Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25763 del 22/09/2021

Cassazione civile sez. I, 22/09/2021, (ud. 14/05/2021, dep. 22/09/2021), n.25763

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13648/2019 proposto da:

I.S., elettivamente domiciliato in Via Groscavallo 3

(TO), presso lo studio dell’Avv. Alessandro Praticò che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2088/2018 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 07/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/05/2021 da ACIERNO MARIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di Appello di Torino, con sentenza n. 2088/2018, ha rigettato l’appello proposto dal cittadino nigeriano, I.S., avverso l’ordinanza con la quale il Tribunale di Torino, in data 14/02/2018, ha negato il riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, e di quella umanitaria ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, così confermando integralmente la decisione assunta dalla competente Commissione Territoriale.

2. Il richiedente ha dichiarato di essere nato in un villaggio della città di Uromi (Edo State) e di aver lasciato il Paese di origine perché, dopo la morte dei genitori nel 2014, è stato invitato da un suo amico ad associarsi ad una setta ((OMISSIS)) ed, a fronte del suo rifiuto, ha subito minacce da parte dei membri della setta che avrebbero anche ucciso la sorella. Per tali ragioni ha lasciato il Paese di origine ed ha ritenuto di non denunciare i fatti alla polizia per non peggiorare la situazione, tenuto conto che il capo della setta ((OMISSIS)) è ricco ed influente. Da ultimo, ha affermato di non voler rientrare in Nigeria perché teme di essere ucciso dal capo della setta.

3. La Corte ha osservato che la conoscenza e la disamina approfondita del fenomeno dei cults non ha alcuna influenza sull’esistenza del danno grave in capo all’appellante dal momento che la vicenda narrata si presenta contraddittoria ed inverosimile. Inoltre, il timore paventato dal richiedente di essere perseguitato in caso di rientro in Nigeria, oltre a non essere attuale, è posto in dubbio dallo stesso appellante che afferma “forse quel ragazzo – (OMISSIS) – mi sta ancora cercando per uccidermi”.

3.1. In merito alla situazione generale del Paese di origine, dalle informazioni provenienti dall’UNHCR e dalla rubrica viaggiare sicuri, è emerso che la zona specifica di provenienza del ricorrente non è caratterizzata da violenza indiscriminata, essendo quest’ultima circoscritta nella parte nord-est del Paese.

3.2. Da ultimo, è stata rigettata la domanda di protezione umanitaria posto che l’acquisizione di capacità linguistiche di base e l’espletamento di attività lavorative sono espressamente escluse dalla normativa come presupposti per il riconoscimento di ogni forma di protezione.

4. Avverso la presente pronuncia il cittadino straniero ha proposto ricorso per cassazione. L’Amministrazione intimata si è costituita oltre i termini di cui all’art. 370 c.p.c., al fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

5. Con i primi due motivi di ricorso, che vengono trattati congiuntamente, si censura la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 3 e 5, poiché la valutazione negativa di credibilità si è fondata, anziché sulla base degli indici legali di affidabilità, su mere considerazioni soggettive, senza che il giudice di appello abbia verificato la coerenza della vicenda narrata con le COI inerenti al fenomeno dei cults e delle associazioni segrete operanti in Nigeria del sud, nonostante la specifica sollecitazione contenuta nell’atto di appello al quale venivano allegate numerose fonti informative.

5.1. I motivi sono infondati atteso che la Corte di Appello ha escluso la credibilità intrinseca del richiedente alla luce delle numerose contraddizioni ed incongruenze rilevate nella vicenda persecutoria narrata e, di conseguenza, ha ritenuto correttamente di non dover procedere al controllo della credibilità estrinseca mediante un riscontro con le COI inerenti al fenomeno dei cults e delle associazioni segrete presenti in Nigeria.

5.2. Dunque, ritiene il Collegio che la Corte Territoriale abbia fatto buon governo dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, secondo la quale in materia di protezione internazionale, una volta esclusa la credibilità intrinseca della narrazione offerta dal richiedente asilo alla luce di riscontrate contraddizioni, lacune e incongruenze, non deve procedersi al controllo della credibilità estrinseca – che attiene alla concordanza delle dichiarazioni con il quadro culturale, sociale, religioso e politico del Paese di provenienza, desumibile dalla consultazione di fonti internazionali meritevoli di credito – poiché tale controllo assolverebbe alla funzione meramente teorica di accreditare la mera possibilità astratta di eventi non provati riferiti in modo assolutamente non convincente dal richiedente (Cass., n. 6738/2021; Cass., n. 24575/2020).

5.3. Per contro, deve osservarsi che la presente censura non fornisce elementi in grado di scalfire la ratio del provvedimento impugnato e superare la valutazione di intrinseca inattendibilità effettuata dal giudice di appello nel pieno rispetto degli indici normativi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3.

6. Nel terzo motivo si deduce la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per avere la Corte territoriale ritenuto che ai fini della concessione della protezione umanitaria non potesse rilevare la situazione d’integrazione sociale raggiunta dal ricorrente in Italia, tenuto conto che quest’ultimo, nell’atto di appello, ha prodotto documentazione comprovante lo svolgimento di attività lavorativa e di future prospettive occupazionali.

6.1. Il motivo è fondato poiché la Corte di Appello, contrariamente a quanto affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, ha ritenuto che il livello d’integrazione sociale raggiunto dal richiedente in Italia non costituisse una circostanza rilevante ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria e, sulla scorta di tale erronea considerazione, ha omesso di esaminare la documentazione lavorativa allegata nell’atto di appello e sottoposta al suo esame.

6.2. Deve osservarsi che in materia di protezione umanitaria, il giudice deve tener conto del lavoro e delle attività formative e d’istruzione svolte dall’interessato ed effettuare una valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine e la situazione d’integrazione sociale raggiunta nel Paese di accoglienza, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale (Cass., n. 7396/2021; Cass., n. 4455/2018; Cass., n. 17130/2020).

6.3. In conclusione, la censura deve essere accolta atteso che nessuna valutazione risulta essere stata svolta in relazione al grado d’integrazione raggiunto dal ricorrente in Italia ed alle possibili conseguenze pregiudizievoli che quest’ultimo subirebbe in caso di un eventuale rimpatrio nel Paese di origine.

7. La Corte rigetta i primi due motivi di ricorso ed accoglie il terzo. Cassa e rinvia alla Corte di Appello di Torino in diversa composizione anche per le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo ed il secondo motivo di ricorso, accoglie il terzo, cassa e rinvia alla Corte di Appello di Torino in diversa composizione anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 14 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2021

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