Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25780 del 15/11/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 25780 Anno 2013
Presidente: TRIOLA ROBERTO MICHELE
Relatore: MANNA FELICE

SENTENZA

sul ricorso 31945-2007 proposto da:
PECCE

PIETRO

PCCPTR28C21G370T,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA SANT’AGATONE PAPA 50, presso
lo studio dell’avvocato MELE CATERINA, rappresentato e
difeso dall’avvocato ROMEI FEDERICO;
– ricorrente 2013
2168

contro

COMUNE di PATERNOPOLI, in persona del Sindaco quale
legale rappresentante pro tempore;
– intimato –

avverso la sentenza n. 3301/2006 della CORTE D’APPELLO

Data pubblicazione: 15/11/2013

di NAPOLI, depositata il 31/10/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 24/10/2013 dal Consigliere Dott. FELICE
MANNA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. AURELIO GOLIA che ha concluso per il

rigetto del ricorso.

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione notificata il 14.5.1998 l’ing. Pietro Pecce conveniva in
giudizio, innanzi al Tribunale di Ariano Irpino, il comune di Paternopoli, per
sentirlo condannare al pagamento di prestazioni professionali, o in subordine

Negato il conferimento dell’incarico professionale, il comune eccepiva,
altresì, la presciiLione dell’azione d’indebito arricchimento, avendo l’attore
espletato la propria attività in favore del comune nel 1986.
Accolta quest’ultima eccezione, il Tribunale rigettava la domanda.
Adita dal Pecce, il quale aveva sostenuto che il termine di prescrizione non
era scaduto e che ad ogni modo il comune di Patemopoli nella prima
comparsa conclusionale aveva rinunciato alla relativa eccezione, la Corte
d’appello di Napoli rigettava il gravame.
Riteneva la Corte territoriale che nella prima comparsa conclusionale il
comune di Patemopoli aveva svolto le proprie difese nel merito in via
evidentemente subordinata, per l’ipotesi di mancato accoglimento
dell’eccezione di prescrizione, da ritenersi in realtà non rinunciata in base
all’intero comportamento processuale e al fatto che detta eccezione era stata
reiterata nella memoria di replica. Quanto al decorso del termine di
prescrizione, negato dall’appellante sul presupposto di atti di riconoscimento
e di utilizzazione dell’opera, da parte del comune, temporalmente collocabili
nel 1991 e nel 1995, la Corte partenopea osservava che il correlato motivo di
gravame era inammissibile, ai sensi dell’art. 342 c.p.c., non avendo
l’appellante meglio specificato gli atti amministrativi e le circostanze di fatto
su cui aveva basato le sue affermazioni critiche.
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di una somma corrispondente a titolo di arricchimento senza causa.

Per la cassazione di quest’ultima sentenza Pietro Pecce ha proposto
ricorso, affidato a due motivi.
Il comune di Patemopoli è rimasto intimato.
Attivato il procedimento camerale, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., e depositata

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – Col primo motivo d’impugnazione è dedotta l’insufficiente e
contraddittoria motivazione su un “punto” controverso e decisivo, in relazione
all’art. 360, n. 5 c.p.c.
La Corte territoriale, sostiene parte ricorrente, non ha considerato che nella
comparsa conclusionale di primo grado il comune di Patemopoli aveva
testualmente dichiarato che “… poiché le conclusioni cui è giunto il c.t.u.
contraddicono l’eccezione di prescrizione sollevata in prime dal concludente,
è il caso di accettare dette conclusioni e, per l’effetto, rinunciare all’eccezione
di prescrizione, tamquam non esser .
A tale espressione non poteva darsi se non il senso e il valore che emerge
dal suo tenore letterale. Pertanto, conclude parte ricorrente, è insufficiente la
motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui fa riferimento alla
reiterazione dell’eccezione di prescrizione nella memoria di replica, visto che
in quest’ultimo atto difensivo il comune si è limitato ad una difesa di merito.
1.1. – Il motivo è inammissibile.
Le S.U. di questa Corte hanno di recente affermato che il ricorso per
cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente
previste dall’art. 360, primo comma, c.p.c., deve essere articolato in specifici
motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle
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la relazione ex art. 380-bis c.p.c., la causa è stata rimessa in pubblica udienza.

cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la
necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di
una delle predette ipotesi. Pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti
l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle

menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui al n. 4 del primo comma
dell’art. 360 c.p.c., con riguardo all’art. 112 c.p.c., purché il motivo rechi
univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa
omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorché
sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad
argomentare sulla violazione di legge (S.U. n. 17931/13).
1.1.1. – Nella specie, la doglianza esposta da parte ricorrente attacca la
motivazione del!? sentenza impugnata, prospettandone il vizio ai sensi del n. 5
dell’art. 360 c.p.c., pur ponendo in realtà una questione che non ha ad oggetto
un fatto controverso e decisivo (quest’ultimo identificandosi unicamente nei
fatti storici o normativi che innervano gli elementi costitutivi della domanda),
ma che inerisce all’esatta ricognizione di un atto processuale. E poiché a
questa Corte compete riqualificare, ma non rielaborare le censure affinché
acquistino significato, il motivo è da ritenersi inammissibile.
2. – Col secondo mezzo d’annullamento è denunciata la violazione dell’art.
342 c.p.c. e il vizio di motivazione, in relazione, rispettivamente, ai nn. 3

(rectius, 4) e 5 dell’art. 360 c.p.c.
La sentenza impugnata si pone in contrasto, sostiene parte impugnante, con
la corretta interpretazione dell’art. 342 c.p.c. Il gravame, Lifatti, aveva
soddisfatto l’onere di specifica esposizione dei motivi, con puntuale
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domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita

riferimento ai risultati dell’istruttoria espletata e, in particolare, a quanto
emerso dalla relazione del c.t.u., il quale, nel rispondere ad apposito quesito
posto dal giudice, aveva individuato l’epoca di ultimazione dell’opera e quella
in cui quest’ultima era stata utilizzata da parte dell’amministrazione

La Corte territoriale, pertanto, non avrebbe dovuto compiere alcuna ricerca
di elementi integrativi del motivo di gravame, ma si sarebbe dovuta limitare a
verificare la correttezza o meno del richiamo alle conclusioni cui era
pervenuto il c.t.u.
Parte ricorrente formula, pertanto, il seguente quesito di diritto ai sensi
dell’art. 366-bis c.p.c., applicabile ratione temporis alla fattispecie: “il
richiamo, a sostegno della censura, delle conclusioni cui è giunto il c.t.u.
rispondendo ad un preciso quesito posto dal giudice di prime cure, soddisfa
l’onere di specificazione dei motivi di gravame posto dall’art. 342 c.p.c.?”.
2.1. – Anche tale motivo è inammissibile, per la totale genericità sia del
quesito di diritto, sia dell’insieme della doglianza così come svolta.
Il quesito non si traduce in una quaestio iuris di cui siano identificabili i
termini logico-giuridici, ma consiste in una generica mozione volta a
riconsiderare in parte qua la decisione impugnata. Oltre a ciò, la stessa
censura manca di un orizzonte di senso appena intelligibile. A fronte della
statuizione impugnata, che ha ritenuto inammissibile il motivo d’appello
perché genericamente basato su atti amministrativi e circostanze di fatto non
meglio precisati, il ricorrente aveva l’onere di precisare il contenuto di tale
motivo di gravame e di dimostrare, attraverso un sia pur minimo dispendio

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comunale.

argomentativo, le ragioni per cui esso raggiungerebbe, invece, ‘la soglia di
specificità richiesta dall’art. 342 c.p.c.
3. – In conclusione il ricorso va respinto.
4. – Nulla per le spese, non avendo la P.A. intimata svolto attività difensiva

P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile
della Corte Suprema di Cassazione, il 24.10.2013.

in questa sede.

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