Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25763 del 13/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 13/11/2020, (ud. 08/09/2020, dep. 13/11/2020), n.25763

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 24839/2013 R.G. proposto da:

G.F.C. s.r.l., in persona del rappresentante pro tempore;

C.G.;

M.F.;

tutti rappresentati e difesi dall’Avv. Guglielmo Maisto e dall’Avv.

Marco Cerrato, con domicilio eletto in Roma, piazza d’Aracoeli, n.

1, presso lo studio degli stessi;

– ricorrenti-

contro

Agenzia delle entrate, con sede in Roma, in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n.

12, presso l’Avvocatura generale dello Stato, che la rappresenta e

difende;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia, n. 86/05/12 depositata il 20 settembre 2012.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’8 settembre

2020 dal Consigliere Dott. Nicastro Giuseppe.

 

Fatto

RILEVATO

che:

l’Agenzia delle entrate notificò alla G.F.C. s.r.l. – società che svolge l’attività di compravendita di autovetture e i cui soci sono i coniugi C.G. e M.F. – a seguito di una verifica preso la sede sociale e della notifica del relativo processo verbale, l’avviso di accertamento n. (OMISSIS), con il quale rettificò la dichiarazione dei redditi presentata dalla società per il periodo d’imposta 2003 disconoscendo la deducibilità, ai fini dell’IRPEG e dell’IRAP, delle spese relative: a) alle provvigioni (dell’importo di Euro 813.405,00) corrisposte alla Elicar S.A. – società costituita dalla famiglia C.- M. in Francia, dove svolgeva l’attività di agente della G.F.C. s.r.l. – sulla base del contratto di agenzia, avendo reputato l’antieconomicità delle stesse; b) a un viaggio dell’amministratore negli Stati Uniti d’America (spesa di Euro 3.110,60);

la stessa Agenzia delle entrate notificò a C.G. e M.F. gli avvisi di accertamento, rispettivamente, n. (OMISSIS) e n. (OMISSIS), con i quali, a seguito delle indagini bancarie svolte nei loro confronti ai sensi del n. 7) del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, comma 1 e sulla base delle presunzioni di cui al n. 2) dello stesso comma, rettificò le dichiarazioni dei redditi dagli stessi presentate per l’anno 2000;

i tre avvisi di accertamento furono separatamente impugnati davanti alla Commissione tributaria provinciale di Varese (hinc anche: “CTP”) che, riuniti i ricorsi, li rigettò;

avverso tale pronuncia, i contribuenti proposero appello alla Commissione tributaria regionale della Lombardia (hinc anche: “CTR”), che lo rigettò motivando che: “per quanto riguarda il mancato esame della eccezione relativa alla nullità delle notifica e del conseguente avviso di accertamento in relazione alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 5), che il giudice al fine di adempiere all’obbligo di valutazione non è tenuto a valutare singolarmente tutte le risultanze processuali e a confutare tutte le argomentazioni prospettate dalle parti essendo invece sufficiente che egli, dopo aver vagliato le une e le altre nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende formare il proprio convincimento”; considerate le regole sul riparto dell’onere della prova, “(n)el caso in esame il contribuente ha avuto ampie possibilità di dimostrare all’Ufficio l’infondatezza del proprio assunto con documentazione probante”; “(Un particolare per quanto riguarda i ricorsi personali dei coniugi, l’Ufficio ha esaminato i documenti bancari presentati, contestando quelli privi di valida giustificazione accettando, sicuramente, le osservazioni in proposito dei rappresentanti del contribuente. Di conseguenza è legittimo il recupero a tassazione di movimenti non giustificati durante il contraddittorio”; “(p)er quanto riguarda l’antieconomicità delle spese di rappresentanza, si ritiene sproporzionato il compenso delle provvigioni rispetto agli utili conseguiti dalla GFC s.r.l. I vari elementi indiziari, poi, quali il numero dei dipendenti Elicar, la circostanza che la stessa fosse di proprietà dei coniugi C., che presso la sede della GFC non sia stata trovata alcuna documentazione riguardante l’attività svolta dalla Elicar – come afferma l’Ufficio – la sproporzione del compenso versato a Elicar rispetto all’utile conseguito dalla società, costituiscono delle presunzioni che giustificano l’accertamento”; “(p)er quanto riguarda la nullità della notifica, la stessa può essere comminata solo se espressamente prevista dalla legge”;

avverso tale sentenza della CTR – depositata in segreteria il 20 settembre 2012 e non notificata – ricorrono per cassazione la G.F.C. s.r.l., C.G. e M.F., i quali affidano il proprio ricorso a sedici motivi;

l’Agenzia delle entrate non ha svolto attività difensiva;

la G.F.C. s.r.l., C.G. e M.F. hanno depositato due memorie (la seconda con istanza di trattazione in pubblica udienza).

Diritto

CONSIDERATO

che:

preliminarmente, va disattesa l’istanza di trattazione della causa in pubblica udienza avanzata dai ricorrenti con quest’ultima memoria;

le Sezioni unite di questa Corte hanno recentemente chiarito che, “(s)e è vero che nel giudizio di cassazione la rimessione di una causa alla pubblica udienza dall’adunanza camerale prevista nell’art. 380 bis.1, c.p.c. è ammissibile in applicazione analogica dell’art. 380 bis c.p.c., comma 3, rientrando la valutazione degli estremi per la trattazione del ricorso in pubblica udienza e, in particolare, della particolare rilevanza della questione di diritto coinvolta, nella discrezionalità del collegio giudicante e non del presidente della sezione (Cass. n. 5533/17 ord.), altrettanto indubbio è che il collegio giudicante ben può escludere, nell’esercizio di tale valutazione discrezionale, la ricorrenza dei presupposti della trattazione in pubblica udienza “in ragione del carattere consolidato dei principi di diritto da applicare al caso di specie” (Cass. SSUU n. 14437/18, ord.), ed allorquando non si verta di “decisioni aventi rilevanza nornofilattica, idonee a rivestire efficacia di precedente, orientando, con motivazione avente anche funzione extra processuale, il successivo percorso della giurisprudenza” (Cass. n. 19115/17)”;

tale è la situazione che si verifica – come apparirà evidente nel prosieguo – nella causa in esame;

premesso che con i primi otto motivi (indicati nel ricorso con le lettere da A.1 ad A.8) è censurata la parte della sentenza impugnata che riguarda l’avviso di accertamento notificato alla G.F.C. s.r.l., con il primo motivo (lettera A.1 del ricorso), i ricorrenti denunciano, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), l'”omessa pronuncia” della CTR sul motivo di appello della nullità della verifica presso la sede sociale (e, di conseguenza, dell’avviso di accertamento) per violazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, comma 5;

con il secondo motivo (lettera A.2 del ricorso), i ricorrenti, in via subordinata, denunciano, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l’omesso esame del fatto decisivo “che la verifica si fosse protratta dal 27 aprile 2006 al 29 settembre 2006, e quindi ben oltre il termine consentito dalla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 5”;

con il terzo motivo (lettera A.3 del ricorso), i ricorrenti – in via ulteriormente subordinata, per il caso in cui fosse ritenuta l’inapplicabilità al ricorso avverso le sentenze delle commissioni tributarie regionali dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) come sostituito dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 – prospettano la doglianza già avanzata con il secondo motivo di ricorso anche in relazione alla formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) antecedente alla menzionata sostituzione;

con il quarto motivo (lettera A.4 del ricorso), i ricorrenti, “(n)onostante il carattere assorbente dei precedenti motivi”, denunciano, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 5, per avere la CTR erroneamente implicitamente rigettato il motivo di appello della nullità della verifica presso la sede sociale (e, di conseguenza, dell’avviso di accertamento) per essersi la stessa protratta dal 27 aprile 2006 al 29 settembre 2006 e, pertanto, oltre il termine della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 5 (da interpretare nel senso che “la verifica fiscale deve (…) inderogabilmente chiudersi al massimo entro il sessantesimo giorno lavorativo consecutivo e successivo a quello in cui la stessa ha avuto inizio”, “considerando in maniera continuativa tutti i giorni lavorativi a partire dal primo accesso dei verificatori”;

tali primi quattro motivi – i quali, per la loro connessione, devono essere esaminati congiuntamente – non possono essere accolti;

costituisce un principio giurisprudenziale ormai acquisito (Cass., 08/10/2014, n. 21257, 27/01/2017, n. 2055) quello secondo cui, nel caso di nullità della sentenza per omessa pronuncia, esigenze di economia processuale impongono di evitare la cassazione con rinvio quando la doglianza, sulla quale si riscontri la mancanza della pronuncia, avrebbe dovuto essere rigettata o potuto essere decisa nel merito, purchè, beninteso, senza necessità di ulteriori accertamenti in fatto;

richiamato (con riguardo, in particolare, al primo motivo) tale orientamento della giurisprudenza di questa Corte, la doglianza dei ricorrenti è infondata, anzitutto, sulla base dell’assorbente principio che, in tema di verifiche tributarie, la violazione del termine di permanenza degli operatori dell’amministrazione finanziaria presso la sede del contribuente, previsto dalla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 5 – secondo cui, nel testo vigente ratione temporis (anteriore alla modificazione apportata a detto comma 5 dal D.L. 13 maggio 2011, n. 70, art. 7, comma 2, lett. c, convertito, con modificazioni, dalla L. 12 luglio 2011, n. 106), “La permanenza degli operatori civili o militari dell’amministrazione finanziaria, dovuta a verifiche presso la sede del contribuente, non può superare i trenta giorni lavorativi, prorogabili per ulteriori trenta giorni nei casi di particolare complessità dell’indagine individuati e motivati dal dirigente dell’ufficio. Gli operatori possono ritornare nella sede del contribuente, decorso tale periodo, per esaminare le osservazioni e le richieste eventualmente presentate dal contribuente dopo la conclusione delle operazioni di verifica ovvero, previo assenso motivato del dirigente dell’ufficio, per specifiche ragioni” – non determina la sopravvenuta carenza del potere di accertamento ispettivo, nè l’invalidità degli atti compiuti o l’inutilizzabilità delle prove raccolte, atteso che nessuna di tali sanzioni è stata prevista dal legislatore, la cui scelta risulta razionalmente giustificata dal mancato coinvolgimento di diritti del contribuente costituzionalmente tutelati (Cass., 14/04/2015, n. 7584, 27/01/2017, n. 2055; in senso analogo, Cass., 17/07/2014, n. 16323);

in secondo luogo, questa Corte ha altresì statuito che la L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 5 nel fissare agli operatori civili o militari dell’amministrazione finanziaria il termine di trenta giorni lavorativi (successivamente prorogabile) di permanenza presso la sede del contribuente, si riferisce ai soli giorni di effettiva attività lavorativa svolta presso tale sede, escludendo, quindi, dal computo quelli impiegati per verifiche e attività eseguite in altri luoghi (Cass., 11/11/2011, n. 23595, n. 16323 del 2014, n. 2055 del 2017, 12/05/2017, n. 11878);

pertanto: da un lato, la violazione del termine di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 5 – che i ricorrenti reputano integrata “considerando in maniera continuativa tutti i giorni lavorativi a partire dal primo accesso dei verificatori” – non può affermarsi sussistente; dall’altro lato, essa non sarebbe stata comunque idonea a inficiare la validità dell’avviso di accertamento;

con il quinto motivo (lettera A.5 del ricorso), i ricorrenti denunciano, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l’omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti idonei a dimostrare “la sostanza economica” della Elicar S.A. e che le provvigioni a essa corrisposte non erano antieconomiche – con la conseguente deducibilità delle stesse -, in particolare dei fatti che: a) “Elicar, operante a Macon (Francia) in locali presi in locazione, con dipendenti francesi, ed iscritta al Tribunale commerciale di quel distretto si occupa nell’interesse della GFC della promozione e della vendita delle autovetture (…) nonchè dell’accertamento dei prezzi praticati dai concessionari locali che venivano comunicati a GFC tramite fax”; b) “la circostanza che non siano stati trovati fax relativi all’anno 2003 dipende dal fatto che GFC, una volta ricevute le notizie sui prezzi correnti via fax, decideva il listino per la vendita delle proprie autovetture e poichè l’andamento dei prezzi non era costante la Società non aveva alcuna necessità di conservare tali notizie. Pertanto i fax relativi al 2003 non potevano rinvenirsi nel corso della verifica effettuata ben quattro anni dopo. Ed infatti l’Ufficio omette di precisare che i fax esibiti nel corso della verifica (…) erano (…) relativi al periodo d’imposta in corso al momento della richiesta del verificatore, ossia quelli che erano in quel momento oggetto di analisi per stabilire i prezzi”; c) “Elicar ha una struttura adeguata al lavoro svolto (…) come risulta dalle provvigioni pagate dalla stessa Elicar ai procacciatori di affari terzi. Ciò era peraltro dimostrato dalla circostanza che, nel 2003 Elicar era riuscita a promuovere la vendita di ben 1.430 autovetture”; d) Elicar S.A. svolgeva un’effettiva attività economica, come comprovato dalla produzione nel giudizio davanti alla CTP: d.1) dell'”elenco del registro IVA relativo agli acquisti effettuati da Elicar, con allegate 242 fatture”; d.2) “dell’elenco del registro IVA relativo alle vendite, con la indicazione delle 293 fatture emesse”; d.3) del “verbale della verifica fiscale effettuata nei confronti della Elicar dalla Direction Generale des Impots del Rhone-Alpes Bourgogne per il periodo 1 settembre 2000 – 30 novembre 2002”; d.4) delle “buste paga degli impiegati”; d.5) dei “tabulati giornalieri delle linee telefoniche e telefax che dimostrano i numerosi contatti telefonici (circa 450 chiamate/trasmissioni mensili (…))”; d.6) di “un campione di 120 dei 1.430 contratti di vendita (..) stipulati da Elicar”; d.7) di “un prospetto relativo alle vendite effettuate da GFC dal 1999 al 2003 (…), da cui risulta che, da quando era stata costituita in Francia la Elicar (operativa dal 1 settembre 2000), il numero delle autovetture venduto in Francia era notevolmente aumentato: in particolare rispetto al 1999 il volume delle vendite si era incrementato del 145,60% nel 2001 e del 213,20% nel 2002 e i ricavi erano aumentati rispettivamente del 160,20% e del 239,60%, incrementando così l’utile di esercizio della GFC (…) addirittura del 301,60% nel 2001 e del 663,10% nel 2002”; d.8) del “bilancio 2003 della Elicar”;

con il sesto motivo (lettera A.6 del ricorso), i ricorrenti – in via subordinata, per il caso in cui fosse ritenuta l’inapplicabilità al ricorso avverso le sentenze delle commissioni tributarie regionali dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) come sostituito dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b) – prospettano la doglianza già avanzata con il quinto motivo di ricorso anche in relazione alla formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) antecedente alla menzionata sostituzione;

con il settimo motivo (lettera A.7 del ricorso), i ricorrenti denunciano, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 109, in quanto: a) la CTR, nello “sposare (…) la tesi dell’Ufficio secondo la quale i costi per provvigioni dovuti alla società francese Elicar dovevano essere disconosciuti in quanto (…) il comportamento di GFC era antieconomico”, applica la categoria dell’antieconomicità a una “fattispecie (…) assolutamente diversa” da quelle in cui la giurisprudenza della Corte di cassazione “ammett(e) eccezionalmente un sindacato di congruità di costi da parte dell’Amministrazione” – fattispecie nelle quali “il comportamento del contribuente non era solo manifestamente antieconomico (…) ma aveva come unica giustificazione plausibile l’ottenimento di un risparmio di imposta” – atteso che, “nel caso in esame esiste un contratto di agenzia, che prevede una provvigione di mercato; inoltre la Società ha dato ampia dimostrazione sia dei motivi per cui, al fine di operare in Francia, era necessaria la costituzione di una società francese, sia della circostanza che le provvigioni servivano a coprire i costi per la gestione della struttura francese, che, in mancanza, la GFC avrebbe dovuto sostenere direttamente. Inoltre la Elicar è una società costituita e fiscalmente residente in Francia, ossia in uno Stato notoriamente ad alta fiscalità”; b) “la contestazione della natura fittizia della Elicar fondata prevalentemente sulla circostanza della sua residenza estera si pone in aperto contrasto con il principio di libertà di stabilimento” di cui agli articoli da 43 a 48 del Trattato CE, i quali “si oppongono a che lo Stato di origine ostacoli o in altro modo scoraggi lo stabilimento in un altro Stato membro di un proprio cittadino”;

il quinto motivo è fondato;

la sentenza impugnata, nel confermare – sulla base degli elementi presuntivi del “numero dei dipendenti Elicar”, “che la stessa (era) di proprietà dei coniugi C.”, “che presso la sede della GFC non (era) stata trovata alcuna documentazione riguardante l’attività svolta dalla Elicar” e “della sproporzione del compenso versato a Elicar rispetto all’utile conseguito dalla società” – l’indeducibilità delle provvigioni corrisposte dalla G.F.C. s.r.l. alla Elicar S.A., ha omesso di esaminare alcuni fatti decisivi;

ciò deve essere affermato, in particolare, con riguardo ai fatti che: a) la Elicar S.A. si avvaleva, oltre che di personale dipendente, di procacciatori d’affari, cui corrispondeva le relative provvigioni; b) nell’anno 2003, oggetto dell’accertamento, la stessa Elicar S.A. aveva promosso la vendita di 1.430 autovetture; c) dalla costituzione della Elicar S.A., erano aumentati sia il numero delle autovetture vendute in Francia dalla G.F.C. s.r.l. (del 145,60% nel 2001 e del 213,20% nel 2002) sia i correlativi ricavi (del 160,20% nel 2001 e del 239,60h nel 2002) (con conseguente aumento dell’utile della G.F.C. s.r.l.); d) la verifica presso la sede della G.F.C. s.r.l. era stata effettuata quattro anni dopo il 2003 e, durante la stessa, erano stati rinvenuti dei fax (scambiati con la Elicar S.A.) dell’anno allora corso, cioè di quello per il quale occorreva ancora stabilire il prezzo di vendita delle autovetture;

il carattere decisivo di tali fatti – che la G.F.C. s.r.l. aveva dedotto sia nel ricorso introduttivo sia nel ricorso in appello – deriva, in tutta evidenza, o dall’idoneità di essi a infirmare la valenza di alcuni degli elementi presuntivi addotti dall’amministrazione finanziaria o dal costituire gli stessi elementi di prova (contraria) dell’economicità e della proporzione (rispetto all’utilità ottenuta dall'”investimento”) delle provvigioni corrisposte dalla G.F.C. s.r.l. alla Elicar S.A. (e, perciò, della deducibilità delle stesse);

la pretermissione di tali fatti integra, pertanto, il vizio di cui al n. 5) del comma 1 dell’art. 360 c.p.c. e comporta la cassazione della sentenza impugnata, con il rinvio della causa alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, perchè decida in merito alla deducibilità delle provvigioni corrisposte dalla G.F.C. s.r.l. alla Elicar S.A. tenendo conto (anche) degli stessi;

il sesto e il settimo motivo sono assorbiti dall’accoglimento del quinto motivo;

con l’ottavo motivo (lettera A.8 del ricorso), i ricorrenti denunciano, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), l'”omessa pronuncia” sul motivo di appello con il quale avevano chiesto la riforma della sentenza della CTP nella parte in cui aveva confermato l’indeducibilità della spesa di Euro 3.110,60 relativa a un viaggio dell’amministratore negli Stati Uniti d’America;

il motivo è fondato;

la sentenza impugnata, nonostante menzioni il suddetto motivo di appello (pag. 3: “illegittimità della sentenza impugnata per aver confermato la ripresa a tassazione della somma di Euro 3.110,60 relativa ad un viaggo dell’amministratore negli USA”), omette infatti qualsiasi statuizione sullo stesso, in violazione dell’art. 112 c.p.c.;

rammentato che – come si è detto al primo capoverso – con i motivi dall’ottavo al sedicesimo (indicati nel ricorso con le lettere da B.1 a B.8) è censurata la parte della sentenza impugnata che riguarda gli avvisi di accertamento notificati a Giovanni C. e a Francesca M., con il nono motivo (lettera B.1 del ricorso), i ricorrenti denunciano, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e falsa applicazione degli artt. 148 e 156 c.p.c., per avere la CTR erroneamente negato la nullità (e, a fortiori, l’inesistenza) della notificazione dei suddetti avvisi per essere stata la relativa relata apposta sul frontespizio anzichè in calce agli stessi (vizio che non sarebbe sanato dalla proposizione del ricorso del contribuente in quanto essa è avvenuta dopo la scadenza del termine di decadenza per l’esercizio del potere di accertamento);

il motivo è inammissibile per due autonome ragioni;

l’inammissibilità di esso deve essere affermata, anzitutto, per difetto di autosufficienza, in quanto, in mancanza della riproduzione, nel corpo del ricorso, degli avvisi di accertamento impugnati e della loro relazione di notificazione, così come della produzione di tali atti in questa sede, non è concessa a questa Corte la possibilità di verificare la corrispondenza sia del contenuto degli stessi atti sia della loro rispettiva collocazione con quanto asserito al riguardo dai ricorrenti; ciò che comporta l’impedimento dell’attività di nomofilachia, la quale presuppone la conoscenza certa del tenore degli stessi atti e della loro rispettiva collocazione;

l’inammissibilità del motivo deriva, in secondo luogo, dalla mancanza di qualsiasi specifica contestazione, da parte dei ricorrenti, in ordine alla completezza e alla conformità agli originali degli avvisi notificati, posto che, in difetto di siffatte contestazioni, anche nel caso di accertamento della violazione del precetto che impone l’apposizione della relazione di notificazione “in calce all’originale e alla copia dell’atto” (art. 148 c.p.c., comma 1, richiamato dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1), sussisterebbero comunque i requisiti indispensabili per il raggiungimento dello scopo dei suddetti atti, con la conseguenza che, a norma dell’art. 156 c.p.c., comma 3, la nullità della notificazione non potrebbe comunque essere dichiarata (Cass., 08/07/2016, n. 13965, 14/11/2016, n. 23175);

con il decimo motivo (lettera B.2 del ricorso), i ricorrenti denunciano, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), l'”omessa pronuncia” della CTR sul motivo di appello che la presunzione prevista dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2) – secondo cui sono posti come “ricavi o compensi”, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e semprechè non risultino dalle scritture contabili, “i prelevamenti” – non può operare nella fattispecie “in quanto i signori C. e M. sono titolari di redditi di partecipazione e non di redditi di impresa (o di lavoro autonomo) e nei conti oggetto di indagini bancarie non sono mai affluiti ricavi dell’attività sociale o comunque di attività imprenditoriale o professionale non contabilizzati nelle relative scritture bensì soltanto dividendi”;

il motivo è fondato;

la sentenza impugnata, nonostante menzioni il suddetto motivo di appello (pag. 4: “illegittimità della sentenza nella parte in cui ha omesso di esaminare la questione della imputazione a reddito anche delle somme prelevate dai conti correnti, nonostante la mancanza di alcuna posta attiva riconducibile alla attività della GFC”), omette infatti qualsiasi statuizione sullo stesso, in violazione dell’art. 112 c.p.c.;

con l’undicesimo motivo (lettera B.3 del ricorso), i ricorrenti denunciano, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), l'”omessa pronuncia” della CTR sul motivo di appello che la sentenza della CTP “aveva omesso di esaminare le giustificazioni dei versamenti e dei prelievi nei conti correnti fornite con esauriente documentazione, idonea a superare la presunzione su cui si fondavano gli avvisi di accertamento”;

con il dodicesimo motivo (lettera B.4 del ricorso), i ricorrenti – per il caso in cui la Corte “ritenesse insussistente il vizio di omessa pronuncia sollevato nel precedente motivo in quanto nella sentenza della CTR sarebbe ravvisabile una pronuncia con motivazione esternata mediante adesione all’operato e alle determinazioni dell’Ufficio”

denunciano, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), la nullità della sentenza impugnata “per difetto assoluto di motivazione”, con violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 e dell’art. 111 Cost.;

con il tredicesimo motivo (lettera B.5 del ricorso), i ricorrenti denunciano, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l’omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti, in particolare, dei plurimi fatti da essi addotti a giustificazione delle movimentazioni bancarie poste dall’amministrazione finanziaria a base delle rettifiche e degli avvisi di accertamento;

con il quattordicesimo motivo (lettera B.6 del ricorso), i ricorrenti – in via subordinata, per il caso in cui fosse ritenuta l’inapplicabilità al ricorso avverso le sentenze delle commissioni tributarie regionali dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) come sostituito dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b) – prospettano la doglianza già avanzata con il tredicesimo motivo di ricorso anche in relazione alla formulazione del n. 5) del comma 1 dell’art. 360 c.p.c. antecedente alla menzionata sostituzione;

con il quindicesimo motivo (lettera B.7 del ricorso), i ricorrenti denunciano, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), l'”omessa pronuncia” della CTR sul motivo di appello che la sentenza della CTP “aveva omesso di esaminare la domanda subordinata relativa all’illegittimità dell’operato dell’Ufficio il quale si era limitato a sommare versamenti e prelievi risultanti dai conti correnti senza considerare i costi”, che avrebbe dovuto quantificare induttivamente;

con il sedicesimo motivo (lettera B.8 del ricorso), i ricorrenti denunciano, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), l'”omessa pronuncia” della CTR sul motivo di appello che la sentenza della CTP “aveva omesso di esaminare la domanda subordinata relativa alla nullità, per difetto di motivazione, delle sanzioni applicate dall’Ufficio”;

l’undicesimo e il dodicesimo motivo – i quali, per la loro connessione, devono essere esaminati congiuntamente – sono fondati nei termini che seguono;

dopo avere compiuto una generale disamina sull’onere della prova “(iJn tema di accertamento delle imposte” e, più in particolare, del reddito d’impresa, nonchè sulla funzione del contraddittorio, la CTR ha rigettato il motivo di appello con il quale i ricorrenti avevano lamentato l'”illegittimità della sentenza (della CTP) nella parte in cui ha omesso di esaminare le giustificazioni dei versamenti e dei prelievi nei conti correnti fornite con (…) documentazione idonea a superare la presunzione su cui si fondano gli avvisi di accertamento” (pag. 5 della sentenza impugnata) con la motivazione che “l’Ufficio ha esaminato i documenti bancari presentati, contestando quelli privi di valida giustificazione accettando, sicuramente, le osservazioni in proposito dei rappresentanti del contribuente. Di conseguenza è legittimo il recupero a tassazione di movimenti non giustificati durante il contraddittorio”;

tale motivazione, mancando di qualsiasi autonomo apprezzamento delle analitiche giustificazioni dei movimenti bancari fornite dai contribuenti – che “il giudice di merito è tenuto a(…) verifica(re) rispetto a ogni singola movimentazione, dandone compiutamente conto in motivazione” (Cass., 03/05/2018, n. 10480, 30/06/2020, n. 13112) – e consistendo nella mera e del tutto generica adesione alla valutazione che, delle stesse giustificazioni, era stata data dall’amministrazione finanziaria nel corso del contraddittorio precontenzioso, si connota come meramente apparente, in quanto obiettivamente inidonea a fare conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento;

ciò comporta la nullità della sentenza, in parte qua, per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 132, comma 2, n. 4);

il tredicesimo, il quattordicesimo, il quindicesimo e il sedicesimo motivo sono assorbiti dall’accoglimento dell’undicesimo e del dodicesimo motivo;

in conclusione, la sentenza impugnata va cassata in relazione al quinto, all’ottavo, al decimo, all’undicesimo e al dodicesimo motivo, rigettati i primi quattro motivi, dichiarato inammissibile il nono motivo e assorbiti gli altri, e la causa va rinviata alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, che dovrà: a) quanto all’avviso di accertamento notificato alla G.F.C. s.r.l.: a.1) decidere in merito alla deducibilità delle provvigioni corrisposte dalla stessa G.F.C. s.r.l. alla Elicar S.A. tenendo conto (anche) dei fatti pretermessi indicati nella motivazione di accoglimento del quinto motivo di ricorso; a.2) pronunciarsi sul motivo di appello riguardante la deducibilità della spesa relativa a un viaggio dell’amministratore negli Stati Uniti d’America; b) relativamente agli avvisi di accertamento notificati a C.G. e a M.F.: b.1) pronunciarsi sul motivo di appello che la presunzione prevista dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2) – secondo cui sono posti come “ricavi o compensi”, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e semprechè non risultino dalle scritture contabili, “i prelevamenti” – non potrebbe operare nella fattispecie; b.2) verificare, rispetto a ogni singola movimentazione bancaria, la giustificazione fornita dai contribuenti, dando espressamente conto in sentenza delle relative risultanze; c) provvedere alla liquidazione delle spese del presente giudizio di cassazione.

PQM

accoglie il quinto, l’ottavo, il decimo, l’undicesimo e il dodicesimo motivo, rigetta i primi quattro motivi, dichiara inammissibile il nono motivo e dichiara assorbiti gli altri motivi; rinvia la causa alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 8 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2020

 

 

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