Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25772 del 14/10/2019

Cassazione civile sez. III, 14/10/2019, (ud. 09/07/2019, dep. 14/10/2019), n.25772

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14516-2018 proposto da:

D.N.A., M.L.P., M.P., coniugi e

figli di M.E., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA BU

MELIANA N. 12, presso lo studio dell’avvocato STEFANO CRUCIANI,

rappresentati e difesi dall’avvocato SIMONA ALFREDINI;

– ricorrenti –

contro

V.M.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI

GRACCHI, 187, presso lo studio dell’avvocato PASQUALE LANDOLFI, che

la rappresenta e difende;

GENERALI ITALIA SPA già ALLEANZA TORO SPA in persona dei procuratori

speciali Dott.ri P.V. e PO.MA., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA C. COLOMBO 440, presso lo studio

dell’avvocato FRANCO TASSONI, che la rappresenta e difende;

– controricorrenti –

e contro

M.M.R., C.A.;

– intimati –

nonchè da:

M.M.R., C.A., elettivamente domiciliate in

ROMA, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA BU MELIANA N. 12,

presso lo studio dell’avvocato STEFANO CRUCIANI, rappresentate e

difese dall’avvocato CRISTIANO FIGORILLI;

– ricorrenti –

contro

V.M.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI

GRACCHI, 187, presso lo studio dell’avvocato PASQUALE LANDOLFI, che

la rappresenta e difende;

GENERALI ITALIA SPA già ALLEANZA TORO SPA in persona dei procuratori

speciali Dott.ri P.V. e PO.MA., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA C. COLOMBO 440, presso lo studio

dell’avvocato FRANCO TASSONI, che la rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 980/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 15/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/07/2019 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO.

Fatto

RITENUTO

che:

1. D.N.A., M.L.P. e M.P., in qualità di coniuge e figli del defunto M.E. e, con atto successivo, M.M.R. ed C.A., sorella e nipote, ricorrono – affidandosi rispettivamente a nove e sei motivi illustrati anche da memoria – per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Roma che, in parziale riforma della pronuncia del Tribunale di Rieti, aveva affermato la concorrente responsabilità del de cuius in relazione al sinistro stradale verificatosi mediante collisione del M. – che si trovava alla guida del proprio motoveicolo – con l’autovettura condotta da V.M.R., e che aveva condannato i ricorrenti alla restituzione di quanto ricevuto – in eccedenza rispetto alle somme rideterminate – dalla Generali Italia Spa in esecuzione della sentenza di primo grado.

2. Hanno resistito le parti intimate con controricorso e memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Deve premettersi che il primo, secondo, terzo, settimo, ottavo e nono motivo del ricorso principale ed i sei motivi del ricorso successivo sono totalmente sovrapponibili: essi verranno, pertanto, esaminati congiuntamente.

1.1. Con il primo motivo, i ricorrenti deducono, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli artt. 1321,1325,1326,1362,1366 e 1965 c.c.: lamentano che la Corte territoriale aveva ritenuto non conclusa la transazione dedotta in appello (al fine di ottenere la declaratoria di improponibilità ed improcedibilità dell’impugnazione proposta), per il mancato raggiungimento dell’accordo sulle modalità e sul termine di pagamento, con ciò risultando violate le norme generali sul contratto, quelle sull’interpretazione e, specificamente, quelle disciplinanti la transazione che era stata ritenuta non conclusa per mancato accordo sui tempi ed i modi di pagamento della somma concordata.

Assumono che la decisione si poneva in aperto contrasto con il disposto di cui all’art. 1326 c.c., commi 1 e 5 in quanto “nel caso concreto, la lettura della corrispondenza scambiata fra le parti evidenziava una piena conformità fra la proposta transattiva avanzata dal difensore della V. e l’accettazione esternata dal difensore dei danneggiati”.

1.2. Il motivo è inammissibile.

In disparte ogni rilievo sulla manca di interesse portato dalla specifica censura, in quanto la somma complessiva oggetto della pretesa transazione risulta inferiore a quella, sia pur ridimensionata, oggetto di condanna, il Collegio ritiene che la Corte territoriale abbia valutato in modo complessivo gli atti prodotti, attestanti lo sviluppo del carteggio negoziale intervenuto per la stipula della transazione, e che ha ritenuto che non ci fosse stato il perfezionamento dell’accordo, con motivazione al di sopra della sufficienza costituzionale.

1.3.Questa Corte ha affermato che in tema di transazione, l’interpretazione delle relative disposizioni contrattuali è riservata al giudice di merito, le cui valutazioni soggiacciono, in sede di legittimità, alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale ed al controllo della sussistenza di una motivazione coerente e logica, gravando sul ricorrente l’onere di indicare i principi di ermeneutica violati e le ragioni dell’asserita incongruità e incompletezza della motivazione (cfr. Cass. 22068/2007; ed, in termini Cass. Cass. 12367/2018).

1.4. Nel caso in esame, la Corte territoriale ha dato conto delle valutazioni sviluppate sul carteggio intercorso fra le parti, descrivendolo analiticamnete (cfr. pag. 3 e 4 della sentenza impugnata), ed ha concluso affermando che la successione cronologica dei fatti consentiva di escludere che fosse stata conclusa la rivendicata transazione in quanto non erano stati concordati i modi ed i tempi dei versamenti: in essi deve essere evidentemente ricompreso anche l’adempimento – oggetto di contestazione – riguardante la cancellazione delle ipoteche iscritte sui beni della V., intorno al quale nessun accordo risulta effettivamente essersi formato.

1.5. La motivazione resa risulta, pertanto, congrua e logica e la censura maschera una richiesta di riesame del merito della controversia, preclusa in questa sede (cfr. Cass. 8758/2017; Cass. 18721/2018).

2. Con il secondo motivo, i ricorrenti deducono congiuntamente, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità del procedimento e della sentenza per violazione degli artt. 366,343 e 347 c.p.c.: lamentano che era stata accolta la domanda di restituzione delle somme corrisposte in eccedenza, nonostante che la Compagnia di assicurazione avesse proposto la domanda di restituzione nel costituirsi tardivamente in giudizio, e cioè oltre il termine per l’appello incidentale che non era stato, comunque, proposto.

2.1. Il motivo è infondato.

Deve premettersi che questa Corte, in punto di restituzione delle somme pagate in esecuzione della sentenza di primo grado, ove quella d’appello abbia riformato il decisum parzialmente o totalmente, ha affermato che “la richiesta di restituzione consegue alla richiesta di modifica della decisione impugnata, sicchè essa non costituisce domanda nuova ed è ammissibile in appello, ma deve essere formulata, a pena di decadenza, con l’atto di gravame se, a tale momento, la sentenza sia stata già eseguita, ovvero nel corso del giudizio qualora l’esecuzione sia avvenuta dopo la proposizione dell’impugnazione, restando, invece, preclusa la proposizione della domanda con la comparsa conclusionale, trattandosi di atto di carattere meramente illustrativo, senza che rilevi, in senso contrario, l’avvenuta messa in esecuzione della decisione di primo grado tra l’udienza di conclusioni e la scadenza del termine per il deposito delle relative comparse”(cfr. ex multis Cass. 1324/2016; Cass. 2296/2018).

2.2. Il principio sopra riportato è condiviso da questo Collegio: tuttavia, esso può essere solo parzialmente applicato al caso in esame che è caratterizzato da una differente dialettica processuale.

2.3. Mentre, infatti, le ipotesi esaminate negli arresti sopra riportati sono riferiti a controversie in cui l’impugnazione era stata proposta dal soggetto condannato che aveva eseguito la sentenza di primo grado, nella causa in esame – in cui nell’atto d’appello incidentale proposto dagli odierni ricorrenti (cfr. pag. 34 della comparsa di costituzione in appello: doc. 39 prodotto) era stato ammesso l’avvenuto pagamento dell’intero massimale, e tale ammissione è stata reiterata, con la specifica indicazione delle date dei pagamenti, proprio nel motivo di ricorso in esame (cfr. pag. 22 quarto cpv e 23 primo cpv) – la compagnia di assicurazione rivestiva la posizione di parte appellata: la difesa apprestata, sia pur mediante costituzione tardiva, nella quale sono state assunte conclusioni contenenti la richiesta di restituzione di quanto pagato in eccedenza nell’ipotesi in cui la somma dovuta fosse stata rideterminata, risulta conseguente all’ammissione dell’avvenuto pagamento da parte dei danneggiati che nel giudizio di gravame hanno assunto la posizione di appellanti incidentali: correttamente, pertanto, la Corte territoriale, ex art. 6 CEDU ed art. 111 Cost., nel rispetto dei principi del giusto processo e della sua ragionevole durata, declinati attraverso l’economia processuale (che deve essere realizzata anche evitando la proliferazione di giudizi non necessari) ha disposto “la restituzione di quanto eventualmente ricevuto in esubero rispetto alle somme rideterminate nella sentenza” (cfr. pag. 18 secondo cpv), sulla base delle allegazioni formulate in quanto, nel caso di specie, la pronuncia risulta essere una logica conseguenza della rideterminazione della differenza fra quanto dovuto e quanto già incontestabilmente pagato.

2.4. A ciò consegue che sotto il profilo strettamente processuale – trattandosi di statuizione conseguente ad una mera difesa della parte appellata, riferita a circostanze pacifiche – il momento preclusivo era costituito dall’udienza di precisazione delle conclusioni che rappresenta la soglia temporale oltre la quale la dialettica processuale fra le parti deve ritenersi cristallizzata.

2.5. La Corte territoriale ha fatto coerente applicazione di tali principi e la censura, pertanto, deve essere respinta.

3. Con il terzo motivo, i ricorrenti deducono congiuntamente la violazione degli artt. 2043 e 2054 c.c. e degli artt. 140,141,142 e 145C.d.S.: assumono che la ripartizione di responsabilità nella misura del 70% e del 30% violava le norme che regolano il risarcimento da fatto illecito e tutte le altre disposizioni del C.d.S. elencate. Ripropongono una rivisitazione della dinamica dell’incidente incentrata sulla valutazione della manovra di emergenza della vittima del sinistro in comparazione con la condotta della danneggiante V..

3.1. Il motivo è inammissibile perchè prospetta questioni di mero fatto domandando una rivisitazione di merito della dinamica del sinistro, correttamente ed esaustivamnete esaminata dalla Corte (pag. 7, 8 e 9 della sentenza).

4. Con il quarto motivo, proposto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 i ricorrenti principali lamentano la violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c. per nullità della sentenza e del procedimento: assumono che a fronte della censura riferita alla liquidazione del danno biologico subito dal de cuius, attinente al parametro di riferimento consistente nell’invalidità temporanea anzichè in quella permanente, la Corte territoriale aveva riformato la sentenza escludendo che ricorresse il danno catastrofale per mancanza dei presupposti.

4.1. Lamenta, altresì, la violazione dell’art. 115 c.p.c. in quanto la Corte aveva pronunciato ultrapetita escludendo la sussistenza del danno catastrofale, laddove era stata censurata soltanto la liquidazione del c.d. “danno terminale”, posta risarcitoria affatto diversa.

4.2. Il motivo è infondato.

La Corte ha esaminato il motivo proposto dalla V. riproducendolo nella sentenza impugnata (pag. 12): con esso era stato censurato il riferimento del danno morale e biologico iure haereditatis quantificato, per periodo intercorrente fra il sinistro e la morte del M., con riferimento all’invalidità permanente.

4.3. La doglianza, pertanto, era stata proposta dalla V. e ricomprendeva tutte le poste risarcitorie liquidabili quale danno iure haereditatis, al di là delle differenziazioni semantiche che risultano, rispetto ad una visione unitaria ed omnicomprensiva del danno non patrimoniale, del tutto irrilevanti (cfr. Cass. 901/2018).

Risulta, dunque, pienamente legittima la riqualificazione della posta

risarcitoria che, con motivazione congrua e logica, è stata ricondotta al danno biologico, quale danno conseguenza, consistente nei postumi invalidanti per il periodo di cinque giorni di sopravvivenza: la Corte territoriale ha proceduto ad una riliquidazione equitativa supportata da una percorso argomentativo logico ed aderente ai principi di legittimità, fondato anche sulla esclusione del danno catastrofale per mancanza di prova in ordine alla coscienza e lucida percezione del fine vita.

4.4. La censura, proposta come nullità della sentenza per omesso esame di un fatto decisovo è priva di pregio e maschera, in parte, la richiesta di rivisitazione della causa nel merito, preclusa in questa sede per quanto già sopra argomentato.

5. Con il quinto motivo, viene prospettata dai ricorrenti principali una censura analoga a quella precedente, ricondotta, però, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, al profilo dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, consistente nella circostanza che il danneggiato non aveva mai perso conoscenza nei cinque giorni intercorrenti fra l’incidente e la morte.

5.1. La censura è, sotto tale profilo, inammissibile: i ricorrenti, infatti, non hanno colto la ratio decidendi della pronuncia, con la quale sono stati liquidati i cinque giorni di sopravvivenza alla luce di tutti gli elementi emersi a sostegno della particolare sofferenza che la vittima ebbe a subire, ma è stata esclusa la prova che il M. abbia avuto “la coscienza e lucida percezione della ineluttabilità della propria fine”.

5.2. I ricorrenti insistono nel ritenere che lo stato di coscienza della vittima dopo la collisione fosse equivalente alla consapevolezza che si stesse avvicinando la sua fine, ma tale affermazione rimane apodittica: da una parte, infatti, non si tiene conto delle argomentazioni sottese alla pronuncia, e dall’altra non si prospettano evidenze processuali diverse da quelle già esaminate dalla Corte territoriale.

6. Con il sesto motivo, ancora, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si deduce la violazione degli artt. 2043,1223 e 1226 c.c.: i ricorrenti lamentano che era stato negato il risarcimento del danno patrimoniale in favore della figlia P. e che era stato ridotto quello in favore del figlio L.P. (cfr. 14 e 15 della sentenza impugnata). Assumono, altresì, che la Corte non aveva considerato i risvolti patrimoniali derivanti ad entrambi i figli dalla perdita del sostegno durevole da parte del genitore.

6.1. Il motivo è inammissibile.

Infatti il danno patrimoniale non può prescindere dalla prova concreta del pregiudizio subito: al riguardo, la Corte ha correttamente motivato in ordine alla posizione di entrambi i figli, rilevando l’assenza di dimostrazione di un contributo economico erogato dal padre alla figlia maggiore con la quale, oltretutto, non sussisteva più una condizione di convivenza visto che aveva formato un autonomo nucleo familiare. In relazione al figlio L., infine, la Corte ha plausibilmente argomentato in ordine alla mancata giustificazione della eccessiva durata del periodo di mantenimento riconosciuta nella sentenza di primo grado, in consonanza con l’aspettativa del raggiungimento di una condizione di autonomia in tempi ben più brevi.

6.2. Tanto premesso, anche tale censura postula una rivisitazione di merito della controversia, preclusa in questa sede, visto che la decisione è fondata su un percorso argomentativo congruo, logico ed al di sopra della sufficienza costituzionale.

7. Il settimo motivo del ricorso principale è sovrapponibile al quarto motivo del ricorso successivo: i ricorrenti deducono, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dei D.M. n. 127 del 2004 e D.M. n. 55 del 2014 e dell’art. 11 preleggi.

7.1. Lamentano che la Corte territoriale, nel rideterminare le spese della sentenza di primo grado in conseguenza della parziale riforma di essa, si era erroneamente riferita al D.M. n. 55 del 2014, con violazione del principio di irretroattività della legge, tenuto conto che la pronuncia impugnata risaliva al 7/8-1-2010, epoca in cui era vigente il D.M. n. 127 del 2004 che doveva costituire il parametro da assumere per la liquidazione deduce che le tariffe professionali allora vigenti erano state violate, posto che la decisione si era attestata al di sotto degli onorari minimi inderogabili.

8. Con l’ottavo motivo del ricorso principale ed il quinto del ricorso successivo, i ricorrenti lamentano, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione e falsa applicazione degli artt. 91,92,132 e 359 c.p.c. nonchè della L. n. 794 del 1942, della L.n. 1051 del 1957, art. 24 e del D.M. n. 127 del 2004.

8.1. Deducono, sempre in relazione alla sentenza di primo grado, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 l’omessa motivazione su un fatto decisivo per il giudizio e si dolgono del fatto che, nella liquidazione, la Corte aveva indicato una somma complessiva,senza distinguere fra le voci “diritti ed “onorari” e si era, in tal modo, immotivatamente discostata dalla nota spese depositata.

9. I quattro motivi devono essere congiuntamente esaminati in quanto sono intrinsecamente connessi.

9.1. Essi sono tutti inammissibili.

Infatti, premesso che per la rideterminazione delle spese di lite relativa alla sentenza di primo grado doveva applicarsi il D.M. n. 127 del 2004, ratione temporis vigente, visto che l’attività defensionale svolta per quel giudizio era stata definita prima che entrasse in vigore il D.M. n. 140 del 2012 ad esso successivo (cfr. al riguardo Cass. SUU 17406/2012), si osserva che la diversa impostazione della regolazione delle spese di lite, vigente prima della decretazione che ha introdotto la liquidazione “per fasi” in relazione a scaglioni di valore, prevedeva la ripartizione in spese, diritti ed onorari la cui quantificazione doveva essere determinata all’interno del range di valore fra un minimo ed un massimo con riferimento, per le controversie in materia risarcitoria, al valore della somma attribuita, piuttosto che a quella domandata (cfr. D.M. n. 127 del 2004, art. 6).

9.2. Nel caso in esame, la Corte territoriale, senza richiamare la normativa alla quale si è riferita, ha provveduto a riquantificare l’importo dovuto determinandolo in misura proporzionale al “decisum” che, rispetto alla sentenza di primo grado, era stato ridotto del 30%, corrispondente alla quota di responsabilità del sinistro ascrivibile alla stessa vittima; ed ha proporzionalmente decurtato la misura della condanna.

9.3. Deve precisarsi, al riguardo, che anche nella sentenza di primo grado che aveva applicato il D.M. n. 127 del 2004 era stato posto a carico delle parti soccombenti il pagamento delle “spese generiche” complessivamente determinate (cfr. pag. 2 sentenza impugnata nella parte in cui trascrive il dispositivo della pronuncia di primo grado): l’utilizzo dell’espressione “spese generali” alla quale il ricorrente si riferisce come indicatore della violazione (cfr. pag. 36 del ricorso) non può ritenersi decisiva per verificare l’errore in cui la Corte territoriale sarebbe incorsa, errore che, oggetto dei due motivi di ricorso in esame sia pur sotto diversi profili, postulava che il ricorrente indicasse nel rispetto del principio di autosufficienza, in relazione al diverso valore oggetto di condanna, l’esatto scaglione di riferimento sia per gli onorari che per i diritti.

9.4. Il Collegio rileva che, invece, la critica relativa agli onorari – oggetto del settimo motivo del ricorso principale e del quarto di quello successivo riproduce valori tabellari non corrispondenti allo scaglione (da Euro 516.456,01 ad Euro 1.549.370,00) indicato, ma di gran lunga superiori (cfr. doc. 36 allegato al ricorso che riporta il D.M. n. 127 del 2004); e che la censura riferita ai diritti oggetto dell’ottavo motivo di ricorso principale e del quinto motivo di ricorso successivo – riproduce i valori tabellari riferiti allo scaglione superiore che era stato indicato per il precedente grado di giudizio (da Euro 1.549.370,01 a 2.582.300,00), non tenendo conto della minor somma attribuita.

9.5. In buona sostanza, i motivi proposti si limitano ad enunciare la violazione dei minimi tariffari, senza dare conto dell’attività svolta che non sarebbe stata considerata e del nuovo esatto e complessivo valore di riferimento; e senza valutare che, al fine di consentire a questa Corte di apprezzare l’eventuale errore del giudice di merito, la parte, la quale intenda impugnare per cassazione la liquidazione delle spese, dei diritti di procuratore e degli onorari di avvocato, per pretesa violazione dei minimi tariffari, ha l’onere di specificare analiticamente le voci e gli importi considerati in ordine ai quali il giudice di merito sarebbe incorso in errore, con la conseguenza che deve ritenersi inammissibile il ricorso che contenga la semplice indicazione di prestazioni che sarebbero state liquidate in eccesso rispetto alla tariffa massima (cfr. Cass. 7654/2013; Cass. 30716/2017; Cass. 2532/2015) o la mera riproduzione di una nota spese non più attuale, in ragione del diverso scaglione di riferimento imposto dalla riforma della sentenza.

10. Con il nono motivo del ricorso principale ed il sesto del ricorso successivo i ricorrenti, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deducono la violazione e falsa applicazione del D.M. n. 55 del 2014: lamentano che, ove si ritenesse che la Corte aveva applicato il predetto decreto ministeriale, la liquidazione era erronea in quanto era stata determinata in modo unitario e cioè senza alcuna specificazione delle fasi liquidate.

Il motivo deve ritenersi assorbito dalle argomentazioni sviluppate in relazione a quelli precedenti.

11. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

12. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte, rigetta i ricorsi.

Condanna i ricorrenti alle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 7500,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi in favore di ciascun controricorrente, oltre ad accessori e rimborso spese generali nella misura di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della terza sezione civile, il 9 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2019

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