Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2578 del 04/02/2021

Cassazione civile sez. trib., 04/02/2021, (ud. 10/09/2020, dep. 04/02/2021), n.2578

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

Dott. MAISANO Giulio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18227-2014 proposto da:

SIFIM SRL, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 48,

presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO CORVASCE, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANTONELLA DEVOLI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, UFFICO DI ANCONA, DIREZIONE PROVINCIALE

ANCONA, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1/2014 della COMM. TRIB. REG. di ANCONA,

depositata il 07/01/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/09/2020 dal Consigliere Dott. GIULIO MAISANO.

 

Fatto

RILEVATO

Che, con sentenza n. 1/2/14 pubblicata il 7 gennaio 2014 la Commissione tributaria regionale delle Marche ha confermato la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Ancona n. 214/1/12 con la quale è stato rigettato il ricorso proposto dalla SIFIM s.r.l. avverso l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) emesso nei suoi confronti dall’Agenzia delle Entrate e con il quale veniva recuperato a tassazione una maggiore IRES, IRAP ed IVA per l’anno d’imposta 2004 in relazione ad operazioni di sponsorizzazione parzialmente inesistenti fatturate dalla PROCOM Italia s.r.l. descritte nel PVC redatto dal Nucleo Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Forlì;

che la Commissione tributaria regionale ha motivato tale decisione considerando l’irrilevanza ai fini tributari del procedimento penale svoltosi sui medesimi fatti, la validità della testimonianza del socio amministratore della PROCOM Italia s.r.l. che aveva dichiarato che le somme riscosse per la parte sovrafatturate venivano restituite in contanti alla SIFIM, che l’apparente regolarità delle scritture contabili della SIFIM era irrilevante, che non vi era traccia di alcuna trattativa fra PROCOM Italia e SIFIM in relazione alla pur onerosa operazione di sponsorizzazione, che gli elementi raccolti dalla Guardia di Finanza ed esposti nel PVC costituivano indizi gravi, precisi e concordanti delle operazioni addebitate alla contribuente;

che la SIFIM s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza articolato su due motivi, ciascuno dei quali articolato su plurimi ordini di censure;

che l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che con il primo motivo si lamenta violazione o falsa applicazione di norme di diritto, in specie della L. n. 212 del 2000, art. 7, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio già oggetto di discussione tra le parti, in specie in ordine alla carenza di motivazione dell’avviso di accertamento, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; in particolare si deduce che l’obbligo di motivazione del provvedimento impugnato non sarebbe stato soddisfatto dal mero richiamo al PVC in quanto questo, a sua volta, fa richiamo ad atti e documenti non conosciuti dalla ricorrente;

che il motivo, sotto entrambi i profili in cui è articolato, è inammissibile per difetto di autosufficienza, non essendo riportato il contenuto dell’atto impositivo e del PVC notificato alla società, facendosi generico riferimento al deposito del fascicolo di parte relativo al giudizio di secondo grado, contenente anche quello depositato nel giudizio di primo grado;

che con il secondo motivo si assume omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

violazione o falsa applicazione di norme di diritto, in specie dell’art. 2729 c.c., del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 e ss. del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 e ss., ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. In particolare si deduce che il giudice del merito avrebbe omesso di compiere la valutazione complessiva e comparata di tutti gli elementi di prova acquisiti nel giudizio;

che il motivo è inammissibile sotto plurimi profili; in primo luogo, trattandosi di sentenza pronunciata su appello depositato il 28 maggio 2013, trova applicazione la regola, emergente dal combinato disposto dell’art. 348 ter c.p.c., commi 4 e 5, secondo la quale la sentenza di appello che risulti fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della sentenza di primo grado (cd. doppia conforme) non è censurabile con il mezzo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; d’altra parte le disposizioni sul ricorso per cassazione, di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, circa il vizio denunciabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 ed i limiti d’impugnazione della “doppia conforme” ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., u.c., si applicano anche al ricorso avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale, atteso che il giudizio di legittimità in materia tributaria, alla luce del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 62, non ha connotazioni di specialità. Ne consegue che il D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 3-bis, quando stabilisce che “le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano al processo tributario di cui al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546”, si riferisce esclusivamente alle disposizioni sull’appello, limitandosi a preservare la specialità del giudizio tributario di merito (Cass. Sez. Un. 7 aprile 2014, n. 8053). Inoltre, benchè articolato su tre profili di illegittimità, di cui due per omessa motivazione ed uno per violazione di legge, il motivo mira ad una rivalutazione degli elementi di prova il cui giudizio è riservato al giudice del merito. In questa sede di legittimità non vi infatti, possibilità di rivisitare gli elementi istruttori secondo le attese e deduzioni della parte ricorrente;

che le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte di cassazione dichiara inammissibile il ricorso; Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 5.600,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1 – quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 10 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2021

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