Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25773 del 14/10/2019

Cassazione civile sez. III, 14/10/2019, (ud. 09/07/2019, dep. 14/10/2019), n.25773

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20148/2018 proposto da:

G.F., domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

LORENZA CAUZZI;

– ricorrente –

contro

B.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA

BALDUINA 7, presso lo studio dell’avvocato CONCETTA TROVATO,

rappresentata e difesa dall’avvocato ALESSIO ROMANELLI;

– controricorrente –

e contro

M.D.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 656/2018 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 09/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

09/07/2019 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO.

Fatto

RITENUTO

che:

1. G.F. ricorre, affidandosi a tre motivi, per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Brescia che aveva respinto l’impugnazione proposta avverso la pronuncia del Tribunale di Cremona con la quale era stata accolta la domanda avanzata da B.C., ex art. 2901 c.c., per la dichiarazione di inefficacia dell’atto di vendita stipulato con la ricorrente da M.D. ed avente per oggetto il 50% di un immobile di sua proprietà che rappresentava l’unico cespite di cui era titolare, e che condivideva, pro quota indivisa, con il marito P.F. dal quale si era separata.

1.1 Per ciò che interessa in questa sede, la Corte territoriale, confermando la sentenza di primo grado, aveva ritenuto che ricorressero i presupposti dell’azione proposta con riferimento al credito vantato dalla B., difensore della M., per le prestazioni professionali rese proprio in relazione alla causa di separazione fra i coniugi che aveva, per lungo tempo, patrocinato.

2. Ha resistito soltanto l’intimata B..

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza, per omessa pronuncia in ordine ai motivi d’appello formulati: assume che pur avendo posto all’attenzione della Corte territoriale l’erroneità della pronuncia relativa alla pretesa anteriorità del credito nonchè i fatti e le circostanze emerse dall’istruttoria, idonee a provare che l’atto di cessione della quota immobiliare era anteriore al sorgere del credito vantato, non era stata resa alcuna pronuncia sulla specifica censura, in quanto la Corte si era limitata ad affermare apoditticamente, quanto erroneamente, che la questione era coperta dal giudicato in quanto non era stata oggetto di censura.

1.1. Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza.

Questa Corte ha affermato il principio, pienamente condiviso dal Collegio secondo cui “è inammissibile, per violazione del criterio dell’autosufficienza, il ricorso per cassazione col quale si lamenti la mancata pronuncia del giudice di appello su uno o più motivi di gravame, se essi non siano compiutamente riportati nella loro integralità nel ricorso, sì da consentire alla Corte di verificare che le questioni sottoposte non siano “nuove” e di valutare la fondatezza dei motivi stessi senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte” (cfr. Cass. 17049/2015; Cass. 14561/2012)

1.2. Nel caso in esame, la censura riassume genericamente le doglianze proposte dinanzi alla Corte territoriale – che si è espressamente pronunciata sulle circostanze dedotte, statuendo che fossero coperte “dal giudicato” – ma omette di trascriverle specificamente e di indicare esattamente in quale parte dell’atto d’appello avrebbe avanzato le critiche prospettate, al fine di consentire a questa Corte di apprezzare la censura di omessa pronuncia che risulta contraddetta dalla stessa motivazione resa..

2. Con il secondo motivo, deduce altresì, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, e la conseguente omessa pronuncia, e la violazione di legge.

2.1. Assume che la Corte aveva omesso di valutare che la B. aveva sostenuto di aver raggiunto con la propria cliente un accordo per il pagamento degli onorari professionali e che ciò escludeva che la ricorrente avesse avuto parte nell’inadempimento nei confronti del suo difensore.

2.2. La censura è inammissibile, in quanto la sentenza impugnata ha deciso in modo del tutto conforme alla pronuncia di primo grado, proprio in relazione alle questioni di fatto riesaminate, e ciò esclude che possa essere dedotto il vizio invocato, ex art. 348 ter c.p.c., commi 4 e 5, applicabile ratione temporis al caso in esame, visto che la norma è stata introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. a), convertito nella L. n. 134 del 2012, per i giudizi d’appello, come quello in oggetto, radicati dopo il 12.9.2012 (Cass. 26774/2016; Cass. 5528/2014).

3. Con il terzo motivo, infine, la ricorrente lamenta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 2901 c.c..

3.1. Deduce che la Corte territoriale aveva erroneamente ritenuto sussistenti i presupposti della revocatoria invocata, omettendo di considerare che gli stessi accordi di separazione ricomprendevano il rimborso con il ricavato della vendita della quota della assistita dei crediti vantati dal coniuge separato; che la Corte aveva assegnato rilevanza alla circostanza – erroneamente presunta – che l’appellante fosse a conoscenza degli importi dovuti dalla parte della venditrice al marito, assumendo altrettanto erroneamente che ricorresse la scientia damni.

3.2. Il motivo è inammissibile sia per difetto di autosufficienza, in quanto non sono state riportate nel ricorso le censure proposte in appello, sia perchè la ricorrente prospetta questioni di fatto già valutate dai giudici di merito con le quali, oltretutto, non si tiene conto della giurisprudenza di questa Corte, nella materia in esame, sulla rilevanza della prova presuntiva.

3.3. E’ stato, infatti, chiarito che “in tema di azione revocatoria ordinaria, quando l’atto di disposizione sia successivo al sorgere del credito, unica condizione per il suo esercizio è la conoscenza che il debitore abbia del pregiudizio delle ragioni creditorie, nonchè, per gli atti a titolo oneroso, l’esistenza di analoga consapevolezza in capo al terzo, la cui posizione, sotto il profilo soggettivo, va accomunata a quella del debitore. La relativa prova può essere fornita tramite presunzioni, il cui apprezzamento è devoluto al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità ove congruamente motivato” (cfr. ex multis Cass. 16221/2019; Cass. 27546/2014).

3.4. Il collegio intende dare seguito al principio sopra riportato.

4. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti alle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e rimborso spese forfettario nella misura di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 9 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2019

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