Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25764 del 14/12/2016


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Cassazione civile, sez. VI, 14/12/2016, (ud. 19/10/2016, dep.14/12/2016),  n. 25764

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARIENZO Rosa – Presidente –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27991-2014 proposto da:

T.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

MASSIMO URSO giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

EUROPA 190, presso lo studio dell’avvocato DORA DE ROSE, che la

rappresenta e difende in virtù di atto di nomina di nuovo

difensore;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2889/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

emessa il 21/03/2014 e depositata il 19/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/10/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONELLA PAGETTA;

udito l’Avvocato Dora De Rose, per la controricorrente, che si

riporta agli atti.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Con sentenza n. 2889/2014 la Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza di primo grado che aveva respinto la domanda di T.A. intesa all’accertamento della illegittimità del termine apposto al contratto stipulato con Poste Italiane s.p.a. ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis.

Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso T.A., sulla base di un unico articolato motivo. Poste Italiane s.p.a. ha resistito con tempestivo controricorso.

Il Consigliere relatore, nella relazione depositata ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c. ha concluso per la manifesta infondatezza del ricorso.

Il Collegio condivide tale valutazione.

Con l’unico motivo di ricorso parte ricorrente, deducendo plurime violazioni di norme di diritto, ha censurato la decisione di appello per avere posto a carico del lavoratore la prova del rispetto del rapporto percentuale tra assunzioni a termine e assunzioni a tempo indeterminato, di cui all’art. 2, comma 1 bis D.Lgs. cit.; ha sostenuto che il singolo lavoratore non è in grado, date le dimensioni della società, di contestare specificamente i dati numerici indicati da Poste dovendosi limitare a chiederne la prova; ciò era avvenuto nel caso di specie in cui il lavoratore aveva formulato istanza di prova a riguardo, ed aveva altresì confutato “la credibilità dei dati quantitativi dedotti. nonchè la genericità di contenuto della relativa deduzione (senza ottenere al riguardo una risposta diversa dalle generiche proposizioni sopra riportate)”. Ha quindi richiamato il principio secondo il quale la operatività della “non contestazione” presuppone la completa esplicitazione dei dati fattuali ad opera della controparte ed in questa prospettiva ha dedotto la genericità del prospetto depositato da Poste a costituire prova idonea in quanto i dati relativi al rispetto del rapporto percentuale tra assunzioni a termine ed assunzioni a tempo indeterminato concernevano l’intero organico aziendale mentre avrebbero dovuto riguardare esclusivamente i lavoratori addetti al servizio propriamente postale, tale essendo l’ambito di operatività dello strumento derogatorio di cui all’art. 2, comma 1 bis D.Lgs. cit.; infine, mancava ogni indicazione in ordine al metodo utilizzato per individuare l’organico su cui calcolare il rapporto percentuale.

Il motivo, come detto, è da respingere.

Occorre premettere che, per quel che qui rileva, il giudice di appello ha ritenuto provato il rispetto del rapporto percentuale tra assunzioni a termine e assunzioni a tempo indeterminato, prescritto dall’art. 2, comma 1 bis D.Lgs. cit., sul rilievo che Poste Italiane s.p.a., nel costituirsi in giudizio, aveva prodotto copia delle comunicazioni inviate alle organizzazioni sindacali, con allegati prospetti indicanti il numero dei contratti che sarebbero stati stipulati nei diversi settori di attività e il prospetto indicante il numero complessivo dei lavoratori assunti a tempo indeterminato alla data del 31.12.2009 (pari a 150.631), la percentuale massima del 15% (pari a 22.594), il numero dei contratti stipulati alla data del 31.12.2009 (pari a 12.808) e che nella prima udienza successiva alla produzione l’appellante non aveva contestato “in alcun modo” la conformità delle copie prodotte agli originali nè aveva dedotto alcunchè sul contenuto della documentazione in particolare, quanto alla indicazione del numero dei contratti a tempo indeterminato ed a tempo determinato, e neppure aveva genericamente contestato la non veridicità dei dati forniti.

Tanto premesso si rileva che la sentenza impugnata resiste alle censure sviluppate dal ricorrente.

Preliminarmente si osserva che in ricorso non si critica la decisione sul rilievo che l’onere di contestazione concerne le sole allegazioni in punto di fatto della controparte e non anche i documenti da essa prodotti, rispetto ai quali vi è soltanto l’onere di eventuale disconoscimento, nei casi e modi di cui all’art. 214 c.p.c. o di proporre – ove occorra – querela di falso, restando in ogni momento la loro significatività o valenza probatoria oggetto di discussione tra le parti e suscettibile di autonoma valutazione da parte del giudice. (Cass. ord. n. 6606 del 2016). Le critiche svolte si incentrano, infatti, sulla violazione della regola di distribuzione dell’onere della prova, sulla difficoltà per il lavoratore di conoscere e quindi contestare i dati offerti da Poste, stante le dimensioni aziendali della società, sull’avere il lavoratore, comunque, confutato la credibilità dei dati e la loro genericità.

Quanto al profilo attinente alla distribuzione dell’onere probatorio, non sussiste la dedotta violazione dell’art. 2697 c.c. atteso che il giudice di appello ha fondato la statuizione di rigetto esplicitamente sulla prova documentale offerta da Poste. La decisione è quindi coerente con l’insegnamento di questa Corte secondo il quale l’onere di deduzione e prova del rispetto della percentuale contrattualmente stabilita a livello collettivo del personale assumibile a tempo determinato rispetto al personale stabile grava sul datore di lavoro mentre il lavoratore che impugna la clausola appositiva del termine può limitarsi ad affermarne l’inosservanza o comunque chiedere che la parte opposta assolva all’onere sulla stessa incombe (v. tra le altre, Cass. ord. n. 2912 del 2012).

Quanto alle doglianza con la quale parte ricorrente deduce di avere contestato i dati offerti da Poste, si rileva che tale doglianza non è articolata con modalità idonee alla valida censura della decisione atteso che essa non è corredata dalla adeguata esposizione del fatto processuale. Invero per contrastare la diversa ricostruzione operata nella decisione di appello circa la assenza di contestazioni da parte del lavoratore alla documentazione offerta da Poste era necessaria la indicazione in ricorso del preciso contenuto delle deduzioni relative a tale prova documentale e, prima ancora, degli atti dei gradi di merito in cui tali deduzioni erano state formulate. Parte ricorrente si è sottratta a tale onere; le formulate censure non risultano chiare ed intellegibili in base alla lettura del solo ricorso, di talchè questa Corte non è posta nella condizione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il relativo fondamento (v., tra le altre, Cass., n. 8932 del 2006; n. 1108 del 2006, n. 21659 del 2005 n. 16132; del 2005) sulla base delle sole deduzioni contenute nel medesimo, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative, non avendo la Corte di legittimità accesso agli atti del giudizio di merito (v. Cass., n. 3158 del 2003; Cass., n. 12444 del 2003,; Cass. n. 1161 del 1995).

Infine, priva di pregio giuridico risulta l’argomentazione secondo la quale non sussisterebbe alcun onere di contestazione a carico del lavoratore in quanto non in grado di verificare l’attendibilità dei dati offerti da Poste ponendosi tale affermazioni in contrasto con la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale il sistema di preclusioni su cui fonda il rito del lavoro comporta per entrambe le parti 1′ onere di collaborare, fin dalle prime battute processuali, a circoscrivere la materia controversa, evidenziando con chiarezza gli elementi in contestazione; ne consegue che ogni volta che sia posto a carico di una delle parti (attore o convenuto che sia) un onere di allegazione (e di prova), il corretto sviluppo della dialettica processuale impone che l’altra parte prenda posizione in maniera precisa rispetto alle affermazioni della parte onerata, nella prima occasione processuale utile (e perciò nel corso dell’udienza di cui all’art. 420 cod. proc. civ., se non ha potuto farlo nell’atto introduttivo), atteso che il principio di non contestazione, derivando dalla struttura del processo e non soltanto dalla formulazione dell’art. 416 bis c.p.c., è applicabile, ricorrendone i presupposti, anche con riguardo all’attore, ove oneri di allegazione (e prova) gravino anche sul convenuto. (v. tra le altre, Cass. n. 3245 del 2003).

In base alle considerazioni che precedono il ricorso deve essere respinto. Le spese sono liquidate secondo soccombenza.

L’attuale condizione del ricorrente di ammesso al patrocinio a spese dello Stato esclude, allo stato, la debenza di quanto previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater. (Cass. 18523 del 2014).

Non si fa luogo alla pronunzia sulla istanza formulata, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 1982, art. 82 dall’Avv. Massimo D’Urso, procuratore del ricorrente, atteso che competente a provvedere sulla stessa è il giudice la cui pronunzia è divenuta irrevocabile a seguito dell’esito del giudizio di legittimità ed al quale l’interessato ha l’onere di presentare la relativa istanza (ex plurimis: Cass. n. 16986/2006).

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in complessivi Euro 2.500, per compensi professionali, Euro 100,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15%, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 19 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 14 dicembre 2016

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