Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25772 del 22/09/2021

Cassazione civile sez. I, 22/09/2021, (ud. 27/05/2021, dep. 22/09/2021), n.25772

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8325/2019 proposto da:

D.A., rappresentato e difesa dall’avv. Monica Gonzo ed

elettivamente presso la cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositata il 29/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/05/2021 da CAPRIOLI MAURA.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Considerato che:

Il Tribunale di Milano, con Decreto n. 877/2019,respingeva la domanda di protezione sussidiaria presentata da D.A., cittadino del Mali, ritenendo non sussistente alcune delle ipotesi disciplinate dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14.

Il primo Giudice rilevava che non poteva ritenersi fondato il timore di poter subire un processo e gravi sanzioni per la morte di un ragazzino che sarebbe stata provocata dal richiedente in occasione di un sinistro stradale.

Considerava infatti il racconto fornito dal ricorrente insufficiente e lacunoso e privo di conseguenzialità logica così da non essere ritenuto credibile nei suoi aspetti rilevanti ai fini della decisione.

In particolare il Tribunale riteneva insufficiente e generica la spiegazione offerta circa le ragioni che avrebbero indotto il richiedente nell’immediatezza dei fatti e prima ancora di verificare l’eventuale coinvolgimento nelle conseguenze del sinistro,la sua decisione di allontanarsi e trovare rifugio in una “foresta” solo per aver visto una persona, che armata di bastone si sarebbe diretta contro di lui, senza neppure avere idea di chi fosse, semplicemente supponendo che si trattasse del padre della vittima.

Osservava poi la sproporzione fra il fatto come narrato e le reazioni del ricorrente erano state amplificate dal fatto che si trattava di un fatto involontario rispetto al quale certamente il ricorrente avrebbe potuto cercato di difendersi.

Sottolineava che il richiedente non era stato in 1^ grado di spiegare le modalità con cui la polizia si sarebbe recata a casa sua con un mandato giacché secondo quanto dichiarato dal ricorrente, lo stesso si era immediatamente allontanato dal luogo dell’incidente rendendosi irreperibile.

Evidenziava che, anche a voler prescindere da tali rilievi, gli era stata offerta la possibilità di dimostrare di essere stato convocato dalla polizia con l’avvertimento di subire una pesante condanna, attivandosi presso la famiglia per farsi spedire questo mandato precisando che le spiegazioni date al riguardo dai dal ricorrente non potevano essere accettate.

Quanto all’ipotesi di cui all’art. 14, lett. c), ha rilevato, sulla base di fonti accreditate l’insussistenza nel centro e nel sud del Mali di un conflitto armato, che invece sta interessando il nord del Paese dal 2012, con conseguente non coinvolgimento della regione di Bamako, di provenienza del richiedente.

Il Tribunale rigettava la domanda di protezione umanitaria, non era stata offerta la dimostrazione di una effettiva integrazione nel tessuto socio-culturale del Pese ospitante, ancorata a circostanze di carattere stabile e tendenzialmente permanente richiamando la valutazione di non credibilità dei fatti narrati che avevano dato origine all’espatrio.

D.A. proponeva ricorso per cassazione affidato a 4 motivi.

Il Ministero dell’Interno rimaneva intimato.

Con ordinanza del 23.9.2020 la Corte rimetteva la causa a nuovo ruolo al fine di definire, attraverso una pubblica udienza la questione oggetto di numerosi giudizi sulla necessità del rinnovo dell’audizione del richiedente e sui limiti del sindacato della Suprema Corte sulla corrispondente valutazione dei giudici di merito.

All’esito dell’udienza pubblica è stata nuovamente fissata l’udienza camerale. Con il primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, commi 9, 10 e 11 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si deduce che il Tribunale aveva omesso di disporre l’audizione del richiedente nonostante non fossero disponibili né la video registrazione del colloquio del ricorrente avanti la competente Commissione territoriale né la relativa trascrizione, così come previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 14, comma 1, senza che assumesse rilievo la mancata allegazione di fatti nuovi perché la sentenza della Corte di Giustizia riguarda i casi manifestamente infondati e la credibilità può essere valutata solo mediante esame diretto dell’interessato. Con il secondo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione sotto altro profilo del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, commi 9, 10 e 11 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, e degli art. 115,116 e 117 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole il ricorrente che il Tribunale omettendo di ascoltare il richiedente abbia espresso un giudizio di non credibilità basato unicamente sul verbale delle dichiarazioni redatto dalla Commissione.

Con il terzo motivo si denuncia la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, censurando la valutazione espressa in merito alla sicurezza del Paese di provenienza ritenuta parziale. Con il quarto motivo si deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, commi 9, 10 e 11, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, e degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

Si censura il diniego della protezione umanitaria che si sarebbe basato sulla non credibilità del richiedente trascurando alcuni documenti regolarmente versati in atti.

I primi due motivi che vanno esaminati congiuntamente per l’intima connessione, sono in parte infondati ed in parte inammissibili.

In relazione alla questione dell’audizione del richiedente, giova ricordare che, secondo un orientamento espresso recentemente da questa Corte (cui anche questo Collegio intende fornire continuità applicativa, condividendone le ragioni), in riferimento alla mancata audizione del richiedente in sede giurisdizionale in caso di procedimento D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 bis, “nei giudizi in materia di protezione internazionale il giudice, in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione territoriale, ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione, ma non anche quello di disporre l’audizione del richiedente, a meno che: a) nel ricorso non vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda (sufficientemente distinti da quelli allegati nella fase amministrativa, circostanziati e rilevanti),; b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) il richiedente faccia istanza di audizione nel ricorso, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire chiarimenti e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile” (Sez. 1, Sentenza n. 21584 del 07/10/2020; in senso conforme, anche Sez. 1, Sentenza n. 22049 del 13/10/2020, secondo cui verbatim “il corredo esplicativo dell’istanza di audizione deve risultare anche dal ricorso per cassazione, in prospettiva di autosufficienza; in particolare il ricorso, col quale si assuma violata l’istanza di audizione, implica che sia soddisfatto da parte del ricorrente l’onere di specificità della censura, con indicazione puntuale dei fatti a suo tempo dedotti a fondamento di quell’istanza”).

Ciò posto, la doglianza articolata dal ricorrente sul punto qui in discussione risulta, in primis, infondata perché – secondo i principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità sopra richiamata (e qui confermata), non esiste un obbligo del giudice ad audire il richiedente – e, in secondo luogo, inammissibile perché le censure articolate dal ricorrente si presentano comunque formulate in modo del tutto generico e dunque irricevibile, non avendo il richiedente spiegato e specificato, nel presente ricorso per cassazione, i fatti a suo tempo dedotti a fondamento dell’istanza di audizione avanzata innanzi ai giudici del merito e non avendo neanche dedotto la rilevanza ed utilità del predetto mezzo istruttorio.

Il ricorrente non ha neppure indicato le specifiche circostanze fattuali su cui avrebbe voluto essere sentito e rendere eventuali chiarimenti, limitandosi a censurare le motivazioni poste a base del diniego essenzialmente fondato sulla mancanza di fatti nuovi e disponibilità di elementi necessari ai fini della decisione, di talché la censura si appalesa del tutto generica e come tale inammissibile (vedi sul punto anche Cass. n. 8931/2020).

Il terzo motivo è inammissibile.

La giurisprudenza di legittimità in relazione all’ipotesi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), ha precisato che il giudice di merito, nel fare riferimento alle c.d. fonti privilegiate di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, deve indicare la fonte in concreto utilizzata, nonché il contenuto dell’informazione da essa tratta e ritenuta rilevante ai fini della decisione, così da consentire alle parti la verifica della pertinenza e della specificità dell’informazione predetta rispetto alla situazione concreta del Paese di provenienza del richiedente la protezione (Cass. n. 13449/2019, n. 11312/2019, n. 13450/2019, n. 13452/2019, n. 13451/2019 e Cass. n. 13452/2019).

Il decreto impugnato è conforme a tali indicazioni posto che esso indica le fonti in concreto utilizzate dal giudice di merito e consente in tal modo alla parte la duplice verifica della provenienza e della pertinenza dell’informazione; (Cass. n. 13449/2019, n. 11312/2019, n. 13450/2019, n. 13452/2019, n. 13451/2019 e Cass. n. 13452/2019); le censure al contenuto di tale accertamento sono inammissibili in quanto formulate in termini del tutto generici, e non si confrontano con l’iter argomentativo della decisione, in dispregio del principio secondo il quale “in tema di giudizio di cassazione, trattandosi di rimedio a critica vincolata il ricorso deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi aventi i caratteri di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, sicché è inammissibile il ricorso nel quale non venga precisata la violazione di legge nella quale sarebbe incorsa la pronunzia di merito, né essendo al riguardo sufficiente un’affermazione apodittica non seguita da alcuna dimostrazione” (cfr. Cass. 24.2.2020 n. 4905).

In ordine al riconoscimento della protezione umanitaria, il diniego è dipeso dall’accertamento dei fatti da parte del giudice di merito, che ha escluso con idonea motivazione, l’esistenza di una situazione di integrazione e dunque di particolare vulnerabilità. A tale accertamento viene inammissibilmente contrapposta una omessa valutazione di documenti senza indicarne e senza spiegare se e quali argomenti abbia sviluppato dinanzi al giudice di merito per segnalare la loro importanza probatoria.

Il motivo manca così del requisito della autosufficienza che, come questa Corte ha chiarito, implica la necessità di corredare la censura del ricorso per Cassazione di omessa valutazione di prove documentali non solo della trascrizione del testo integrale o della parte significativa del documento al fine di consentire il vaglio di decisività, ma anche della specificazione degli argomenti, deduzioni o istanze che, in relazione alla pretesa fatta valere, siano state formulate in sede di merito sulla base del documento; infatti del tutto irrilevante giuridicamente dovrebbe considerarsi la sola produzione, in detta sede, non accompagnata da specifica istanza d’esame e da deduzioni circa la rilevanza dei documenti prodotti in relazione alle pretese fatte valere, dato che essa non garantisce alla controparte la possibilità di interloquire sul punto, così come è necessario per assicurare il contraddittorio, e non comporta, comunque, per il giudice alcun onere d’esame e, tanto meno, di considerazione dei documenti stessi ai fini della decisione (Cass. n. 19138/2004; n. 18506/2006; 4405/2006; n. 21621/2007; n. 13625/2019).

Il ricorso va pertanto rigettato.

Nulla sulle spese, in difetto di attività difensiva da parte dell’intimato.

Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, e il ricorrente risulta soccombente, pertanto egli è gravato dall’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contribuito unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis e comma 1 quater, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese; Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso se dovuto.

Così deciso in Roma, il 27 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2021

 

 

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