Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25778 del 14/10/2019

Cassazione civile sez. III, 14/10/2019, (ud. 09/07/2019, dep. 14/10/2019), n.25778

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2641-2018 proposto da:

B.M.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA AZUNI 9,

presso lo studio dell’avvocato PAOLO DE CAMELIS, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato ANTONINO CELLA;

– ricorrente –

contro

M.T., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA AGOSTINO DE

PRETIS 86, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO FRANCESCO DOTTO,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato CARMEN COLLINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2495/2017 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 19/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/07/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CRICENTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Nel 1997 la sig.ra B., odierna ricorrente, veniva citata in giudizio dal condominio (OMISSIS), il quale le contestava la illegittima chiusura con cancello e lucchetto di un posto auto, che il condominio rivendicava invece in parte in comproprietà, ed in parte adibito a transito comune.

La B. chiamava in giudizio i venditori, tali signori A. e R., che avevano garantito la piena ed esclusiva proprietà del bene, onde ottenere da questi ultimi il risarcimento del danno consistente nella differenza tra quanto versato ed il valore effettivo del box, per come ridimensionato a seguito delle pretese del condominio.

Il Tribunale di Trento, davanti a cui era iniziato quel giudizio, ammetteva le prove testimoniali della B., con ordinanza fuori udienza, ma il difensore domiciliatario di quest’ultima, avvocato M., ometteva di informare di tale ammissione il difensore titolare della causa, cosi che la prova non veniva di fatto assunta.

Il Tribunale di Trento comunque rigettava la domanda rivolta dalla B. verso i suoi danti causa.

Per tale motivo la B. citava in giudizio l’avvocato M., difensore domiciliatario, assumendo una responsabilità professionale di quest’ultimo nel fatto di non avere tempestivamente informato l’avvocato difensore della ordinanza di ammissione della prova.

Il Giudice di primo grado accoglieva la domanda, sul presupposto che, ove assunte, le prove avrebbero consentito un esito diverso e favorevole della lite. Invece, la corte di appello, su impugnazione dell’avvocato M., ha smentito questa tesi, ed ha ritenuto non provato il nesso di causalità tra la negligenza del difensore domiciliatario e l’esito della lite.

Ricorre la B. con un motivo.

V’è controricorso del M..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- La ratio della decisione impugnata è la seguente. La domanda della B. verso i suoi danti causa è stata rigettata sulla base dei soli documenti, che dimostravano la corrispondenza tra quanto promesso in vendita e quanto venduto effettivamente, e che provavano quindi la parziale appartenenza del box all’area condominiale.

Conseguentemente, non aveva influito sulla decisione, in alcun modo, l’esito delle prove orali effettivamente assunte, e non avrebbe potuto influirvi altresì la prova testimoniale della ricorrente, anche se fosse stata ammessa.

Posto, cioè, che in caso di negligenza del difensore occorre comunque valutare il nesso di causa con l’esito della lite, nel senso di accertare se la condotta alternativa lecita avrebbe o meno comportato un esito diverso, secondo la corte di appello la ricorrente non ha dimostrato che, se assunte le prove, l’esito sarebbe stato a lei favorevole. Anzi ha ritenuto comunque ininfluenti quelle testimonianze.

2. La B. ricorre con un solo motivo, articolato però su diverse censure. In particolare, la ricorrente indica violazione degli artt. 1176,1218,1337,1440 e 2236 c.c. ed inoltre omesso esame di un fatto decisivo.

La tesi della ricorrente è che la corte di appello ha omesso di considerare che le prove testimoniali miravano a provare il dolo dei venditori durante le trattative, e dunque il raggiro da questi ultimi posto in essere, anche ai danni del notaio, quanto alla consistenza ed alla titolarità del box oggetto di compravendita, e non già l’effettiva consistenza del bene oggetto del contratto.

La corte, secondo la ricorrente, si è posta il problema di verificare se le testimonianze avrebbero potuto modificare il contenuto del contratto in ordine alla estensione del bene, ed ha effettuato il giudizio prognostico (se potesse esservi cioè esito favorevole) rispetto a tale finalità difensiva.

Invece, avrebbe dovuto avvedersi che la finalità difensiva era un’altra, vale a dire di provare il dolo, il raggiro dei venditori ai danni dell’acquirente, quanto alla estensione effettiva del bene da lei acquistato.

Se la corte avesse fatto ciò, sarebbe di certo arrivata alla conclusione che l’assunzione delle prove avrebbe consentito un esito favorevole della lite.

Il motivo è infondato.

3.- Vanno fatte alcune premesse.

La prima trae ragione dal fatto che secondo una costante regola giurisprudenziale “non potendo il professionista garantire l’esito comunque favorevole auspicato dal cliente….. il danno derivante da eventuali sue omissioni in tanto è ravvisabile, in quanto, sulla base di criteri necessariamente probabilistici, si accerti che, senza quell’omissione, il risultato sarebbe stato conseguito, secondo un’indagine istituzionalmente riservata al giudice di merito, non censurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivata ed immune da vizi logici e giuridici.” (Cass. n. 6967 / 2006; 25347 2010; Cass. 7309/ 2017).

Regola che, se male intesa, rischia di trasformare, contro le sue stesse premesse, la responsabilità del professionista da obbligazione di mezzi in obbligazione di risultato. Se la negligenza dell’avvocato è causalmente rilevante quando ha fatto perdere la causa, o non ha fatto conseguire al cliente il risultato sperato (che sostanzialmente è la stessa cosa), si rischia quella trasformazione, posto che provare che la causa sarebbe andata vinta equivale a provare che il difensore ha mancato un risultato per sua colpa.

Normalmente l’avvocato non deve difendersi dall’accusa di aver fatto perdere la causa; corre questo rischio se oggetto del giudizio diventa la perdita della probabilità che il cliente aveva di vincere. Come spesso accade alla giurisprudenza sulla chance, si sostituisce il danno effettivo (la perdita della causa) con un sostituto astratto (la probabilità di vincerla). Questa sostituzione non è innocua, perchè incide sull’accertamento del nesso di causa e sull’esito del giudizio.

In realtà, il sistema del “processo nel processo” obbliga il giudice a giudizi ipotetici di tipo controfattuale (quale sarebbe stato l’esito della causa se non ci fosse stata negligenza difensiva) ed a rifare fittiziamente il processo mancato, o quello in cui si è manifestata la negligenza del difensore. Fare un “processo al processo” ovviamente non è la stessa cosa che fare il processo direttamente. Ad esempio, è solo fittiziamente che si può dire che le prove sarebbero state ammesse se fossero state richieste, o che se fossero state ammesse avrebbero determinato un risultato diverso.

Tanto fittizio è il controfattuale che occorrerebbe dare per scontato anche l’esito concreto della prova testimoniale, come favorevole alla parte richiedente.

E questo rischio è dovuto, tra l’altro, all’adozione, in questo ambito, del modello conoscitivo della chance, che consente di sostituire un evento di cui si pretende la certezza con altro di cui è sufficiente la probabilità (Daugert v. Pappas 704 P.2d 600(Wash. 985) ha cassato la decisione di appello che aveva ritenuto la responsabilità del difensore assumendo che il cliente, in caso contrario, aveva il 20% di probabilità di vincere).

Per questo motivo la giurisprudenza tedesca è restia a risarcire la perdita di chance di vincere la causa per negligenza del difensore (BGH 21.9.1995, in NJW, 1996, 49; BGH 14.11.1978, in 72 BGHZ, 1978, 49).

La valutazione del giudice di merito dunque deve evitare di attribuire al nesso causale la probabilità che è propria della chance: avere il 20% di vincere una causa è cosa diversa dal fatto che il difensore ha contribuito al 20% a far perdere la causa. Altra è la probabilità dell’evento, altra quella del nesso causale tra questo e la condotta del difensore.

Rispetto al caso che ci occupa, le conseguenze che possiamo trarne sono le seguenti.

3.1.-Intanto, l’indagine prognostica va effettuata sul tipo di domanda proposta dalla parte nel giudizio iniziale. Per stabilire se l’omissione dell’avvocato ha avuto una certa incidenza sul risultato, necessariamente occorre riferirsi per l’appunto al risultato sperato nel giudizio in cui è ipotizzata la colpa del difensore, che altro non è se non la domanda fatta in giudizio, ossia il bene della vita preteso dalla parte.

Ciò implica ulteriormente che, ai fini della sufficienza del ricorso la parte deve indicare che domanda ha proposto nel giudizio in cui si sarebbe verificata la negligenza del difensore, indicazione del tutto omessa nella fattispecie, ma necessaria per poter verificare se la valutazione prognostica circa l’incidenza della omissione del difensore sull’esito, è corretta o meno.

Ad ogni modo, dalla sentenza e dal controricorso si ricava che la domanda proposta dalla B. nei confronti dei suoi danti causa era rivolta ad ottenere una riduzione del prezzo corrisposto per un box rivelatosi più piccolo di quello oggetto di pattuizione.

Ed è rispetto a tale domanda che la corte di appello ha ritenuto non influente la negligenza del difensore, avendo il tribunale di quel giudizio rigettato le pretese della B. sulla base dei soli documenti, che dimostravano corrispondenza di estensione tra il bene promesso e quello consegnato.

Invece, nel motivo di ricorso la B. assume che la valutazione avrebbe dovuto farsi rispetto alla domanda di dolo dei venditori nella fase precontrattuale, che appare diversa da quella effettivamente proposta.

Va da sè che la verifica della incidenza della negligenza del difensore nell’altro giudizio va verificata in relazione alla domanda in quel giudizio proposta, e dunque al risultato sostanziale che la parte si era prefisso, per verificare se la condotta del legale ha probabilmente precluso il conseguimento di quel risultato.

Non è invece ammissibile che il giudizio di probabile incidenza sull’esito della lite venga effettuato in base ad una domanda diversa da quella effettivamente fatta valere nel giudizio iniziale.

Vi sono tuttavia altre ragioni.

Il giudizio controfattuale operato dalla corte di merito rispetta i criteri logici che presidiano a tale tipo di valutazione. Ed anche su tale punto occorre una precisazione.

Il giudizio controfattuale (se il convenuto avesse agito nella maniera dovuta, il danno non si sarebbe verificato) è un giudizio sul nesso di causalità di tipo condizionalistico, poichè mira a stabilire se, eliminata mentalmente l’azione compiuta (o l’omissione) e sostituita con quella doverosa, l’evento si sarebbe verificato o se ne sarebbe verificato un altro.

Ovviamente in questa verifica può seguirsi la logica probabilistica, nel senso di ritenere sufficientemente provata l’efficienza causale se è probabile che, sostituita l’azione compiuta con quella doverosa, l’evento non si sarebbe verificato.

Ma ciò non cambia la natura del giudizio.

Infatti, il giudizio controfattuale conduce a comparare il caso reale (l’avvocato ha dimenticato di far assumere la prova) con quello ipotetico (cosa sarebbe successo se invece l’avesse fatta assumere), nel quale le circostanze, senza il fattore considerato, conducono al risultato il più probabile vicino al corso normale delle cose. Se questo risultato è analogo all’effetto reale, il fatto considerato (la negligenza del difensore) non ha alcuna incidenza causale.

Se invece diverge (assumendo le prove si sarebbe avuto un esito diverso) si potrà ritenere l’efficacia causale del fatto considerato (l’omissione da parte del difensore) nella misura della differenza tra il risultato controfattuale e il risultato reale.

Questa differenza è impropriamente definita da alcuni come chance, e a volte dalla stessa giurisprudenza, ma in realtà è la misura del nesso causale. Il controfattuale, è intuitivo, non mira a stabilire la percentuale di probabilità di vincere la causa da parte del cliente (chance), ma mira a stabilire il corso ipotetico degli eventi in presenza della condotta doverosa, e dunque il nesso di causa tra la condotta alternativa lecita e l’evento (Cass. 5641/2018).

Infatti, il ragionamento controfattuale permette, nello stesso tempo in cui stabilisce una linea causale, di determinare gli effetti corrispondenti alla condizione considerata (l’assunzione delle prove).

Il giudizio della corte di merito rispetta questo schema.

La corte di merito ha ritenuto ininfluente la testimonianza nel giudizio iniziale, sul presupposto che il giudice di quel giudizio ha basato la sua decisione esclusivamente sui documenti depositati in atti, ossia ha ritenuto che quei documenti fossero sufficienti a fondare la decisione di rigetto (e dunque non ha considerato ai fini del decidere neanche le prove orali effettivamente assunte). La corte di appello ha dunque escluso che la condotta alternativa lecita (ossia far assumere le prove, il controfattuale), avrebbe consentito un esito favorevole. Questa indagine attiene all’aspetto in fatto del nesso causale, e non può essere censurata, giusta la regola indicata sopra, in Cassazione se immune da vizi logici e giuridici.

Il ricorso va pertanto respinto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite nella misura di 3200,00 Euro, oltre 200,00 Euro per spese. Dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento del doppio del contributo unificato.

Così deciso in Roma, il 9 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2019

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