Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25791 del 14/10/2019
Cassazione civile sez. VI, 14/10/2019, (ud. 21/05/2019, dep. 14/10/2019), n.25791
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CURZIO Pietro – Presidente –
Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –
Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –
Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –
Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 23689-2018 proposto da:
A.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FABIO MASSIMO
107, presso lo studio dell’avvocato ANDREA MALAGOLI, rappresentato e
difeso dall’avvocato MARIO MONTEFUSCO;
– ricorrente –
contro
I.R.C.C.S. – ISTITUTO NAZIONALE PER LO STUDIO E LA CURA DEI TUMORI
FONDAZIONE GIOVANNI PASCALE, in persona del legale rappresentante
pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ALBALONGA 7,
presso lo studio dell’avvocato CLEMENTINO PALMIERO, rappresentato e
difeso dall’avvocato PAOLA COSMAI;
– controricorrente –
contro
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE;
– intimato –
avverso l’ordinanza n. 13409/2018 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
di ROMA, depositata il 29/05/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non
partecipata del 21/05/2019 dal Consigliere Relatore Dott. LUIGI
CAVALLARO.
Fatto
RILEVATO IN FATTO
che, con ordinanza n. 13409 del 2018, questa Corte di cassazione ha rigettato il ricorso per cassazione proposto da A.S. avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli che, confermando la pronuncia di primo grado, aveva rigettato la sua domanda di corresponsione dell’equo indennizzo avanzata nei confronti di I.R.C.S.S. – Istituto Nazionale per lo studio e la cura dei tumori Fondazione G. Pascale;
che avverso tale pronuncia A.S. ha proposto ricorso per revocazione;
che I.R.C.S.S. – Istituto Nazionale per lo studio e la cura dei tumori Fondazione G. Pascale ha resistito con controricorso, mentre il Ministero in epigrafe è rimasto intimato;
che è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380 – bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
che, con l’unico e invero non perspicuo mezzo, il ricorrente denuncia l’errore di fatto che sarebbe conseguito all’adozione, da parte del Collegio decidente, di una decisione di segno difforme rispetto alla proposta del Consigliere relatore, che aveva concluso per la “fondatezza per omesso esame della certificazione sanitaria” (così il ricorso, pag. 3), e precisamente una decisione di rigetto che “per svista o omissione” ignorava “che il procedimento di riconoscimento dell’equo indennizzo nella sua parte finale era inficiato dalla violazione del D.P.R. n. 461 del 2001, art. 7, comma 2, non avendo comunicato al dipendente beneficiario la trasmissione degli atti al Comitato di verifica” (ibid., pag. 6), e, affermando per contro che la CTU richiesta nei gradi di merito avrebbe potuto avere valore di “mera verifica tecnica”, avrebbe dato luogo ad una “affermazione inaccettabile, perchè la nomina del CTU era irrevocabile e avvenuta ex art. 61” c.p.c. (ibid., pag. 7);
che il motivo è palesemente inammissibile, essendosi consolidato il principio secondo cui l’errore di fatto previsto dall’art. 395 c.p.c., n. 4, idoneo a costituire motivo di revocazione, si configura come una falsa percezione della realtà, ossia una svista obiettivamente e immediatamente rilevabile, che abbia portato ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso dagli atti e documenti ovvero l’inesistenza di un fatto decisivo che dagli atti o documenti stessi risulti positivamente accertato, e si risolva in un errore meramente percettivo che in nessun modo coinvolga l’attività valutativa del giudice di situazioni processuali esattamente percepite nella loro oggettività, non essendo per contro configurabile per supposti vizi della sentenza che – come nella specie – investano direttamente la formulazione del giudizio sul piano logico-giuridico (Cass. n. 8180 del 2009, cui hanno dato seguito numerose successive conformi: v. da ult. Cass. n. 14588 del 2019);
che il ricorso, pertanto, va dichiarato inammissibile, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, giusta il criterio della soccombenza;
che, in considerazione della declaratoria d’inammissibilità del ricorso, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità in favore di parte controricorrente, che si liquidano in Euro, 2.700,00, di cui Euro 2.500,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 21 maggio 2019.
Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2019