore ex art. 380-bis c.p.c. (con riferimento all’art. 391-bis c.p.c., comma 4) con cui veniva rilevato che non poteva escludersi la possibile ammissibilità del formulato ricorso per revocazione, il presidente fissava l’adunanza della camera di consiglio dinanzi alla VI Sezione – sottosez. 2.

Con ordinanza interlocutoria n. 18462/2019 (pubblicata il 9 luglio 2019), il collegio riteneva che, in effetti, dalla prospettazione offerta dalla ricorrente rapportata agli atti di causa, era emersa la possibile erronea percezione – con l’impugnata ordinanza n. 28215/2017 – del fatto asserito come inesistente (il cui accertamento avrebbe potuto influire sulla decisione) riferito alla circostanza che, alla data del giugno 1986, le pompe di sollevamento non erano presenti, nel mentre – con la sentenza della Corte di appello di Roma emessa in sede di rinvio ed oggetto di ricorso definito con l’ordinanza di cui è stata invocata la revocazione – era rimasto riscontrato che, se alla data del 17 aprile 1986 le pompe di sollevamento non risultavano ancora realizzate, queste erano state certamente installate prima del termine di consegna e, comunque, alla data del giugno 1986, poichè a tale data era stato risolto anche il problema delle acque scure (per l’appunto ovviato con l’azionamento di dette pompe).

Pertanto, con la citata ordinanza interlocutoria, non si escludeva che il vizio dedotto con il formulato ricorso potesse essere ricondotto prima facie ad una delle ipotesi enucleate nell’art. 395 c.p.c., n. 4), donde la rimessione della trattazione del proposto ricorso per revocazione dinanzi a questa Sezione per l’odierna pubblica udienza.

La difesa delle controricorrenti ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il formulato motivo la società ricorrente ha – come già evidenziato chiesto la revocazione dell’ordinanza di questa Corte n. 28215/2017, sul presupposto che la stessa sia affetta da errore di fatto ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4).

In termini più specifici, secondo la ricorrente, il denunciato errore sarebbe consistito nell’aver l’ordinanza impugnata fondato la decisione sulla inesistenza, nella specie, delle pompe di sollevamento, mentre tale fatto avrebbe dovuto considerarsi smentito per tabulas dalla sentenza della Corte di appello di Roma, oggetto di ricorso per cassazione, con la quale era stato accertato che, se alla data del 17 aprile 1986, le pompe di sollevamento non risultavano presenti, queste certamente erano state installate prima del termine di consegna e, comunque, alla data del giugno 1986, in quanto in quella data era stato risolto anche il problema delle acque scure.

2. Rileva il collegio che bisogna dare atto, innanzitutto, di due profili pregiudiziali indotti dallo sviluppo del presente giudizio.

In primo luogo occorre evidenziare che, pur avendo il difensore della società ricorrente attestato – nel corso della pubblica discussione – che la società stessa era stata nelle more dichiarata fallita, questa sopravvenuta circostanza non ha alcuna incidenza in relazione al giudizio di cassazione, non comportandone l’interruzione, istituto che – come è pacifico – non trova in esso applicazione (cfr. Cass. n. 27143/2017 e, da ultimo, Cass. n. 4795/2020).

E’ necessario, altresì, rimarcare che il conferimento – da parte delle già costituite controricorrenti (a mezzo di altro avvocato) – della procura speciale ad un nuovo difensore (avv. Pietro Sirena) in calce alla memoria difensiva di cui all’art. 378 c.p.c. non può considerarsi valido, con la conseguenza della permanenza dell’efficacia della costituzione delle stesse in virtù della procura attribuita al precedente difensore.

Ciò per la decisiva circostanza che, essendo stato il processo di cui trattasi instaurato (nel 1984) antecedentemente all’entrata in vigore della L. n. 69 del 2009 (4 luglio 2009), ad esso non si applica la novellata versione conseguente alla modifica apportata all’art. 83 c.p.c. dall’art. 45, comma 9 stessa legge, donde deve trovare applicazione il testo del medesimo art. 83 come precedentemente in vigore. E quest’ultimo prevedeva che la procura speciale non potesse essere rilasciata a margine o in calce ad atti diversi dal ricorso o dal controricorso, avuto riguardo al tassativo disposto del medesimo art. 83 c.p.c., comma 3, il quale implicava la necessaria esclusione della utilizzabilità di atti diversi. Pertanto, se la procura non fosse stata rilasciata contestualmente ai predetti atti, era necessario il suo conferimento doveva avvenire nella forma prevista dallo stesso art. 83 codice di rito, comma 2 e cioè con atto pubblico o con scrittura privata autenticata, che facessero riferimento agli elementi essenziali del giudizio, quali la indicazione delle parti e della sentenza impugnata.

3. Ciò chiarito e passando all’esame del proposto ricorso per revocazione, è preliminare osservare che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr., ad es., Cass. n. 22171/2010 e Cass. n. 442/2018) – l’istanza di revocazione di una pronuncia della Corte di cassazione, proponibile ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c., implica, ai fini della sua ammissibilità, un errore di fatto riconducibile all’art. 395 c.p.c., n. 4), che consiste in un errore di percezione, o in una mera svista materiale, che abbia indotto il giudice a supporre l’esistenza (o l’inesistenza) di un fatto decisivo, che risulti, invece, in modo incontestabile escluso (o accertato) in base agli atti e ai documenti di causa, sempre che tale fatto non abbia costituito oggetto di un punto controverso, su cui il giudice si sia pronunciato, con la precisazione che l’errore in questione presuppone il contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, delle quali una emerge dalla sentenza, l’altra dagli atti e documenti processuali, semprechè la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione (e non di giudizio, formatosi sulla base di una valutazione).

Orbene, in questa prospettiva, la doglianza dedotta, nel caso di specie, quale motivo di revocazione dalla ricorrente va ritenuta ammissibile perchè essa è, in effetti, riferita all’emergenza di un errore percettivo riconducibile alla ravvisata inesistenza delle pompe di sollevamento quale causa asseritamente decisiva dell’inadempimento riconosciuto a carico della Idrotermica Solare (da correlare, infatti, alla mancata realizzazione della fogna e all’omessa consegna dell’immobile nel termine per adempiere), sulla base del quale è stata adottata l’ordinanza oggetto del ricorso e considerata come “ratio” fondante della sentenza della Corte di appello di Roma.

Orbene, premessa l’ammissibilità del ricorso per revocazione, esso deve, tuttavia, essere rigettato.

E’ opportuno ripercorrere sinteticamente lo svolgimento del giudizio per comprendere nella sua corretta dimensione i termini della cassazione della sentenza della Corte di appello di l’Aquila n. 34/2008 intervenuta con la sentenza di questa Corte n. 26226/2009, l’ambito del conseguente giudizio di rinvio definito con la sentenza della Corte di appello di Roma n. 2643/2013 e la correlazione di quest’ultima con l’ordinanza di questa Corte n. 28215/2017, oggetto del ricorso per revocazione.

La causa era stata iniziata nel 1984 dal dante causa delle odierne controricorrenti dinanzi al Tribunale di Chieti per ottenere, con una prima domanda giudiziale, il risarcimento del danno conseguente all’assunto inadempimento della Idrotermica Solare s.r.l. per effetto del mancato rispetto di un termine essenziale con riferimento ad un contratto di appalto per la costruzione di una palazzina su un terreno di proprietà dello stesso attore.

Con successivo atto di citazione il D.B.W. chiedeva la risoluzione per inadempimento dello stesso contratto e, nella resistenza della convenuta, riunite le cause, Vada Tribunale di Chieti dichiarava con sentenza la risoluzione del contratto appalto del 31 luglio 1981 per inadempimento della Idrotermica Solare s.r.l., condannandola anche al risarcimento dei danni in Euro 1.398.966,15, oltre rivalutazione ed interessi.

Decidendo sull’appello proposto dalla soccombente convenuta, la Corte di appello di L’Aquila, con sentenza n. 34/2008, riformava parzialmente la decisione di primo grado, respingendo la domanda di risoluzione per inadempimento del contratto di appalto e riducendo l’importo del risarcimento del danno ad Euro 535.704,90, oltre rivalutazione monetaria dal febbraio 1998 ed interessi legali dalla domanda al saldo, confermando nel resto l’impugnata pronuncia.

Avverso la citata sentenza di appello proponeva ricorso per cassazione la Idrotermica Solare s.r.l. e, nella costituzione dell’intimato, questa Corte, con sentenza n. 26226/2009, lo accoglieva limitatamente ad alcuni motivi (primo, secondo, sesto e settimo), cassando con rinvio alla Corte di appello di Roma la sentenza della Corte aquilana.

Per quel che rileva in questa sede, con la indicata sentenza, questa Corte aveva ritenuto la fondatezza dei primi due motivi afferenti, entrambi, al ritardo frapposto all’adempimento dell’appalto nella realizzazione dell’impianto fognario al servizio della palazzina A/2, evidenziando, in ogni caso, che l’oggetto dell’appalto era stato già individuato nella realizzazione e consegna di detta palazzina completamente finita ed abitabile con tutti gli impianti funzionanti.

Senonchè, per effetto dell’omessa pronuncia sulla questione sollevata circa la dedotta temporanea impossibilità da parte di essa società appaltatrice di dotare, per forza maggiore o per fatto del committente, tempestivamente la palazzina di un funzionante impianto di smaltimento dei liquami, benchè la rete fognaria fosse comune al comprensorio, era necessario cassare, anche per questo aspetto, la sentenza di appello al fine di stabilire l’incidenza di tale asserita impossibilità sull’obbligo contrattuale dell’appaltatrice stessa di consegnare un immobile abitabile, oltre che collaudato.

Di conseguenza, riassunto il giudizio in sede di rinvio, la Corte di appello di Roma, con la sentenza n. 2634/2013, rideterminava la decorrenza degli interessi sulla somma liquidata a titolo di risarcimento del danno, confermando nel resto la decisione oggetto di cassazione.

Per quanto viene qui in rilievo, con la sentenza di rinvio della Corte laziale è rimasto escluso che, alla stregua delle risultanze probatorie acquisite, la questione fognaria potesse aver avuto una rilevanza decisiva nella individuazione delle cause di responsabilità che avevano, nel loro complesso, determinato l’inadempimento della società appaltatrice (cfr., specialmente, le pagg. 11-12 di detta sentenza) e giustificato, quindi, la sua condanna al risarcimento dei danni.

Con il ricorso per cassazione proposto avverso la menzionata sentenza di rinvio la Idrotermica Solare s.r.l. aveva formulato un complesso motivo con il quale era stata dedotta una violazione e falsa applicazione di una serie di norme che disciplinavano il rilascio della concessione all’allaccio alla rete fognaria comunale oltre alla violazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 124 e di altre norme conseguenti, con ciò formulando una censura che, in effetti, era attinente al riconoscimento della necessità “ex lege” del consenso del committente per la richiesta di allaccio alla fognatura, per la quale era stato approntato un collegamento in via provvisoria.

Orbene, con l’ordinanza n. 28215/2017 di questa Corte – oggetto dell’istanza di revocazione – venne respinto il ricorso avanzato avverso la sentenza adottata all’esito del giudizio di rinvio, rilevandosi l’inapplicabilità “ratione temporis” della normativa (successiva) invocata in sede di ricorso ed attestandosi come quest’ultimo fosse stato “malcelatamente” ma “malaccortamente” elusivo della decisione gravata, aggiungendosi, “in ogni caso”, come non fosse stata colta dalla ricorrente la sua “ratio”, evidenziandosi, altresì, come la mancata realizzazione delle fogne e la mancata consegna dell’immobile nel termine per adempiere fosse da ricondurre all’accertata mancanza delle pompe di sollevamento (nel termine contrattuale prorogato fino al giugno 1986).

Pur configurandosi, in quest’ultimo passaggio, l’errore percettivo del fatto, invero non controverso, consistente nell’aver attestato – contrariamente a quanto accertato con la sentenza di rinvio (v. pag. 11) – che le pompe di sollevamento per le acque scure alla data del giugno 1986 non erano state ancora attivate, dalla rappresentazione complessiva della vicenda processuale e, in particolare, dalla portata della presupposta sentenza della Cassazione n. 26226/2009, dai termini propri riconducibili alla motivazione della sentenza della Corte di appello di Roma emessa in sede di rinvio, dal nucleo sostanziale del contenuto del motivo di ricorso per cassazione proposto contro la stessa e dalla richiamata portata dell’ordinanza oggetto del ricorso per revocazione, emerge come il suddetto errore non rivesta carattere decisivo.

E ciò perchè – con quest’ultima ordinanza – nel rilevare che la ricorrente aveva, in effetti, eluso la “ratio” della decisione impugnata, era comunque rimasto escluso, nel raffronto con l’intera portata del motivo formulato (nei termini prima precisati), che l’inadempimento e/o il ritardo della ditta appaltatrice potesse essere imputato causalmente al comportamento del committente (che costituiva, poi, la questione da riesaminare in conseguenza della sentenza della cassazione n. 26226/2009), rimanendo, perciò, anche confermato quanto ritenuto dal giudice di rinvio, ovvero che – indipendentemente dal momento in cui erano state attivate le pompe di sollevamento – la questione fognaria non aveva avuto un’incidenza decisiva nella individuazione dei profili di responsabilità per inadempimento della ditta appaltatrice (incidenza, perciò, da riferirsi ad altri aspetti ravvisati come effettivamente determinanti).

Chiarito tutto ciò, occorre rimarcare (cfr. Cass. n. 6038/2016) che, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4), il nesso causale tra errore di fatto e decisione, nel cui accertamento si sostanzia la valutazione di essenzialità e decisività dell’errore revocatorio, non è un nesso di causalità storica, ma di carattere logico-giuridico, nel senso che non si tratta di stabilire se il giudice che ha adottato il provvedimento da revocare si sarebbe, in concreto, determinato in maniera diversa ove non avesse commesso l’errore di fatto, bensì di stabilire se la decisione della causa sarebbe dovuta essere diversa, in mancanza di quell’errore, per necessità logico-giuridica.

In virtù di questo principio e in dipendenza di tutte le precedenti argomentazioni sulla non decisività dell’accertato errore sul fatto, ne consegue che, nella fattispecie, pur in difetto di tale errore, la decisione impugnata non sarebbe stata diversa (così rimanendo superata la relativa prova di resistenza: v. Cass. n. 6881/2014 e, più di recente, Cass. n. 8051/2020), ragion per cui non può darsi luogo alla fase rescissoria.

4. In definitiva, il ricorso per revocazione, pur ammissibile, va rigettato, con conseguente condanna della soccombente ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo, tenendosi conto della invalidità della nuova costituzione delle controricorrenti a mezzo dell’avv. Pietro Sirena.

Infine, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano in complessivi Euro 6000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario, iva e cap nella misura e sulle voci come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 13 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2020

 

 

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