Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25786 del 14/10/2019

Cassazione civile sez. III, 14/10/2019, (ud. 19/09/2019, dep. 14/10/2019), n.25786

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8258-2018 proposto da:

G.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FEDERICO CESI,

21, presso lo studio dell’avvocato ENRICO MAJO, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

A.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ACQUA

DONZELLA 27, presso lo studio dell’avvocato SALVINO GRECO, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6054/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 29/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/09/2019 dal Consigliere Dott. MARILENA GORGONI;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore Generale Dott. SGROI CARMELO, che ha chiesto

il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA VALORE

G.G. ricorre per la cassazione della Corte d’Appello di Roma, n. 6054/2017, pubblicata il 29 settembre 2017, affidandosi a quattro motivi.

A.C. resiste con controricorso; con esso chiede altresì che il giudizio di appello venga dichiarato estinto per mancata riassunzione nei modi e termini di legge ovvero per mancata notificazione del ricorso riassuntivo nel termine previsto dal decreto di fissazione dell’udienza.

L’odierno ricorrente, nel 2010, conveniva dinanzi al Tribunale di Roma A.C. per ottenerne – previo riconoscimento della responsabilità professionale per non aver provveduto a trascrivere tempestivamente l’atto di compravendita da lui stesso rogato il 21 maggio 2002, avente ad oggetto un box auto sito in (OMISSIS), consentendo alla Banca popolare di Bergamo, creditrice dell’alienante, di trascrivere pignoramento sul bene e di attivare la procedura espropriativa – la condanna al risarcimento dei danni derivatigli dalla procedura espropriativa, quantificati in Euro 95.000,00 o nella diversa somma di giustizia, al netto delle spese legali.

Il Tribunale capitolino rigettava la domanda, con la sentenza n. 19770/2011, perchè l’omessa trascrizione ed il pignoramento, posto che il bene era stato posto all’incanto, ma non era stato venduto coattivamente, avevano causato un mero pericolo di danno e non un danno attuale, in assenza della dimostrazione, da parte dell’attore, della necessità di disporre del bene o di una contrattazione venuta meno per la permanenza del vincolo.

La sentenza veniva impugnata da G.G., il quale assumeva che il pignoramento era in corso di esecuzione e in quanto tale aveva prodotto un vincolo al potere di disposizione e reso più disagevole la vendita del bene, quindi, il danno risentito era attuale; che la ricorrenza del pregiudizio avrebbe avuto dedursi proprio dalla trascrizione del pignoramento e non essere subordinata alla prova della necessità di disporre del bene o di una trattativa per la vendita del bene non andata in porto per la permanenza del vincolo di indisponibilità; che l’esistenza di un danno risarcibile non avrebbe dovuto essere negata per il mancato esercizio del diritto potestativo di soddisfare i creditori iscritti; che il Tribunale non si era pronunciato sulla domanda di risarcimento delle spese legali sostenute e da sostenere, una volta avvedutosi della condotta omissiva del notaio.

Nelle more dell’udienza di precisazione delle conclusioni, in data 13 marzo 2017, l’appellante depositava, ex art. 345 c.p.c., comma 3, na serie di documenti allo scopo di provare il sopravvenuto trasferimento coattivo del diritto di proprietà del box oggetto di controversia.

La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza qui impugnata, rigettava il gravame, ritenendo che, sebbene la trascrizione dell’atto di compravendita fosse avvenuta dopo circa sei anni dal rogito per ritardo imputabile al professionista, difettassero elementi utili per stabilire se la procedura esecutiva fosse stata determinata dall’omessa trascrizione, perchè riguardante un credito, nei confronti del venditore, diverso da quelli garantiti con gli atti pregiudizievoli, già esistenti al momento del rogito ed in esso riportati: numerose ipoteche, due pignoramenti immobiliari, anche se tutti in corso di cancellazione, tranne l’ipoteca per un mutuo che l’odierno ricorrente si era accollato quale modalità di pagamento del prezzo della vendita nonchè la trascrizione di due domande giudiziali riguardanti giudizi in parte già definiti che l’alienante si era obbligato a cancellare nel più breve tempo possibile.

In particolare, per la Corte d’Appello, la complessa situazione debitoria del venditore avrebbe richiesto l’indicazione del titolo che legittimava la procedura esecutiva; invece, l’appellante, sia in primo che in secondo grado, si era limitato ad allegare la trascrizione di un pignoramento immobiliare, non permettendo, facendo difetto il deposito del decreto ingiuntivo che aveva generato la procedura, di verificare il titolo esecutivo e se esso fosse autonomo rispetto a quelli indicati nell’atto di compravendita. A ciò, secondo la Corte territoriale, G.G. non aveva provveduto neppure con l’atto di appello, ove riferiva “tardivamente e in modo incompleto” di un’iscrizione ipotecaria avvenuta nel 2003, richiamando altra documentazione prodotta in violazione dell’art. 345 c.p.c. perchè già esistente al momento dell’instaurazione del giudizio di primo grado.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, assume la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, da parte della Corte territoriale che non avrebbe, se non con una motivazione meramente apparente e difettante di ogni riferimento a quanto dedotto e documentalmente prodotto, esposto il ragionamento che l’aveva convinta a ritenere che non vi fossero elementi utili a stabilire se la procedura esecutiva fosse stata determinata dalla omessa trascrizione dell’atto di compravendita e che non vi fosse modo di accertare, non essendo stato depositato il decreto ingiuntivo che aveva dato origine alla procedura esecutiva, se il titolo esecutivo fosse o meno diverso da quelli già emergenti dal rogito notarile.

2. Con il secondo motivo il ricorrente, invocando l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, deduce la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, per la mancata indicazione delle ragioni per cui il giudice a quo aveva ritenuto che la documentazione prodotta con la nota di deposito del 13 marzo 2017 fosse inammissibile, essendosi limitato a ritenere tale documentazione già esistente al momento della proposizione del giudizio di primo grado.

3. Con il terzo motivo il ricorrente, sulla scorta dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 345 c.p.c., commi 3 e 1, perchè, essendo i documenti prodotti con la nota di deposito del 13 marzo 2017 venuti in essere in data successiva all’introduzione del giudizio di appello, la Corte territoriale avrebbe violato la norma invocata nella formulazione ratione temporis applicabile (non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che il collegio li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa ovvero che la parte dimostri di non aver potuto proporlo o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile), sia per non aver tenuto conto che essi non potevano essere proposti o prodotti in primo grado, sia per non averli ritenuti indispensabili. Nè la Corte d’Appello avrebbe potuto ritenere violative dell’art. 345 c.p.c., comma 1 le illustrazioni difensive formulate con la conclusionale d’appello, non essendo esse nè tardive nè nuove, ma meramente illustrative di prove documentali sopravvenute. Da tale documentazione, infatti, sarebbe emerso che il decreto ingiuntivo che aveva attivato la procedura esecutiva era quello ottenuto dalla Banca popolare di Bergamo in data 20 ottobre 2003 (n. 3089/03) e che sulla base di esso era stata iscritta ipoteca l’11 dicembre 2003, quindi, successivamente all’atto di compravendita, risalente al 21 maggio 2002.

4. Con il quarto motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 112,324 e 329 c.p.c..

L’assunto cassatorio è che sulla ricorrenza di un nesso di causa tra la procedura esecutiva ed il comportamento negligente del notaio si fosse formato un giudicato implicito e che perciò la Corte d’Appello non avrebbe potuto rigettare il gravame, ritenendo insussistente tale nesso causale, se non violando il giudicato, il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato e il principio del tantum devolutum quantum appellatum.

5. Con controricorso A.C., dichiaratosi integralmente vittorioso in appello, ribadisce l’eccezione di estinzione del gravame formulata in sede di appello e giudicata dal giudice a quo del tutto infondata, tanto da giustificare l’integrale compensazione delle spese processuali tra le parti, istando per la conferma della sentenza impugnata “anche con un’altra motivazione dichiarando estinto il giudizio di appello per mancata riassunzione dello stesso nei modi e nei termini di legge, ovvero per mancata notificazione del ricorso riassuntivo nel termine previsto dal decreto di fissazione di udienza”.

Al riguardo va osservato che l’eccezione di estinzione del giudizio per avvenuta riassunzione del processo oltre il termine trimestrale di cui all’art. 303 c.p.c. nel testo applicabile ratione temporis era stata già formulata da A.C. ed era stata rigettata dalla Corte territoriale.

Anche l’eccezione di estinzione del giudizio per nullità della notifica per mancata indicazione, nell’avviso di ricevimento, della parte appellante e dell’autorità giudiziaria, ribadita da A.C., era stata respinta dal giudice a quo.

Ne consegue che l’odierno controricorrente era risultato vittorioso solo nel merito, sicchè, secondo la giurisprudenza di questa Corte, al fine di riproporre questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito decise dal giudice d’appello in senso per sè sfavorevole, avrebbe dovuto proporre ricorso incidentale, onde evitare che su dette questioni si formasse il giudicato e ne rimanesse precluso l’esame in sede di eventuale giudizio di rinvio, in quanto il principio della non necessità del riesame delle questioni suddette opera solo allorchè esse non siano state esaminate e non siano state decise dal giudice d’appello.

Il ragionamento a monte di tale conclusione è che il difetto del presupposto della soccombenza in senso sostanziale in appello, per essere stato negato all’attore il bene della vita cui aspirava, proponendo la domanda, non aveva fatto venir meno l’interesse del convenuto all’impugnazione (Cass. 8/02/1983, n. 1050), posto che la motivazione della sentenza di merito, che alla fine era pervenuta comunque al rigetto della domanda, conteneva considerazioni sfavorevoli al convenuto vittorioso, limitatamente ad un’altra, possibile ratio decidendi (Cass. 26/09/2003, n. 14333).

L’atto con cui A.C. introduce la sua richiesta è qualificato dal medesimo come controricorso; il che induce a domandarsi se esso, in applicazione del principio di libertà della forma purchè idonea al raggiungimento dello scopo (art. 124 c.p.c. e art. 156 c.p.c., comma 3), il quale si traduce quindi in quello della strumentalità della forma, identificandosi questa nel contenuto minimo dell’atto, cioè in quel contenuto che dalla norma che disciplina o prevede lo atto sia dato individuare come sufficiente al raggiungimento del suo scopo, possa, indipendentemente dalla sua formale denominazione, ma in base a detto suo contenuto, qualificarsi come ricorso incidentale; ossia se possegga i requisiti dall’art. 371, in relazione agli artt. 365,366 e 369 c.p.c..

Ora, la deduzione del professionista è contenuta in atto notificato al ricorrente e depositato entro i termini stabiliti dagli artt. 370 e 369 c.p.c.; è sottoscritto da difensore munito di rituale procura speciale apposta in calce al controricorso e indubbiamente comprensiva anche della facoltà di proporre eventualmente gravame incidentale; è dotato del contenuto previsto dall’art. 366 c.p.c., ma in esso manca la richiesta di cassazione della sentenza, specificamente prevista, in aggiunta ai motivi, dall’art. 366, n. 4 in applicazione del più generale precetto secondo cui gli atti di parte, fra cui ricorso e controricorso, debbono fra l’altro “indicare le ragioni della domanda e le conclusioni o la istanza” (art. 125 c.p.c., comma 1). La domanda di cassazione appare essenziale allo scopo di far riconoscere l’atto quale mezzo di impugnazione, perchè indipendentemente da ogni indagine di carattere soggettivo o volontaristico, essa è indispensabile affinchè un atto possa qualificarsi come volto a sollecitare una decisione giudiziale di contenuto determinato (c.d. atti induttivi), e cioè nella specie, non una decisione di semplice rigetto del gravame avversario, bensì di cassazione, sia pure eventuale, per motivi diversi da quelli fatti valere dalla controparte, della sentenza che forma oggetto del ricorso (in ipotesi, principale).

Costituisce principio già più volte espresso che quando l’ambiguità circa la volontà di chiedere la cassazione della sentenza sia tale da non consentire neppure al più vigile patrocinatore di ravvisare la necessità di apprestare le opportune e dovute difese contro un atto di impugnazione, essa impedisce di qualificare l’atto come ricorso incidentale, con la conseguenza che la questione relativa all’inammissibilità dell’appello deve reputarsi preclusa per passaggio in giudicato del relativo capo della sentenza, conseguente alla mancata sua impugnazione (art. 329 c.p.c., comma 2), e che non se ne può più, dunque, discutere in questa sede (Cass. 24 /02/1986, n. 1106; Cass. 24/03/1999, n. 2789).

A tale conclusione si perviene, in base ai tre fondamentali principi della domanda – perchè questa deve chiaramente indicare il mezzo processuale azionato (impugnazione, e non mero accertamento negativo della infondatezza della impugnazione avversa) – del contraddittorio, perchè la controparte deve essere posta in condizioni di difendersi e di replicare, nella specie mediante controricorso, all’eventuale ricorso incidentale – della corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato, in quanto, per non andare oltre il limite della domanda, il giudice deve poter identificare questa senza dubbi o incertezze -.

Ne consegue il passaggio in giudicato delle questioni rigettate dalla Corte d’Appello e riproposte nel controricorso.

6. I primi due motivi sono fondati.

La motivazione della Corte territoriale si estrinseca in un contenuto argomentativo, per taluni versi, contraddittorio, per talaltri inidoneo a rivelare la ratio decidendi o le rationes decidendi.

A p. 4 della sentenza, il giudice a quo prende, infatti, in considerazione il decreto di trasferimento giudiziale dell’immobile datato 1 aprile 2016, doc. n. 02 dell’elenco dei documenti oggetto della nota di deposito del 13 marzo 2017, per dedurne la persistenza sull’immobile dell’iscrizione ipotecaria a garanzia del mutuo che l’odierno ricorrente si era accollato e per comprovare la tesi secondo cui non vi sarebbero indicazioni sufficienti all’identificazione di quale credito avesse originato la procedura esecutiva, tra quelli, numerosi, oggetto di pubblicità pregiudizievoli, indicati nel rogito notarile.

Successivamente, a p. 5, il provvedimento impugnato precisa che “solo in conclusionale, si riferisce in appello, “tardivamente ed in modo incompleto”, di un’iscrizione ipotecaria avvenuta nel 2003, richiamando peraltro documentazione prodotta in appello, in violazione dell’art. 345 c.p.c., perchè già esistente, al momento dell’instaurazione del giudizio di primo grado”, per concludere che “in ogni caso, manca qualsiasi possibilità di verificare il titolo su cui si fonda l’esecuzione e se autonomo rispetto a quelli già indicati nell’atto di compravendita, non essendo stato depositato il decreto ingiuntivo che ha dato origine alla procedura”, dopo aver osservato che “non può essere decisiva la circostanza che il creditore della procedura esecutiva, riportate nell’atto notarile, per cui si chiedono i danni” non è stato menzionato nelle varie iscrizioni e trascrizioni, considerata la possibilità di una cessione del credito”.

Il fatto che la documentazione fosse inammissibile, perchè prodotta tardivamente in appello, in violazione dell’art. 345 c.p.c. e perchè già esistente al momento dell’instaurazione del giudizio avrebbe dovuto implicare – in disparte la osservazione che la documentazione in oggetto si era formati solo successivamente alla sentenza di primo grado e all’instaurazione del giudizio di appello – l’irrilevanza del suo contenuto: quindi il giudice a quo non avrebbe dovuto prenderla in esame.

Sembra invece che, pur giudicandola inammissibile, il giudice l’abbia esaminata, ritenendola incompleta, perchè inidonea a fornire la prova di quale credito avesse dato causa alla procedura esecutiva, in quanto non era stato depositato il decreto ingiuntivo.

A meno che la Corte territoriale abbia ritenuto che, indipendentemente dall’inammissibilità, essa dovesse reputarsi incompleta, come sembra potersi dedurre dalla locuzione “in ogni caso” preposta alla conclusione che dovrebbe costituire la ratio decidendi della sentenza e salvo ritenere che la Corte d’Appello abbia giudicato inammissibile la documentazione prodotta tardivamente in appello e incompleta quella prodotta con l’atto di instaurazione del giudizio di primo grado.

A tale ambiguità si aggiunge quella derivante dalla mancata spiegazione del perchè abbia attribuito rilievo così decisivo ed assorbente al mancato deposito del decreto ingiuntivo, svalutando, allo stesso fine, l’iscrizione ipotecaria.

Se ne conclude che, benchè graficamente esistente, la motivazione non rende percepibile il fondamento della decisione che reca infatti argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, cioè le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire al risultato enunciato, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture (Cass., Sez. un., 03/11/2016, n. 22232).

7. I restanti motivi sono assorbiti.

8. Ne conseguono, in accoglimento del ricorso, la cassazione della decisione impugnata e il rinvio della controversia alla Corte d’Appello di Roma in diversa costituzione che dovrà anche liquidare le spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la controversia alla Corte d’Appello di Roma, in diversa compensazione, la quale si farà carico anche di provvedere alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza sezione civile della Corte di Cassazione, il 19 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2019

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