Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25769 del 14/12/2016

Cassazione civile, sez. VI, 14/12/2016, (ud. 10/05/2016, dep.14/12/2016),  n. 25769

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24600-2014 proposto da:

MOSE SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA VISCOVIO 21, presso lo

studio dell’avvocato TOMMASO MANFEROCE, rappresentata e difesa dagli

avvocati GIANFRANCO CROVACK, EMILIO DE POL giusta procura speciale a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

B.I., titolare dell’omonima ditta, elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA ARCHIMEDE 122, presso lo studio dell’avvocato FABIO

MICALI, che lo rappresenta e difende giusta procura speciale in

calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1974/2013 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 05/09/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/05/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONINO SCALISI.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La società Mosè srl subappaltava all’impresa individuale B.I. la realizzazione dell’impianto idrotermico sanitario e di gas in un edificio di undici appartamenti ad essa appaltato da una società cooperativa. Il prezzo complessivo corrispondente all’offerta presentata dal sub appaltatore era determinato in Euro 61.700,00 con aggiunta delle varianti concordate con l’appaltatore, alle quali era applicato lo sconto del 7%, le scadenze dei pagamenti venivano determinate con riferimento alle diverse fasi dei lavori. Veniva pattuita una penale di Euro 400 per ogni giorno di ritardo.

La società Mosè aveva pagato tutte le prestazioni eseguite ma si rifiutava di saldare la fattura n. (OMISSIS) dell’importo totale di Euro 8.008,00 per lavori richiesti alla B. direttamente dia proprietari degli appartamenti ed asseritamente autorizzati dalla società Mosè.

Stante il rifiuto della società Mosè, l’impresa B. chiedeva ed otteneva decreto ingiuntivo relativo alla somma appena indicata di Euro 8.008,00.

Tale decreto ingiuntivo veniva opposto dalla società Mosè sostenendo di non aver mai autorizzato opere extracontratto e che le prestazioni concordate erano state tutte saldate. Chiedeva la revoca del decreto ingiuntivo ed, in via riconvenzionale, il risarcimento del danno per ritardo nell’ultimazione dell’opera e per vizi quantificati in Euro 79.600,00, di cui 71.600 per penale per ritardo ed Euro 8.000,00 per vizi già contestati con lettera raccomandata.

Si costituiva in giudizio B.I. il quale rilevava che i lavori extracontrattuali erano stati già previsti nel contratto di appalto e per essi erano state emesse fatture che la società Mosè aveva già accetatto e pagato mentre la fattura per la quale si è chiesto il decreto ingiuntivo riguarda lavori contrattualmente previsti. Quanto alla penale eccepiva la nullità della stessa per indeterminatezza dato che il contratto prevedeva quale termine per l’ultimazione dei lavori previsto il gennaio 2002 e, comunque, inefficacia perchè clausola vessatoria non specificamente sottoscritta; negava, comunque ritardi a sè imputabili e in subordine chiedeva la riduzione della penale in quanto sproporzionata. Rispetto ai pretesi vizi eccepiva la decadenza e/o la prescrizione e comunque negava l’esistenza di vizi. Chiedeva conclusivamente il rigetto dell’opposizione.

Il Tribunale di Treviso con sentenza n. 626 del 2008 accoglieva l’opposizione, revocava il decreto ingiuntivo e determinava in Euro 5.846,57 il credito della ditta B.I. a titolo di corrispettivo e in Euro 23.866,67 la penale dalla stessa ditta dovuta alla società Mosè per ritardo, attuava la parziale compensazione tra gli opposti crediti, compensava per un terzo le spese del giudizio e poneva a carico della ditta B. la restante parte.

La Corte di Appello di Venezia, pronunciandosi sull’appello proposto da B.I., proponendo i medesimi argomenti difensivi già svolti nel primo grado” e su appello incidentale proposto dalla società Mosè per la riforma della sentenza impugnata nella parte in cui aveva riconosciuto un credito della ditta B. per i lavori appaltati, con sentenza n. 1974 del 2013 accoglieva l’appello della ditta B., rigettava l’opposizione e confermava il decreto opposto, condannava la società Mosè al pagamento delle spese del doppio grado del giudizio. Secondo la Corte veneziana: a) dalle risultanze di causa, emergeva in maniera sufficientemente chiara che il ritardo nell’esecuzione delle opere non poteva essere imputato sic et simpliciter alla ditta B.; b) la mancata installazione delle caldaie non fu dovuta ad un colposo ritardo del B., ma ad una sua giusta preoccupazione e ad un suo condivisibile scrupolo di non procedere alla posa di macchinari, che andavano adeguatamente protetti e posti in locali sicuri: c) anche per quanto riguarda l’installazione dei contatori, riscontri testimoniali attestavano che essa avvenne non prima del maggio 2003, impedendo, dunque, il compimento a regola d’arte ed il relativo collaudo degli impianti da parte del B. prima di tale data. In definitiva, la complessiva valutazione delle emergenze probatorie evidenziava una situazione del cantiere, un atteggiamento della creditrice e una condotta del B. tali da escludere che il ritardo potesse essere imputato al sub-appaltatore e, per ciò stesso, non sussistevano i presupposti per l’applicazione della penale. A sua volta, alla luce degli elementi ricavabili dalla documentazione prodotta in causa e non contestata non vi era dubbio che i lavori di cui alla fattura n. (OMISSIS) non rientravano fra quelli oggetto del subappalto.

La cassazione di questa sentenza è stata chiesta dalla società Mosè srl per un motivo articolato su tre profili. La ditta B. ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

In via preliminare va rigettata l’eccezione avanzata dalla ditta B. di invalidità della procura alle liti. Secondo la controricorrente la procura alle liti sarebbe stata conferita per la presentazione di un ricorso diverso da quello per cassazione dato che la procura a margine del ricorso sarebbe stata rilasciata in relazione ad un giudizio di impugnazione con ricorso per revocazione. E di più, la procura alla lite sarebbe stata conferita per una sentenza diversa da quella indicata in ricorso dato che la procura si riferisce ad una sentenza sempre della Corte di Venezia ma recante il numero 1974/2014 mentre il ricorso per cassazione è riferito ad una sentenza 1974/2013.

A ben vedere i vizi denunciati integrano gli estremi di errori materiali facilmente emendabili tenuto conto del contenuto dell’atto di ricorso. La procura pur facendo riferimento ad un ricorso di revocazione, contiene, in primis, l’esplicito riferimento al procedimento di cassazione laddove è detto “(…) delego gli avv.ti (…) a rappresentarmi e difendermi in ogni stato del presente procedimento di cassazione, sottoscrivendo il ricorso (…)”. Sicchè, appare del tutto evidente che il riferimento ad un ricorso di revocazione è indicato siccome eventuale. A sua volta, l’errata indicazione dell’anno di emissione della sentenza (2014 anzichè 2013) è palesemente un errore materiale, posto che tutti gli altri dati identificativi della stessa, compreso il numero di emissione, sono identici a quelli che contraddistinguono la sentenza che si è inteso impugnare per cassazione, come è chiaramente indicato nel corpo del ricorso da intendere, comunque, sottoscritto dalla stessa parte.

1.= Con l’unico motivo di ricorso la società Mosè lamenta la violazione per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5. Secondo la ricorrente la Corte distrettuale:

a) avrebbe, erroneamente accolto la tesi della ditta B., secondo la quale il ritardo nella ultimazione e consegna dell’opera da parte della ditta B. era imputabile alla stessa società Mosè perchè avrebbe tenuto conto della prova testimoniale e di alcuni rilievi fotografici, ma non avrebbe tenuto conto dell’emissione delle fatture di acconto dalle quali risulterebbe che i lavori al grezzo interno furono completati nel novembre 2002 e gli allacciamenti esterni sarebbero intervenuti solo a fine aprile 2003 e, cioè, in un tempo superiore a quello in cui si sarebbero dovute compiere tutte le opere termoidrauliche. Nè il ritardo nella consegna dell’opera avrebbe potuto ritenersi imputabile, come avrebbe ritenuto la Corte distrettuale, alla mancata installazione dei contatori perchè l’installazione dei contatori, ed, in particolare, l’allacciamento dei tubi del gas alle relative cassette, costituirebbe l’atto finale, cioè, il momento conclusivo della realizzazione dell’impianto termoidraulico. Per logica, i contatori dovranno e potranno essere installati solo ad impianto ultimato e non certo prima. Anche la giustificazione adottata dal giudice di secondo grado, per individuare una causa di non imputabilità per i ritardi nella consegna dell’opera da parte del B., nella mancanza di alcune porte ai locali di ingresso all’interno dei quali la ditta opponente avrebbe dovuto installare per tempo gli impianti in questione, sarebbe in evidente contrasto con la razionalità logica perchè la mancanza di una o più porte non sarebbe di per sè ragione logica e razionale per giustificare il ritardo nell’esecuzione ed ultimazione di opere termoidrauliche.

b) avrebbe erroneamente ritenuto che i lavori extra contatto sarebbero stati commissionati dalla società Mosè perchè non avrebbe tenuto conto delle richieste avanzate dai proprietari dei singoli appartamenti, al direttore dei lavori per autorizzare gli interventi in variante.

c) avrebbe erroneamente ritenuta dovuta alla ditta B. la somma di Euro 8.008,00 perchè non avrebbe tenuto conto, come, invece, aveva fatto il Tribunale, che l’importo di Euro 2.161,73 di cui alla fattura n. (OMISSIS) della stressa ditta B. era stata già corrisposto.

1.1.= Il motivo è inammissibile, dato che, trattandosi di sentenza soggetta, ratione temporis, al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), introdotto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modifiche, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, nella specie è configurabile il solo vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Tutti i punti contestati nel motivo, invece, sono stati oggetto di esame e valutazione da parte della Corte d’appello, sicchè le censure sono da ritenere inammissibili sulla base dei criteri indicati dalla sentenza 7 aprile 2014, n. 8053, delle Sezioni Unite di questa Corte. Infatti, come appare evidente, e per quanto è stato già evidenziato, la ricorrente con il motivo di ricorso lamenta che: a) “(…) i giudici della Corte di appello abbiano omesso in motivazione qualsiasi riferimento al fatto probatorio costituito dall’emissione delle fatture di acconto della ditta B. (….); b) “(…) la Corte di appello giustifica probatoriamente il ritardo nella consegna dell’opera da parte del sub appaltatore sulla base della circostanza che l’installazione dei contatori, ovvero il presunto ritardo nell’installazione degli stessi si sia poi ripercosso sulla installazione ovvero sul ritardo nella consegna degli impianti termoidraulici da parte del B. (…); c) “la giustificazione addotta dal giudice di secondo grado per individuare una causa di non imputabilità per i ritardi nella consegna dell’opera da parte del B. nella eventuale mancanza di alcune porte ai locali, è in evidente contrasto con la razionalità logica del fatto (…)”; d) “la sentenza proprio in ordine all’esecuzione dei lavori extracontratto dei quali si da immotivatamente per scontato la loro esecuzione e quantificazione da parte della ditta B., riporta un sillogismo tra proprietari, direttore dei lavori e società Mosè per addebitare a quest’ultima la debenza degli stessi, escludendo con ciò la ditta B. che, pur costituiva l’anello finale della catena; e) la motivazione con la quale ha ritenuto provato che la ditta B. avesse diritto all’importo riportato nel decreto ingiuntivo “seppure formalmente dedotta appare abnorme”.

E’ di tutta evidenza, dunque, che la ricorrente denuncia la contraddittorietà e/o la illogicità della motivazione con la quale la Corte distrettuale ha ritenuto di confermare il decreto ingiuntivo oggetto del giudizio e non già come la legge prescrive, un vizio di omesso esame di un fatto decisivo che era stato oggetto di discussione tra le parti.

In definitiva, il ricorso va rigettato e la ricorrente, in ragione del principio di soccombenza ex art. 91 cod. proc. civ. condannata a rimborsare alla parte controricorrente le spese del presente giudizio, che liquida con il dispositivo.

Il Collegio da atto che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

PQM

La Corte rigetta il ricorso, condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione a favore della parte controricorrente che liquida in Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge; da atto che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile, il 10 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 14 dicembre 2016

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