Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25770 del 22/09/2021

Cassazione civile sez. I, 22/09/2021, (ud. 27/05/2021, dep. 22/09/2021), n.25770

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2789/2019 proposto da:

A.T., elettivamente domiciliato in Roma Piazza Mazzini N 8

presso lo studio dell’avvocato Fachile Salvatore che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato Verrastro Francesco;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di POTENZA, depositata il

06/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/05/2021 da CAPRIOLI MAURA.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Il Tribunale di Potenza con il decreto qui impugnato, ha rigettato la domanda di protezione internazionale e umanitaria avanzata da T.A., cittadino della Nigeria.

Il primo Giudice ha osservato, in sintesi, che:

1) il ricorrente non era credibile per una serie di contraddizioni in cui lo stesso era incorso nella narrazione dei fatti evidenziando che le ragioni dell’espatrio fosse legate a motivi prettamente economici.

2) Escludeva che fosse fondata, la domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14: con riguardo alle ipotesi di cui del citato art. 14, lett. a) e b), il racconto del richiedente non è credibile e dunque deve escludersi che l’espatrio sia riferibile a fondati timori di correre un pericolo per la vita o per l’incolumità fisica; con riguardo alla lett. c) dello stesso articolo, non si versa in una situazione di conflitto armato e generalizzato che metta a rischio indiscriminatamente la sicurezza dei cittadini; secondo la relazione nazionale per il diritto di asilo la zona di provenienza del richiedente (Edo State) non è interessata da una situazione generalizzata e indiscriminata di violenza.

3) Non è riconoscibile la protezione umanitaria di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6: mancano le allegazioni circa i fattori di particolare vulnerabilità che potrebbero in caso di rimpatrio esporlo a rischi di apprezzabile entità in caso di rientro in Nigeria.

La sentenza è stata impugnata da. T.A., cittadino con ricorso per cassazione affidato a tre motivi cui non replica il Ministero dell’Interno.

Con il primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e del principio dell’onere della prova attenuato ai fini della credibilità del racconto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si lamenta in particolare che il Tribunale si sarebbe discostato dai criteri previsti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, enfatizzando strumentale e non corretto alcune imprecisioni riguardanti fatti secondari senza alcun riguardo alla condizione del richiedente e senza escludere la sostanziale verità del fatto raccontato.

Con un secondo motivo si duole della violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, in relazione al dovere di cooperazione istruttoria, alla non credibilità del ricorrente,alla violazione e falsa applicazione e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, in riferimento alla conduzione dell’audizione e alla mancata richiesta di chiarimenti sugli aspetti di incoerenza rilevati ritenuti decisivi ai fini della valutazione di non credibilità delle dichiarazioni ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si sostiene che il Tribunale sarebbe incorso nella violazione delle norme indicate in rubrica non avendo assolto al proprio dovere di cooperazione istruttoria chiedendo spiegazioni in merito a quei profili che erano stati ritenuti contraddittori non emersi durante la fase amministrativa.

Con il terzo motivo si critica la decisione per motivazione apparente ex art. 132, comma 2, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in ordine al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e del D.P.R. n. 394 del 1999, art. 11 e 29, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 bis.

Si lamenta in particolare che il Tribunale avrebbe rigettato la domanda di protezione umanitaria per la mancata allegazione di una particolare situazione di vulnerabilità senza entrare nel merito della posizione e senza considerare le allegazione in fatto in modo completo.

Il primi due motivi, che vanno trattati congiuntamente per l’intima connessione, devono ritenersi inammissibili.

Giova ricordare che la valutazione di affidabilità del richiedente è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione che deve essere svolta alla luce dei criteri specifici, indicati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, oltre che di quelli generali di ordine presuntivo, idonei ad illuminare circa la veridicità delle dichiarazioni rese; sicché, il giudice è tenuto a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna, ma anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda, i cui esiti in termini di inattendibilità costituiscono apprezzamento di fatto insindacabile in sede di legittimità, se non nei limiti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (cfr. Cass. n. 11925 del 19.6.2020, cfr. pure Cass. n. 3340 del 2019; v. pure Cass. n. 26921 del 2017).

Nel caso in esame, il Tribunale ha logicamente argomentato il giudizio di non credibilità, evidenziando in modo puntuale le ragioni (cfr. punto 1 e 2 di pag. 3 del decreto) per le quali ha ritenuto inattendibile il racconto del richiedente circa i motivi dell’espatrio.

Il ricorso per cassazione ora all’esame si limita a proporre inammissibilmente una diversa valutazione della credibilità sostituendo un diverso apprezzamento di fatto a quello compiuto dal giudice di merito.

L’accertata non credibilità nel senso appena precisato rende inconferente la doglianza sul mancato esercizio di poteri ufficiosi circa l’esposizione a rischio del richiedente in virtù della sua condizione soggettiva, in relazione alla fattispecie del rifugio e a quelle previste dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e lett. b) (tra le tante Cass. n. 3340/2019 e Cass. n. 27336/2018).

Il terzo motivo è infondato.

Giova ricordare che alla luce delle modifiche di cui al D.L. n. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134 ed alla relativa interpretazione sulla scorta dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, deve ritenersi introdotta una riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente “, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. U, Sentenza 7 aprile 2014, n. 8053).

Nella specie la decisione sotto il profilo censurato soddisfa il minimo costituzionale avendo il Tribunale giustificato il diniego non avendo riscontrato situazioni di particolare vulnerabilità anche alla luce delle ragioni che avevano indotto il richiedente a lasciare il Paese, ragioni che erano correlate alla ricerca di migliori condizioni di vita.

Alla stregua delle considerazioni sopra esposte va dichiarata l’inammissibilità del ricorso.

Nessuna determinazione in punto spese stante il mancato svolgimento di attività difensiva da parte del Ministero.

PQM

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso; nulla per le spese;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 27 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2021

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