Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25773 del 22/09/2021

Cassazione civile sez. I, 22/09/2021, (ud. 27/05/2021, dep. 22/09/2021), n.25773

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8701/2019 proposto da:

A.J., rappresentato e difeso dall’avv. Enrico Villanova;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di TRIESTE, depositata il

08/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/05/2021 da CAPRIOLI MAURA.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Considerato che:

Il Tribunale di Trieste con decreto pubblicato in data 9.1.2019 rigettava la domanda proposta da A.J., cittadino del Pakistan, nato a (OMISSIS), diretto ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, la protezione sussidiaria e la protezione umanitaria.

Il primo Giudice rilevava la genericità dei fate narrati ritenuti privi di elementi idonei a circostanziarli e la scarsa attendibilità della vicenda narrata non supportata da alcun documento.

Osservava che la produzione in causa dell’atto di denuncia di morte del signor A.S. indicato come fratello del ricorrente non poteva considerarsi idonea a provare il rapporto di parentela con la persona indicata come deceduta nella dichiarazione di morte in assenza della carta di identità o di altro documento in grado di collegare il richiedente al soggetto deceduto e quindi sufficiente a dar ritenere verosimili i fatti narrati dal ricorrente avanti alla Commissione territoriale.

Evidenziava che A.J., prima di lasciare il Paese avrebbe avuto il tempo necessario a procurarsi gli indicati documenti tenuto conto che l’uccisione del fratello risaliva al febbraio del 2009 e la partenza del richiedente era avvenuta nei primi mesi di maggio dello stesso anno.

Osservava sempre nell’ottica di negare verosimiglianza al racconto del ricorrente vi era l’ulteriore rilievo che quest’ultimo, pur avendo presentato domanda di protezione in Francia, dove aveva soggiornato per cinque anni prima di lasciare il territorio francese per trasferirsi in Polonia e poi in Italia, non aveva prodotto il documento attestante la relativa richiesta né si era in qualche modo attivato per procurarselo dichiarando di non conoscerne l’esito il che impediva di verificare la corrispondenza fra i fatti posti a base di quella istanza e quelli ora narrati.

In questo quadro il Tribunale escludeva la sussistenza dei presupposti sia per il riconoscimento della protezione internazionale e per quella umanitaria ai fini del rilascio del permesso per motivi umanitari previsto dal D.P.R. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

Per quanto riguarda la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), rilevava che il Punjab, regione di provenienza del richiedente secondo il rapporto Easo del 2017 non era caratterizzata da una situazione di violenza indiscriminata tale da porre in concreto pericolo di vita tutti i cittadini per il solo fatto di trovarsi in quel territorio.

Con il primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 25 del 2008, art. 33, dell’art. 33 della Convenzione di Ginevra e dell’art. 10 Cost., comma 3, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27.

Si lamenta che il Tribunale nel pronunciare il provvedimento impugnato non avrebbe tenuto nel debito conto la situazione del Paese d’origine del ricorrente né di quella personale del richiedente.

Il ricorrente chiede che sia sollevata la questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 113 del 2018, per contrasto con l’art. 77 Cost., non sussistendo i casi di straordinaria necessità ed urgenza prescritti dall’art. 77 per l’adozione della decretazione d’urgenza. Nonché per contrasto con l’art. 10 Cost., comma 2 e dell’art. 117 Cost., comma 1. Con un ulteriore motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione delle norme di diritto ex art. 360, n. 3, in relazione all’art. 111 Cost..

Si lamenta che nel caso di specie, il giudice non avrebbe effettivamente esperito l’esame del ricorrente limitandosi a chiedere conferma delle dichiarazioni rese senza compiere ulteriori domande in ordine ai fatti narrati.

Si censura infine la violazione o falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), del D.L. n. 251 del 2007, art. 3 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8.

Si censura in particolare le ragioni poste a fondamento del diniego della protezione sussidiaria basate sul fatto che il richiedente né in sede di audizione né in sede giudiziale aveva dichiarato di essere soggetto a specifiche, concrete individuali minacce richiamando un precedente della Cassazione ritenuto non pertinente.

In via preliminare vanno respinte le istanze con cui sono state sollevate le questioni di legittimità costituzionale relative al D.L. n. 113 del 2018, art. 1, contenente l’abrogazione della protezione umanitaria trattandosi di una questione non rilevante nel caso di esame poiché il Tribunale di Trieste ha respinto la domanda di protezione umanitaria sulla base della normativa esistente al tempo della presentazione della domanda e quindi applicando il D.P.R. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, nella originaria versione.

Gli effetti della nuova normativa operano solo per le domande proposte successivamente alla sua entrata in vigore e quindi dopo il 5.10.2018 (Sezioni Unite del 13/11/2019 n. 29460).

Il primo motivo ed il quarto che vanno trattati congiuntamente devono ritenersi inammissibili.

In primo luogo il ricorrente non allega alcuna specifica circostanza idonea a superare le argomentazioni del giudice di merito, che ha ritenuto innanzitutto non verosimile la storia narrata dal richiedente ai fini del riconoscimento dell’invocata protezione internazionale, evidenziandone gli specifici aspetti di criticità quanto all’assenza di documentazione idonea dare corpo ai fatti riferiti in sede di audizione personale avanti alla Commissione e al comportamento inerte mantenuta dal ricorrente anche con riferimento alla domanda di protezione internazionale presentata in Francia e rispetto ai richiamati profili di criticità evidenziati dal Tribunale il ricorrente non ha fornito alcun elemento idoneo a superare le argomentazioni del giudice di merito.

Il primo Giudice, contrariamente a quanto assume il ricorrente ha fondato pertanto il suo giudizio su un complesso di elementi, sottolineando in particolare le incongruenze e la genericità del narrato.

La censura inoltre non presenta il necessario livello di specificità, poiché il ricorrente si è limitato ad una generica riaffermazione della sua condizione personale e di quella generale del suo Paese, senza in alcun modo attingere la motivazione resa dalla Corte territoriale e contestarne i singoli passaggi, come invece sarebbe stato onere del ricorrente fare. D’altronde secondo l’orientamento interpretativo espresso da questa Corte (cfr. Cass. n. 21142 del 2019; Cass. n. 3340 del 2019) del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, obbliga il giudice a sottoporre le dichiarazioni del richiedente non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna ma anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda personale posta a fondamento della domanda, verifica che costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, e non è sindacabile dinanzi la Corte di Cassazione se non per una anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge.

Le doglianze si traducono, dunque, in una impropria sollecitazione del riesame del merito, tanto più che nel caso di specie la motivazione senz’altro possiede i requisiti del minimo costituzionale ed il ricorrente non ha indicato alcun fatto di cui sia stato omesso l’esame, di guisa che la censura non risponde nemmeno al modello legale del vizio motivazionale (Cass. n. 27503 del 2018; Cass. n. 3340 del 2019).

Va poi considerato che, come più volte statuito da questa Corte, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, deve essere interpretata, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa (285/12), nel senso che il grado di violenza incliscriminata deve avere raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 13858 del 31/05/2018, Rv. 648790).

Nel caso di specie, il giudice di merito, valorizzando il rapporto Easo, consultato a febbraio 2017, ha evidenziato l’insussistenza di una situazione di violenza indiscriminata nel paese di provenienza del ricorrente e tale accertamento costituisce apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito, non censurabile in sede di legittimità (Cass. 12/12/2018 n. 32064).

Ne consegue che le censure del ricorrente, sul punto, si configurano come di merito, e, come tali, inammissibili in sede di legittimità, essendo finalizzate esclusivamente a sollecitare una rivalutazione del materiale probatorio già esaminato dal giudice di merito.

Con riguardo al prospettata violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, (punto 3 del ricorso) le doglianze articolate dal ricorrente sul punto qui in discussione sono inammissibili perché formulate in modo del tutto generico, non avendo il richiedente spiegato e specificato, nel presente ricorso per cassazione, i fatti su cui avrebbe voluto essere ascoltato e non avendo neanche dedotto la rilevanza ed utilità degli stessi.

Alla stregua delle considerazioni sopra esposte va dichiarata l’inammissibilità del ricorso.

Nessuna determinazione in punto spese stante il mancato svolgimento di attività difensiva da parte del Ministero.

PQM

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso; nulla per le spese;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 27 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2021

 

 

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