Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25766 del 14/10/2019

Cassazione civile sez. III, 14/10/2019, (ud. 21/03/2019, dep. 14/10/2019), n.25766

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17849-2017 proposto da:

DETTO FACTOR SPA IN LIQUIDAZIONE, in persona del liquidatore pro

tempore Dott. S.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

A. BAIAMONTI 4, presso lo studio dell’avvocato RENATO AMATO,

rappresentata e difesa dall’avvocato CRISTIANA CORSINI;

– ricorrente –

contro

BANCA CARGE SPA, T.C.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 526/2017 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 08/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/03/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO Alberto, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso in

particolare del motivo 1C;

udito l’Avvocato RENATO AMATO per delega.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La società Detto Factor S.p.a., in liquidazione, ricorre, sulla base di quattro motivi, per la cassazione della sentenza n. 526/17, dell’8 maggio 2017, della Corte di Appello di Bari, che – accogliendo il gravame esperito dalla società Banca Carige S.p.a. (d’ora in poi, “Carige”) avverso la sentenza n. 3822/11, del 1 dicembre 2011, del Tribunale di Bari – ha dichiarato l’inefficacia, ex art. 2901 c.c., anche nei confronti di Carige, dell’atto costitutivo di fondo patrimoniale posto in essere il 4 novembre 2009 da tale T.C..

2. Riferisce, in punto di fatto, l’odierna ricorrente di aver convenuto in giudizio, ai sensi dell’art. 2901 c.c., il T., giacchè costui – dopo essersi impegnato ad iscrivere ipoteca volontaria su un bene di sua proprietà sito in (OMISSIS), per l’importo di Euro 500.000,00, a garanzia di un credito vantato da essa Detto Factor verso altra società – costituiva, mediante rogito notarile del 4 novembre 2009, un fondo patrimoniale, che sottraeva detto immobile alla garanzia patrimoniale.

Adito dalla società Detto Factor, il Tribunale barese – in difetto di contestazione, da parte del T., dei presupposti dell’azione revocatoria – rinviava immediatamente la causa per la precisazione delle conclusioni; tuttavia, nelle more della celebrazione dell’udienza ex art. 187 c.p.c., interveniva in giudizio la società Carige, la quale domandava che il suddetto atto costitutivo del fondo patrimoniale venisse dichiarato inefficace anche nei propri confronti, sul presupposto che il T. avesse garantito, con fideiussione, un suo credito, in relazione al quale la società interveniente aveva conseguito provvedimento monitorio.

Il giudice di prime cure, mentre accoglieva l’azione revocatoria esercitata da Detto Factor, rigettava quella della società intervenuta in giudizio.

Esperito gravame da quest’ultima, la Corte barese lo accoglieva, dichiarando, pertanto, l’inefficacia dell’atto suddetto anche nei confronti della società Carige.

3. Avverso la sentenza della Corte di Appello di Bari ha proposto ricorso per cassazione la società Detto Factor, sulla base – come detto – di quattro motivi.

3.1. In particolare, il primo motivo deduce – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), – violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1 e art. 167 c.p.c., oltre che dell’art. 117 testo unico bancario, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.

Si censura la sentenza impugnata laddove ha ritenuto di poter accogliere l’azione ex art. 2901 c.c., esperita da Carige, sul rilievo che il T. non abbia mai contestato gli elementi posti dalla stessa a fondamento della propria domanda, sicchè, essendo pacifica l’esistenza del credito, si è ritenuta non necessaria la produzione della copia del decreto ingiuntivo allegata dalla società intervenuta in giudizio.

Tuttavia, la Corte territoriale si sarebbe acriticamente adagiata sul principio di non contestazione non coordinandolo con l’onere di allegazione che comunque gravava sulla società Carige a norma dell’art. 167 c.p.c., giacchè essa non avrebbe allegato alcun fatto costitutivo del suo diritto di credito, nè degli ulteriori elementi previsti dall’art. 2901 c.c. ai fini dell’accoglimento della cosiddetta “actio pauliana”.

Si assume, inoltre, che la sentenza impugnata non avrebbe fatto una corretta applicazione del principio di non contestazione, non potendo esso operare rispetto ad atti o contratti che necessitano, come la fideiussione, della forma scritta “ad substantiam”.

Infine, si contesta la decisione della Corte barese anche in relazione alla supposta carenza di interesse dell’odierna ricorrente a contestare l’intervento di Carige.

3.2. Il secondo motivo deduce – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), – violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.

Si ipotizza l’esistenza del vizio di ultrapetizione, laddove la sentenza impugnata ha affermato che il T. non ha mai contestato la circostanza di essere debitore di Carige, mentre, in realtà, quest’ultima si sarebbe limitata a rilevare che il convenuto aveva ammesso il compimento dell’atto dispositivo, nonchè aderito alla domanda di revoca proposta dal solo attore principale, e non pure dalla parte intervenuta in giudizio.

3.3. Il terzo motivo deduce – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), – violazione e falsa applicazione degli artt. 167,267 e 268 c.p.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.

Si censura la sentenza impugnata laddove essa, nel riformare la decisione del primo giudice, ha affermato che il Tribunale non ha tenuto conto che, ai fini della fondatezza della domanda proposta dalla parte intervenuta, era sufficiente una mera attività assertiva della esistenza il diritto azionato.

Si rileva, al riguardo, che, sebbene sia consentita alla parte interveniente l’attività assertiva, resta, nondimeno, inteso che, se la comparsa non contiene gli elementi previsti dall’art. 167 c.p.c., la sua iniziativa non è destinata all’accoglimento.

3.4. Il quarto motivo deduce – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), – violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 c.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.

In questo caso, la censura si indirizza avverso quell’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui non può parlarsi di infondatezza dell’atto di intervento, atteso che nel giudizio non si discuteva del “quantum debeatur” del T. nei confronti della società Carige, sicchè l’unico soggetto avente titolo a contestare la qualità di creditore della società intervenuta sarebbe stato il supposto debitore.

Si tratterebbe di affermazione erronea sotto più profili: innanzitutto, perchè quella revocatoria non ha natura di azione di accertamento bensì costitutiva, ed inoltre perchè la legittimazione e l’interesse di Detto Factor, a contestare l’intervento, doveva affermarsi in vista dell’azione esecutiva sul bene oggetto della revocatoria.

Pure contestata è, infine, l’affermazione secondo cui la società Carige si sarebbe limitata ad aderire alle conclusioni dell’attore principale, giacchè l’intervento “de quo” non può considerarsi alla stregua di un intervento propriamente adesivo.

4. La società Carige è rimasta intimata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

5. Il ricorso va rigettato.

6. “In limine”, va premesso che tutti e quattro i motivi di impugnazione sono formulati (anche) sotto un profilo – quello della “insufficienza” e “contraddittorietà” della motivazione – che non è più contemplato dall’attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), e dunque non è più scrutinabile da questa Corte.

Difatti, il testo della norma suddetta, come “novellato” dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, 134 (applicabile “ratione temporis” al presente giudizio), attribuisce rilievo all’omesso “esame” di un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, sicchè il sindacato di questa Corte è destinato ad investire la parte motiva della sentenza solo entro il “minimo costituzionale” (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 7 aprile 2014, n. 8053, Rv. 629830-01, nonchè, “ex multis”, Cass. Sez. 3, ord. 20 novembre 2015, n. 23828, Rv. 637781-01; Cass. Sez. 3, sent. 5 luglio 2017, n. 16502, Rv. 637781-01).

Deve rilevarsi, inoltre, che la sentenza impugnata ha accolto l’appello di Carige ritenendo che il debitore convenuto in giudizio (il T.) non avesse contestato neppure nei suoi confronti, come già verso l’attrice, la ricorrenza dei presupposti dell’azione revocatoria.

Questa affermazione è censurata, innanzitutto, sul rilievo – su cui insiste, almeno in parte, il primo motivo (avente carattere pregiudiziale) – che il principio di non contestazione non possa operare rispetto a pretese che traggono origine da atti per i quali è richiesta la forma scritta “ad substantiam”, tale ritenendosi la fideiussione.

6.1. Il motivo non è fondato.

6.1.1. Vera è, certamente, la premessa da cui muove la censura, ovvero che il “principio, sancito dall’art. 115 c.p.c., comma 1, , secondo cui i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita possono essere posti a fondamento della decisione, senza necessità di prova, non opera nel caso in cui il fatto costitutivo del diritto azionato sia rappresentato da un atto per il quale la legge impone la forma scritta “ad substantiam”, dal momento che in tale ipotesi, a differenza di quanto accade nel caso in cui una determinata forma sia richiesta “ad probationem”, l’osservanza dell’onere formale non è prescritta esclusivamente ai fini della dimostrazione del fatto, ma per l’esistenza stessa del diritto fatto valere, il quale, pertanto, può essere provato soltanto in via documentale, non risultando sufficienti nè la prova testimoniale o per presunzioni, nè la stessa confessione della controparte” (Cass. Sez. 1, ord. 17 ottobre 2018, n. 25999, Rv. 6514446-01).

Nondimeno, questa Corte ha escluso che la fideiussione richieda la forma scritta “ad substantiam”, affermando che la “norma dell’art. 1937 c.c., va interpretata tenendo presente il principio, vigente nell’ordinamento, se non espressamente derogato, della libertà della forma contrattuale”, sicchè il “limite posto dalla disposizione in esame all’ampia libertà di forma consentita al prestatore della garanzia personale nel manifestare il proprio intendimento di obbligarsi in qualità di fideiussore è dato dall’inequivocità e dall’oggettività di tale manifestazione di volontà (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 8 marzo 2002, n. 3429), non essendo richiesti nè la forma scritta nè l’utilizzo di formule sacramentali (cfr., da ultimo, Cass. Sez. 3, sent. 7 marzo 2014, n. 5417), ed essendo consentita la prova relativa anche con testimoni o per presunzioni (già Cass. Sez, 3, sent. 16 gennaio 1976, n. 150, nonchè Cass. Sez. 3, 9 settembre 1992, n. 8922)” (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 13 giugno 2014, n. 13539).

6.2. Quanto, invece, alle censure (oggetto della restante parte del primo motivo, nonchè del secondo) che investono – con prospettazione logicamente subordinata a quella esaminata – la “portata” della non contestazione, giacchè essa avrebbe riguardato la sola qualità di debitore di Carige, da parte del T., e non pure la ricorrenza dei presupposti (“recte”: degli altri presupposti, soggettivi ed oggettivi) della cd. “actio pauliana”, esse sono inammissibili a norma dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6).

6.2.1. Difatti, perchè la censura basata sulla violazione del principio di non contestazione possa dirsi rispondente al disposto di cui alla norma citata occorre che il ricorrente, anche attraverso la riproduzione testuale di stralci dei precedenti scritti defensionali, propri e della controparte, abbia provveduto sia ad “indicare la sede processuale di adduzione delle tesi ribadite o lamentate come disattese”, sia ad inserire nel ricorso “la trascrizione dei relativi passaggi argomentativi” (da ultimo, Cass. Sez. 3, sent. 9 agosto 2016, n. 16655, Rv. 641486-01), in quanto, “in virtù del principio di autosufficienza, il ricorso per cassazione con cui si deduca l’erronea applicazione del principio di non contestazione non può prescindere dalla trascrizione degli atti sulla cui base il giudice di merito ha ritenuto integrata la non contestazione che il ricorrente pretende di negare, atteso che l’onere di specifica contestazione, ad opera della parte costituita, presuppone, a monte, un’allegazione altrettanto puntuale a carico della parte onerata della prova” (Cass. Sez. 3, sent. 13 ottobre 2016, n. 20637, Rv. 642919-01).

6.3. Il terzo motivo, invece, non è fondato.

6.3.1. Nella specie, proprio l’operatività del principio di non contestazione (la cui esatta portata non è dato, qui, sindacare, per le ragioni appena indicate), ha comportato la “sufficienza” dell’attività assertiva svolta da Carige, giacchè l’effetto della non contestazione è proprio quello di dispensare dall’onere della prova di un fatto la parte che ne era gravata, se è vero che la non contestazione integra “un comportamento univocamente rilevante ai fini della determinazione dell’oggetto del giudizio, con effetti vincolanti per il giudice, che dovrà astenersi da qualsivoglia controllo probatorio del fatto non contestato acquisito al materiale processuale e dovrà, perciò, ritenerlo sussistente, in quanto l’atteggiamento difensivo delle parti espunge il fatto stesso dall’ambito degli accertamenti richiesti” (“ex multis”, Cass. Sez. 3, sent. 5 marzo 2009, n. 5356, Rv. 606956-01).

6.4. Infine, il quarto motivo è inammissibile.

6.4.1. Al riguardo, va, innanzitutto, osservato come non sia dato comprendere quale sia l’erroneità della qualificazione di Carige, operata nella sentenza impugnata, quale interventore adesivo. Secondo questa Corte, infatti, nella “ipotesi di intervento di un terzo creditore nel giudizio promosso da altro creditore per ottenere la revoca, ai sensi dell’art. 2901 c.c., del medesimo atto dispositivo patrimoniale pregiudizievole delle ragioni creditorie di entrambi (attore ed interventore), compiuto in epoca successiva al sorgere dei rispettivi crediti, l’intervento è da reputarsi adesivo autonomo, con la conseguenza che l’interventore ha il diritto di impugnare la sentenza ad esso sfavorevole” (Cass. Sez. 3, sent. 7 marzo 2017, n. 5621, Rv. 643392-01).

Quanto, invece, alla (supposta) declaratoria di carenza di interesse, in capo all’odierna ricorrente, a contestare l’intervento di Carige, essa va esclusa, alla stregua di una corretta esegesi della sentenza impugnata.

Nella stessa, infatti, la Corte barese si esprime in termini diversi, affermando che “era ingiustificata l’opposizione da parte della Detto Factor all’accoglimento della domanda di revocatoria proposta dalla Banca Carige”, e ciò “atteso che la declaratoria di inefficacia dell’atto di costituzione del fondo patrimoniale in favore della Banca Carige costituiva una domanda sulla quale nessuna interferenza avrebbero potuto esplicare le sorti della causa principale, avente ad oggetto la declaratoria di inefficacia dell’atto di costituzione del fondo patrimoniale in favore della Detto Factor” (cfr. il primo capoverso di pag. 5).

La censura, pertanto, non coglie l’effettiva “ratio decidendi”, sicchè mi pare possa farsi applicazione del principio secondo cui la “proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di specifiche attinenze al “decisum” della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366 c.p.c., n. 4), con conseguente inammissibilità del ricorso, rilevabile anche d’ufficio” (Cass. Sez. 6-1, ord. 7 settembre 2017, n. 20910, Rv. 645744-01).

7. Nulla va disposto sulle spese, essendo la società Carige rimasta intimata.

8. A carico della ricorrente sussiste l’obbligo di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, all’esito di pubblica udienza della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 21 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2019

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