Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25771 del 22/09/2021

Cassazione civile sez. I, 22/09/2021, (ud. 27/05/2021, dep. 22/09/2021), n.25771

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7391/2019 proposto da:

H.Y., elettivamente domiciliato in Roma Via Misurina 69 presso

lo studio dell’avvocato Valenzi Fabrizio che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositata il 15/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/05/2021 da CAPRIOLI MAURA.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che:

Il Tribunale di Milano con decreto nr 699/2019 rigettava la domanda di protezione internazionale, sussidiaria ed umanitaria proposta da H.Y., cittadina cinese, nata a (OMISSIS), ritenendo non credibile il racconto laddove aveva narrato di essere sempre riuscita a sfuggire ai numerosi controlli effettuati dalla polizia.

In particolare il primo Giudice aveva considerato non attendibile il narrato con riguardo all’episodio della fuga da un preteso arresto che la richiedente, sarebbe riuscita ad evitare, nonostante fosse in sella ad una biciletta e la polizia la inseguisse, per un lasso di tempo apprezzabile, a bordo di un auto. Evidenziava ulteriori incongruenze del racconto con riguardo alla condizione dei cittadini che professano la fede cristiana mettendo in luce che la persecuzione, diversamente da quanto riferito dalla ricorrente, non riguarda tutti i culti indistintamente ma solo alcuni culti domestici.

Il tribunale rilevava che una tale mancata conoscenza dell’effettivo trattamento dei cristiani non era conciliabile con l’effettiva pratica di culto riferita in sede amministrativa.

Il primo Giudice non reputava necessario procedere alla rinnovazione del colloquio della ricorrente, essendo stati raccolti tutti gli elementi necessari ai fini della decisione.

Neppure riteneva sussistenti alcuna delle ipotesi previste dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14.

Nella fattispecie, la ricorrente non allegava fatti che facessero fondatamente ritenere che, in caso di rimpatrio, potesse andare incontro all’applicazione di sanzioni sproporzionate o disumane da parte dell’autorità statale, né che rischiasse trattamenti inumani o degradanti da parte di un’agente non statale; e neppure che la situazione generale del paese, secondo le informazioni aggiornate, presentasse una generalizzata situazione di violenza indiscriminata. Infine, non ricorrevano i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria. Essendo escluso il rischio di essere immessa, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale idoneo a costituire un’effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali: laddove, per quanto riguarda la vita in Italia, la ricorrente non svolgeva alcuna allegazione in proposito, sicché non vi erano elementi per affermare che la stessa avesse una situazione di effettivo radicamento nel nostro paese.

La ricorrente risultava sprovvista di un regolare rapporto di lavoro che le assicurasse una sia pur minima autonomia di vita, di autonomia abitativa e di significative relazioni personali ed inoltre non aveva conseguito un apprezzabile conoscenza della lingua italiana.

Avverso tale decreto H.Y. propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi cui non resiste il Ministero degli Interni.

Con il primo motivo si denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si lamenta che il Tribunale non avrebbe considerato la dichiarazione rilasciata dalla (OMISSIS) attestante l’appartenenza della richiedente protezione a tale Chiesa sin dal marzo del 2009, che risulta oggetto di diffusa persecuzione in Cina.

Con un secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Si critica in particolare la valutazione espressa dal Tribunale in merito alla non credibilità del racconto sarebbe apparente.

Si sostiene che il giudicante si sarebbe limitato ad una esposizione incompleta e travisata del fatto che si rifletterebbe in una conseguente conclusione semplicistica e priva di qualsiasi giustificazione logica.

Con un terzo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3 e 5 della Direttiva 2004/83/CE, art. 4, comma 3 e 5 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si censura la valutazione espressa in punto credibilità del richiedente sarebbe incorso nella violazione delle prescrizione normative indicate in rubrica che gli impone di prendere in considerazione tutte le dichiarazione del ricorrente al fine di verificare se lo stesso abbia compiuto ogni ragione sforzo per circostanziare la domanda.

Con il quarto motivo si denuncia la violazione del D.L. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 11, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere il Tribunale dato corso all’audizione nonostante l’assenza di videoregistrazione con assenza di mezzi audiovisivi del colloquio svoltosi avanti alla Commissione, l’espressa richiesta della ricorrente di essere ascoltata al fine di chiarire aspetti ritenuti ” non pienamente credibili” dalla Commissione ed il rigetto della domanda da parte di quest’ultima per una non mera piena credibilità.

Per priorità logico giuridica va esaminato l’ultimo profilo di censura che deve ritenersi infondato.

Al riguardo giova ricordare che il giudice di merito, chiamato a decidere del ricorso avverso la decisione adottata dalla Commissione territoriale,ove non sia disponibile la videoregistrazione con mezzi audiovisivi, è tenuto a fissare l’udienza di comparizione delle parti a pena di nullità del suo provvedimento decisorio, salvo il caso in cui il richiedente abbia dichiarato di non volersi avvalere del supporto contenente la registrazione del colloquio (Cass. n. 618 del 2020; Cass. n. 17076 del 2019; Cass. n. 32029 del 2018; Cass. n. 17717 del 2018; Cass. n. 27182 del 2018).

L’obbligo non riguarda tuttavia anche il rinnovo dell’audizione, che grava esclusivamente sull’autorità amministrativa incaricata di procedere all’esame del richiedente: ne consegue che il giudice può decidere in base ai soli elementi contenuti nel fascicolo, ivi compreso il verbale o la trascrizione del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione (Cass. n. 2817 del 2019, v. anche Corte di giustizia UE, sent. 26 luglio 2017 in causa C-348/16).

Non sussiste, infatti, alcun automatismo tra la mancanza di videoregistrazione e la rinnovazione dell’ascolto del richiedente (Cass. n. 21584 del 2020, n. 17717 del 2018), che costituisce quindi una scelta discrezionale, che compete al giudice di merito operare in base alle concrete circostanze di causa e alla necessità di vagliarle anche alla luce di quanto dichiarato di fronte alla Commissione; e ciò, a meno che: a) non vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda; b) il giudice ritenga necessaria la acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) quest’ultimo non ne faccia istanza, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire i predetti chiarimenti, e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile.

Poste tali premesse la censura non supera il vaglio di ammissibilità non essendo sviluppati motivi specifici che tengano conto del contenuto del provvedimento impugnato il quale ha messo in luce come la Commissione avesse pienamente indagato sulle ragioni che avevano spinto la richiedente a lasciare il proprio Paese e che la difesa non aveva apportato documenti nuovi o segnalato specifiche carenze.

Non risulta indicata alcuna ragione che, invece, imponesse la audizione personale che diviene necessaria solo a fronte dell’allegazione di fatti nuovi (Sez. 1, Sentenza n. 21584 del 07/10/2020 Rv. 658982-01).

Per il resto, il ricorso presenta argomentazioni del tutto generiche prive di qualsiasi riferimento alla vicenda concreta, svolgendo argomenti meramente apparenti riferibili a qualsiasi procedimento dello stesso tipo. Non vi, quindi, alcun argomento da valutare.

Il primo motivo è invece fondato.

Alla stregua della giurisprudenza di questa Corte, il mancato esame di un documento può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui determini l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, segnatamente, quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento. Ne consegue che la denuncia in sede di legittimità deve contenere, a pena di inammissibilità, l’indicazione delle ragioni per le quali il documento trascurato avrebbe senza dubbio dato luogo a una decisione diversa (Cass., n. 16812/18; n. 19150/16).

Nel caso concreto, il Tribunale ha ritenuto non credibile il racconto della richiedente con riferimento alla religione da questa professata senza dar conto del documento citato nel ricorso (di cui tace), allegato al ricorso introduttivo del procedimento (doc 50 primo grado; doc 2 allegato al ricorso per cassazione) che comproverebbe l’appartenenza della ricorrente al culto della (OMISSIS), oggetto di continua persecuzione in Cina.

L’osservazione contenuta nel decreto impugnato, secondo cui il racconto reso dalla richiedente non sarebbe credibile con riferimento alla religione dalla stessa professata, non esclude che l’adesione alla confessione religiosa possa aver avuto luogo successivamente all’ingresso in Italia sicché il Tribunale avrebbe dovuto procedere all’esame del certificato ril asciato in data 17.2.2018 dalla (OMISSIS) valutando i possibili rischi di persecuzione cui può andare incontro la ricorrente in caso di rimpatrio, anche alla luce delle informazioni richiamate nel decreto impugnato, dal quale emergevano le restrizioni imposte dalle autorità cinesi all’esercizio della libertà religiosa.

Il possibile assoggettamento della ricorrente a tali restrizioni, in caso di rientro in Cina, fa apparire irrilevante la circostanza che la relativa causa sia insorta soltanto in epoca successiva all’abbandono del Paese, trovando applicazione il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 4, il quale prevede che “la domanda di protezione internazionale può essere motivata da avvenimenti verificatisi dopo la partenza del richiedente dal suo Paese di origine ovvero da attività svolte dal richiedente dopo la sua partenza dal Paese d’origine”, individuando come elemento favorevole di valutazione l’accertamento che le attività addotte costituiscono l’espressione e la continuazione di convinzioni od orientamenti già manifestati nel Paese d’origine, ma non escludendo, in linea di principio, la possibilità di accordare la protezione anche in assenza di tale presupposto. In altri termini, come già precisato da questa Corte, il pericolo di danno grave nel caso di rimpatrio deve essere considerato in linea meramente oggettiva, a prescindere dalle ragioni che hanno indotto il richiedente ad emigrare e comunque con riferimento all’attualità, risultando irrilevante la circostanza che la situazione pericolosa possa essere sorta in un momento successivo alla partenza del richiedente dal paese di origine, ed ininfluente anche il motivo che aveva originato la partenza (cfr. Cass., Sez. I, 7/02/2020, n. 2954; Cass., Sez. VI, 17/04/2018, n. 9427).

L’esame di tale documento pertanto assume rilievo ai fini della verifica dell’appartenenza della richiedente alla Chiesa di Dio e della conseguente esposizione della ricorrente in caso di rimpatrio.

Risultano dunque integrate le condizioni in base alle quali questa Corte ha evidenziato che il mancato esame di un documento può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui determini l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, segnatamente, quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di “fondamento”, essendo state nel caso di specie puntualmente indicate “le ragioni per le quali il documento trascurato avrebbe senza dubbio dato luogo a una decisione diversa” (Cass. 2018 nr 16812; Sez. 5, n. 25756/14; Sez. 4, n. 4980/14; Sez. 1, n. 5377/11; Sez. 3, n. 11457/07).

Alla stregua delle considerazioni sopra esposte il primo motivo va accolto, rigettato il quarto e i rimanenti restano assorbiti;

Il decreto va pertanto cassato e rinviato al Tribunale di Milano, in diversa composizione, per un nuovo esame.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo; rigetta il quarto assorbiti i restanti; cassa il decreto impugnato e rinvia al Tribunale di Milano in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 27 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2021

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