Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25765 del 13/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 13/11/2020, (ud. 09/09/2020, dep. 13/11/2020), n.25765

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 13955/2013 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

cui domicilia in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– ricorrente –

contro

Edilizia Industriale s.r.l., in liquidazione, in persona del

liquidatore pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Ivan

Sarti, del foro di Bologna, e dall’avv. Giovanni Giustiniani, del

foro di Roma, elettivamente domiciliata presso quest’ultimo in Roma

alla via Tacito n. 23;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 73/09/12 della Commissione tributaria

regionale dell’Emilia Romagna, pronunciata il 17 ottobre 2012,

depositata il 27 novembre 2012 e non notificata.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9 settembre

2020 dal consigliere Dott.ssa Giudicepietro Andreina;

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. l’Agenzia delle Entrate ricorre con due motivi avverso l’Edilizia Industriale s.r.l., in liquidazione, in persona del liquidatore pro tempore (di seguito la società), per la cassazione della sentenza n. 73/09/12 della Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, pronunciata il 17 ottobre 2012, depositata il 27 novembre 2012 e non notificata, che ha accolto l’appello della contribuente e rigettato l’appello dell’Ufficio, in controversia avente ad oggetto l’impugnazione dell’avviso di accertamento di maggiori imposte Ires, Irap ed Iva per l’anno 2004, con cui l’amministrazione aveva rideterminato il prezzo di vendita di tre unità immobiliari, riscontrando una differenza tra i prezzi dichiarati, i valori OMI, i valori dei mutui contratti per l’acquisto degli immobili e le perizie bancarie e fissando il prezzo nel valore coincidente a quello indicato nelle perizie.

2. Con la sentenza impugnata, la C.t.r. ha ritenuto che l’Ufficio non avesse contestato la “formula di calcolo” per determinare il prezzo del singolo immobile in base alla quotazione OMI, con il coefficiente di correzione indicato dalla società contribuente, e che tale presunzione semplice, in assenza di contestazione, divenisse prova certa contro tutte le presunzioni alle quali aveva fatto ricorso l’accertamento dell’Ufficio.

3. A seguito del ricorso, la società resiste con controricorso.

4. Il ricorso è stato fissato alla camera di consiglio del 9 settembre 2020.

5. La controricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.1. Con il primo motivo, l’Agenzia delle entrate denuncia la violazione e falsa applicazione del principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c. e D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 23, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Secondo la ricorrente, la C.t.r. avrebbe erroneamente applicato il principio di non contestazione, di cui all’art. 115 c.p.c., al criterio di calcolo per l’individuazione del valore normale degli immobili, che non costituisce un “fatto”, ma un metodo predeterminato per legge.

Con il secondo motivo, l’Agenzia delle entrate denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo e controverso, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Secondo la ricorrente, la C.t.r. avrebbe ignorato il dato decisivo che, nella fattispecie in esame, l’Ufficio aveva proceduto ad una rettifica dei valori, basandosi su di una pluralità di elementi, quali la divergenza del prezzo dichiarato, non solo dai valori Orni, ma anche e soprattutto dai valori indicati nei mutui e da quelli determinati nelle perizie bancarie degli immobili, assunti come prezzo della cessione nell’avviso di accertamento.

1.2. I motivi sono fondati e vanno accolti.

1.3. In primo luogo deve rilevarsi che “in tema di accertamento dei redditi d’impresa, in seguito alla sostituzione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 ad opera della L. n. 88 del 2009, art. 24, comma 5, che, con effetto retroattivo, stante la sua finalità di adeguamento al diritto dell’Unione Europea, ha eliminato la presunzione legale relativa (introdotta dal D.L. n. 223 del 2006, art. 35, comma 3, conv., con modif., dalla L. n. 248 del 2006) di corrispondenza del corrispettivo della cessione di beni immobili al valore normale degli stessi (così ripristinando il precedente quadro normativo in base al quale, in generale, l’esistenza di attività non dichiarate può essere desunta “anche sulla base di presunzioni semplici, purchè queste siano gravi, precise e concordanti”), l’accertamento di un maggior reddito derivante dalla predetta cessione di beni immobili non può essere fondato soltanto sulla sussistenza di uno scostamento tra il corrispettivo dichiarato nell’atto di compravendita ed il valore normale del bene quale risulta dalle quotazioni OMI, ma richiede la sussistenza di ulteriori elementi indiziari gravi, precisi e concordanti” (Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 9474 del 12/04/2017).

Anche in tema di accertamento dell’IVA, come si è detto, “la riformulazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 3, ad opera della L. n. 88 del 2009 (comunitaria 2008), ha eliminato – con effetto retroattivo, stante la finalità di adeguamento al diritto unionale – la stima basata sul valore normale nelle transazioni immobiliari, sicchè la prova dell’esistenza di attività non dichiarate, derivanti da cessioni di immobili, può essere desunta anche sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, secondo gli ordinari criteri di accertamento induttivo, che non sono esclusi dall’art. 273 della direttiva 2006/112/Cee, dovendo gli Stati membri assicurare l’integrale riscossione del tributo armonizzato e l’efficacia della lotta contro l’evasione” (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 9453 del 04/04/2019).

Nella specie è pacifico che gli atti di compravendita oggetto di accertamento sono stati conclusi nell’anno d’imposta 2004, sicchè lo scostamento del corrispettivo dichiarato rispetto al valore normale degli immobili ceduti, non costituisce una presunzione legale (relativa) di percezione di un maggior corrispettivo, ma una presunzione semplice, da valutare unitamente ad altri elementi che ne confermino la gravità, precisione e concordanza (Cass. 28/12/2017, n. 31027).

Inoltre, risulta pacifico che l’Ufficio abbia determinato il maggior prezzo delle cessioni con riferimento ai valori delle perizie bancarie a corredo dei mutui contratti per l’acquisto degli immobili stessi e che lo scostamento dai valori Omi sia stato assunto dall’amministrazione solo come uno “strumento di ausilio ed indirizzo per l’esercizio della potestà di valutazione estimativa” (vedi Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 25707 del 21/12/2015).

La C.t.r, nella sentenza impugnata, non tiene conto dell’effettiva portata dell’accertamento, nè delle statuizioni del giudice di prime cure, che, in parziale accoglimento del ricorso della contribuente, aveva individuato il prezzo della compravendita nei valori Orni per le prime due cessioni e nel valore del mutuo per la terza.

Il giudice di appello, ritenendo che il metodo di calcolo della determinazione del valore normale, con i correttivi indicati dalla contribuente, non fosse stato contestato dall’Amministrazione, ha concluso affermando che tale circostanza prevaleva su tutte le prove presuntive sulle quali si basava l’accertamento.

Come è stato detto, “il principio di non contestazione, di cui all’art. 115 c.p.c., comma 1, si applica anche nel processo tributario, ma, attesa l’indisponibilità dei diritti controversi, riguarda esclusivamente i profili probatori del fatto non contestato, e semprechè il giudice, in base alle risultanze ritualmente assunte nel processo, non ritenga di escluderne l’esistenza” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 2196 del 06/02/2015).

In un caso di controversia relativa all’istanza di rimborso di un tributo, si è ulteriormente chiarito che “in tema di contenzioso tributario, il difetto di specifica contestazione (dei conteggi funzionali alla quantificazione del credito oggetto della pretesa dell’attore – contribuente, allorchè il convenuto abbia negato l’esistenza di tale credito) può avere rilievo solo quando si riferisca a fatti non incompatibili con le ragioni della contestazione dell'”an debeatur”, poichè il principio di non contestazione opera sul piano della prova e non contrasta, nè supera, il diverso principio per cui la mancata presa di posizione sul tema introdotto dal contribuente non restringe il “thema decidendum” ai soli motivi contestati se sia stato chiesto il rigetto dell’intera domanda” (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 9732 del 12/05/2016).

Anche con recente pronuncia, questa Corte ha nuovamente affermato che “nel processo tributario, nell’ipotesi di ricorso contro l’avviso di accertamento, il principio di non contestazione non implica a carico dell’Amministrazione finanziaria, a fronte dei motivi di impugnazione proposti dal contribuente, un onere di allegazione ulteriore rispetto a quanto contestato mediante l’atto impositivo, in quanto detto atto costituisce nel suo complesso, nei limiti delle censure del ricorrente, l’oggetto del giudizio” (Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 19806 del 23/07/2019).

Pertanto, alla luce dei principi richiamati, la C.t.r. non ha fatto corretta applicazione del principio di non contestazione, in quanto ha rigettato, senza alcun esame specifico, l’appello dell’amministrazione, volto a contestare la sentenza di primo grado ed a riaffermare la legittimità dell’avviso di accertamento e la valutazione degli immobili in esso contenuta (corrispondente al valore della perizia bancaria), ritenendo che l’Ufficio non avesse contestato la “formula di calcolo” per determinare il prezzo del singolo immobile in base alla quotazione OMI, con il coefficiente di correzione indicato dalla società contribuente, e che tale presunzione semplice, in assenza di contestazione, divenisse prova certa contro tutte le presunzioni alle quali aveva fatto ricorso l’accertamento dell’Ufficio.

Con ciò omettendo di motivare sugli specifici elementi di fatto dedotti dall’Agenzia delle entrate.

Pertanto, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla C.t.r. dell’Emilia Romagna, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla C.t.r. dell’Emilia Romagna, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 9 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2020

 

 

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