Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25768 del 14/10/2019

Cassazione civile sez. III, 14/10/2019, (ud. 22/03/2019, dep. 14/10/2019), n.25768

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26008-2017 proposto da:

FERTAGRI SRL in persona del legale rappresentante pro tempore

P.S., P.S., elettivamente domiciliati in ROMA,

PIAZZALE GREGORIO VII 16, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI

MARCHESE, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

BANCO BPM SPA in persona del procuratore speciale Dott.

S.A.G., elettivamente domiciliato in ROMA, V.DEGLI SCIPIONI 157,

presso lo studio dell’avvocato ENRICO DE CRESCENZO, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3523/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 28/07/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/03/2019 dal Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO.

Fatto

RILEVATO

che:

La società Fertagri Srl, in data 31 ottobre 2006, sottoscriveva con Banca Italease S.p.A. (successivamente Banca BPM S.p.A.) un contratto di locazione finanziaria lease back della durata di 180 mesi, relativo alla concessione in uso di un capannone, con annessa area esterna di pertinenza, in provincia di Crotone, per il prezzo di Euro 1.800.000. Il contratto prevedeva un canone anticipato di Euro 360.000, oltre Iva e il versamento mensile dell’importo di Euro 10.923. A seguito del mancato pagamento dei canoni di locazione dovuti, la banca, con raccomandata del 26 novembre 2011, risolveva il contratto ai sensi dell’art. 14 delle condizioni generali di locazione, che conteneva una clausola risolutiva espressa, così trattenendo, a titolo di penale, le somme già versate dalla società, la quale, metteva a disposizione il bene per la restituzione. In data 6 marzo 2012 la società SGC S.p.A., quale procuratore speciale di Banca Italease S.p.A. notificava a Fertagri Srl ed ai suoi fideiussori un decreto ingiuntivo in data 5 dicembre 2011, relativo al pagamento dei canoni scaduti e insoluti con decorrenza dal 1 giugno 2009;

avverso tale decreto proponevano opposizione la società Fertagri Srl ed i fideiussori P.S. ed A. e chiedendo, preliminarmente, dichiararsi il difetto di legittimazione attiva dell’opposta per nullità della procura e, nel merito, accertare l’insussistenza del debito, attesa la violazione del divieto di patto commissorio e per l’applicazione dell’art. 1526 c.c.. Si costituiva l’istituto di credito insistendo per il rigetto della opposizione;

il Tribunale di Milano, con sentenza n. 14533 del 2013 rigettava le domande. La banca comunicava successivamente l’imminente cessione del capannone in favore della società Ormin Srl, che si perfezionava nel mese di dicembre 2013;

avverso la decisione del Tribunale proponevano appello il debitore principale e P.S. ed A. chiedendo la nullità della sentenza per inosservanza del requisito di cui all’art. 132 c.p.c., n. 4, l’accertamento della carenza di legittimazione passiva in capo a SGC e, nel merito, la nullità del contratto di leasing per violazione dell’art. 1341 c.c., comma 2 o, in via gradata, dell’art. 2744 c.c. o in via ulteriormente subordinata l’applicabilità dell’art. 1526 c.c., con condanna dell’appellata alla restituzione dei canoni incassati in corso di contratto. Si costituiva il banco BPM rilevando l’inammissibilità e, comunque, l’infondatezza del gravame;

la Corte d’Appello di Milano, con sentenza del 28 luglio 2017, rigettava l’impugnazione;

avverso tale sentenza Fertagri Srl e P.S. ed A. propongono ricorso per cassazione affidandosi a tre motivi. Resiste con controricorso il Banco BPM S.p.A. e deposita memoria ex art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si lamenta la violazione degli artt. 75,77 e 83 c.p.c. e artt. 1387,2203 e 2380 bis c.c. riguardo alla legittimazione processuale e sostanziale di SGC per il credito azionato nell’interesse di Banca Italease S.p.A.. Attraverso la delega rilasciata dalla banca Italease S.p.A. in favore di SGC in data 7 luglio 2010 sarebbero state violate le norme in tema di rappresentanza processuale delle persone giuridiche, che è attribuita agli amministratori e cioè a coloro che, per legge o statuto, hanno il potere di promuovere un’azione giudiziaria nell’interesse della società. Analogo potere, ma limitato a singoli affari, può essere attribuito anche ad altri soggetti comunque legati alla società. Ricorrerebbe, nel caso di specie, una dissociazione tra la titolarità del potere gestorio dell’organo amministrativo e il suo effettivo esercizio, demandato a SGC. Controparte avrebbe potuto superare il divieto attraverso una cessione del credito. Sotto altro profilo la procura notarile del 7 luglio 2010 sarebbe nulla perchè estremamente generica. La successiva procura del 5 agosto 2010 conferita dal procuratore speciale della società rappresentata, Dott. T., al difensore incaricato sarebbe così ampia da essere incompatibile con le caratteristiche di una procura speciale. Sotto altro profilo il potere rappresentativo processuale potrebbe essere conferito solo in favore di chi risulti investito anche del potere rappresentativo di natura sostanziale;

il motivo è inammissibile perchè dedotto in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, sia con riferimento alla procura notarile del 7 luglio 2010 rilasciata da banca Italease S.p.A. in favore della società SGC;

quando il ricorso si fonda su documenti, il ricorrente ha l’onere di “indicarli in modo specifico” nel ricorso, a pena di inammissibilità (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6).

“Indicarli in modo specifico” vuol dire, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte:

(a) trascriverne il contenuto, oppure riassumerlo in modo esaustivo;

(b) indicare in quale fase processuale siano stati prodotti;

(c) indicare a quale fascicolo siano allegati, e con quale indicizzazione (in tal senso, ex multis, Sez. 6-3, Sentenza n. 19048 del 28/09/2016; Sez. 5, Sentenza n. 14784 del 15/07/2015; Sez. U, Sentenza n. 16887 del 05/07/2013; Sez. L, Sentenza n. 2966 del 07/02/2011). Di questi tre oneri, il ricorrente non ne ha assolto nessuno;

in ogni caso, è infondata la tesi secondo cui la società legittimata non potrebbe operare una delega in favore di altro soggetto;

il motivo, sotto tale profilo, non si confronta con la decisione impugnata limitandosi a ribadire le medesime deduzioni contenute nell’atto di appello rispetto alle quali il giudice di merito ha ritenuto infondata la tesi della “dedotta dissociazione permanente tra la titolarità del potere gestorio dell’organo amministrativo e il suo effettivo esercizio che scaturirebbe dalle procure contestate;

la Corte d’Appello ha confermato la decisione del Tribunale rilevando che dalla documentazione emergeva che Italease S.p.A. aveva rilasciato a SGC una procura che contemplava i poteri di rappresentanza processuale e sostanziale conferendo a SGC il potere di svolgere le stesse attività di recupero crediti di cui era titolare la mandante e conferiva tale potere ai rappresentanti di SGC muniti di ulteriore procura rilasciata da SGC. Questa seconda procura era conferita al soggetto che aveva nominato i difensori. Il primo rapporto riguardava la rappresentanza sostanziale che può essere conferita da una società ad altra società;

con il secondo motivo si lamenta la violazione agli artt. 1343,1344,1818 e 2744 c.c. e art. 115 c.p.c.. In particolare, il contratto di leasing sarebbe nullo per aggiramento del divieto del patto commissorio rilevando che nonostante l’astratta validità di siffatto contratto, nello specifico parte ricorrente sarebbe stata costretta dalle difficoltà finanziarie e dalla posizione di dominio esercitata nei suoi confronti dalla banca, ad alienare il capannone industriale per recuperare liquidità. Ciò emergerebbe dal contenuto del verbale del consiglio di amministrazione del 25 ottobre 2006 e nel successivo contratto di affitto di ramo di azienda. Il contratto presenterebbe elementi patologici sintomatici, rappresentati dalla situazione di credito e debito tra la finanziaria concedente e l’impresa venditrice utilizzatrice, dalle difficoltà economiche della venditrice ed dalla sproporzione tra il valore del bene trasferito e il corrispettivo versato dall’acquirente (Euro 1.800.000 pagato dalla banca, a fronte di un successivo prezzo di Euro 440.000 versato dal terzo acquirente Srl Ormin). La sussistenza in concreto di tali elementi non sarebbe stata sufficientemente ponderata dall’organo giudicante nonostante la disponibilità delle prove;

il motivo è inammissibile poichè si traduce nella censura alla congruità della motivazione e nella richiesta di una rilettura delle risultanze istruttorie al fine di verificare, in concreto, la sussistenza degli elementi ritenuti dalla ricorrente sintomatici della frode alla legge. Si tratta di valutazioni relative al materiale probatorio che, da un lato sono state già effettuate dai giudici di merito e, dall’altro, sono del tutto inibite in questa sede.

La Corte territoriale ha infatti osservato:

quanto all’art. 2744 c.c. che l’esame del verbale del consiglio di amministrazione della società opponente del 25 ottobre 2006 non farebbe emergere una coazione nella conclusione del contratto da parte della società in quanto costretta dalle difficoltà finanziarie e piegata alla posizione di dominio della banca. Nello stesso modo le clausole contrattuali non evidenziano alcuna pattuizione riconducibile all’art. 2744 c.c.;

peraltro, la diversa valutazione prospettata da parte ricorrente riferita al contenuto del verbale del consiglio di amministrazione si traduce in una censura sull’interpretazione di tale documento che non è prospettata con riferimento alla violazione dei criteri di ermeneutica e, pertanto, anche sotto tale profilo il motivo è inammissibile;

infine, del secondo documento individuato dalla ricorrente (contratto di affitto di ramo di azienda del 22 dicembre 2010) la Corte d’Appello non si occupa e parte ricorrente non individua la fase processuale in cui sarebbe stato prodotto in giudizio, la sede all’interno del fascicolo di legittimità e la circostanza di avere sottoposto ai giudici di merito tale documento;

da ultimo, l’argomentazione che fa leva sulla sproporzione tra la somma versata per il bene e quella della successiva vendita, è priva di pregio perchè non considera che la banca ha versato il consistente importo di 1,8 milioni di Euro per poi rivendere il bene ad Euro 440.000. Pertanto, la sproporzione gioca a svantaggio della banca e non viceversa;

con il terzo motivo si deduce la violazione agli artt. 1322 e 1526 c.c. e art. 115 c.p.c. con riferimento alle norme sulla risoluzione contrattuale. La Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto inapplicabile l’art. 1526 c.c. in quanto parte appellante non avrebbe provveduto alla restituzione del bene. Tale impostazione non avrebbe valutato adeguatamente il contenuto della raccomandata del 12 gennaio 2012 con la quale la società Fertagri non si era opposta alla restituzione dell’immobile, rimanendo in attesa di conoscere le modalità per la consegna. Sotto altro profilo, parte ricorrente aveva prospettato l’ipotesi di compensazione al fine di imputare il prezzo di vendita finale dell’immobile (Euro 440.000) al credito vantato dalla banca sulla base del decreto ingiuntivo opposto (Euro 317.660). In ogni caso, la banca non avrebbe offerto in restituzione il bene immobile alla Fertagri per il prezzo di Euro 1.800.000, oltre al risarcimento dei danni, ma ha preferito chiedere la risoluzione anticipata del contratto, trattenere il canone iniziale da imputare al corrispettivo dell’acquisto, oltre a quelli successivi e la somma ricevuta titolo di prezzo dall’acquirente Ormin, con conseguente evidente squilibrio contrattuale;

la censura è infondata. Costituisce principio generale cui questa Corte non intende derogare quello per cui al leasing traslativo si applica la disciplina della vendita con riserva della proprietà, sicchè, in caso di risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore, quest’ultimo ha diritto alla restituzione delle rate riscosse solo dopo la restituzione della cosa, mentre il concedente ha diritto, oltre al risarcimento del danno, a un equo compenso per l’uso dei beni oggetto del contratto (Cass., 20/09/2017, n. 21895). Ciò posto, deve d’altra parte rilevarsi che la giurisprudenza, in applicazione del disposto di cui all’art. 1526 c.c., comma 2, ha osservato come, nel caso, le parti possano convenire l’irripetibilità dei canoni versati al concedente in esito alla risoluzione del contratto, con patto avente natura di clausola penale che ne preclude, nel giudizio successivamente instaurato, la rilevabilità d’ufficio e la deducibilità dopo il decorso dei termini di cui all’art. 183 c.p.c., trattandosi di eccezione (e non necessariamente domanda) in senso stretto (Cass., 12/09/2014, n. 19272). Nella fattispecie in esame si versa in ipotesi di leasing traslativo. Le parti hanno regolato gli effetti della risoluzione anticipata dell’accordo prevedendo la detrazione, dalle somme dovute dall’utilizzatore, dell’importo ricavato dalla futura vendita del bene restituito;

sul punto specifico la Corte territoriale ha osservato che, in linea generale e astratta, nella ipotesi di leasing traslativo in cui il valore residuo del bene rimane apprezzabile, per cui i canoni svolgono la funzione di scontare una quota del prezzo, in previsione dell’acquisto finale e successivo, trova applicazione l’art. 1526 c.c. per cui in caso di inadempimento dell’utilizzatore opera la disciplina della vendita con riserva di proprietà con conseguente restituzione all’utilizzatore delle rate riscosse, mentre il concedente ha diritto a un compenso equo per l’uso della cosa, oltre al risarcimento del danno. Nel caso di specie, però, la disposizione non opera a causa della mancata restituzione del bene da parte della società Fertagri che si è limitata a metterlo a disposizione. La circostanza che l’immobile sia stato poi venduto non rileverebbe; ciò in quanto il credito azionato riguardava le rate già scadute e non erano stati forniti elementi per valutare una ipotesi di compensazione;

tale argomentazione appare condivisibile ed in linea con il recente orientamento di legittimità (Cass. n. 21895/2017 e n. 15202/2018);

oltre alla considerazione che parte ricorrente, in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, non ha indicato la ubicazione nel fascicolo di legittimità del testo della clausola in tema di risoluzione, il motivo si traduce in una censura d’insufficienza della motivazione poichè i giudici di merito non avrebbero adeguatamente valutato la non opposizione alla riconsegna dell’immobile e l’ingiustificato arricchimento da parte della banca. Si tratta di considerazioni che non si traducono in censure specifiche sull’esclusione dell’applicabilità dell’art. 1526 c.c. al caso di specie. La Corte d’Appello ha fatto corretta applicazione del principio giurisprudenziale più volte espresso da questa Corte secondo cui l’obbligo di restituzione costituisce un profilo fondamentale nell’equilibrio del contratto perchè, da un lato, il concedente, rientrato nel possesso del bene, potrà trarne ulteriori utilità nel prosieguo; dall’altro, solo dopo la restituzione sarà possibile determinare l’equo compenso spettante per il godimento garantito dall’utilizzatore nel periodo di durata del contratto (Cass., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 7337 del 2019). La Corte territoriale ha già evidenziato che la vendita dell’immobile intervenuta dopo la proposizione della domanda monitoria non modificava l’inammissibilità della domanda della società opponente per l’insussistenza del requisito della consegna effettiva del bene, propedeutico alla proposizione della richiesta ai sensi dell’art. 1526 c.c.;

ne consegue che il ricorso deve essere rigettato; le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza. Infine, va dato atto – mancando ogni discrezionalità al riguardo (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito. Ciò in quanto è in atti la richiesta di ammissione al patrocinio a spese dello Stato e non anche la Delib. di ammissione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione della Corte Suprema di Cassazione, il 22 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2019

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