Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25762 del 22/09/2021

Cassazione civile sez. I, 22/09/2021, (ud. 12/05/2021, dep. 22/09/2021), n.25762

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 27200/2020 proposto da:

E.P., rappresentato e difeso dall’Avv. Roberto

Maiorana, in virtù di procura speciale posta in calce al ricorso

per cassazione;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica,

domiciliato ex lege in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso gli

uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato;

– resistente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia n. 1112/2020,

pubblicata in data 22 aprile 2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/05/2021 dal Consigliere CARADONNA Lunella.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

CHE:

1. Con sentenza del 22 aprile 2020, la Corte di appello di Venezia ha rigettato l’appello proposto da E.P., proveniente dalla Nigeria (Edo State), avverso l’ordinanza del Tribunale di Venezia del 23 novembre 2017, che aveva confermato il provvedimento di diniego della Commissione territoriale di Verona delle domande di protezione internazionale ed umanitaria.

2. Il richiedente aveva dichiarato di essere andato via dal paese di origine per evitare ritorsioni da parte degli abitanti del villaggio, adoratori di idoli, che avrebbero imposto a lui e ai suoi familiari, di religione cristiana, di sottoporsi ad un rito pagano, in base al quale avrebbero dovuto bere acqua utilizzata per lavare il cadavere del genitore, al fine di dimostrare di non averlo ucciso.

3. La Corte di appello ha affermato che dalla narrazione del richiedente, peraltro non credibile, non si rinveniva una persecuzione fondata sui motivi legati alla razza, alla nazionalità o all’opinione politica; che il richiedente, nell’invocare assai genericamente l’obbligo di cooperazione istruttoria, non aveva preso posizione in merito alle numerose incongruenze riscontrate nel suo racconto dalla Commissione e dal Tribunale, ma aveva anzi affermato circostanze non conformi a quanto emergeva dalla documentazione in atti e che, in ogni caso, il racconto non era coerente con le stesse fonti richiamate dall’appellante e fuorviante appariva anche la parificazione tra (OMISSIS) e confraternite da un lato e culti tribali dall’altro; i giudici di secondo grado hanno affermato che non sussistevano nemmeno i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, lett. a) e b), in ragione della circostanza che il racconto dell’appellante non appariva credibile o verosimile e di cui alla lett. c) del decreto citato, alla luce delle fonti internazionali specificamente indicate e aggiornate al 2019; quanto alla protezione umanitaria, è stato precisato che, poiché il richiedente si era rivelato inattendibile, la sua storia personale non poteva essere posta a fondamento della protezione umanitaria; e che la situazione del Paese di provenienza escludeva che una persona proveniente dal Sud della Nigeria potesse essere una persona vulnerabile solo in ragione di tale provenienza; non assumevano rilievo, inoltre, né le vicende occorse in Libia, paese di transito, né il diritto di asilo previsto all’art. 10 Cost., comma 3.

4. E.P. ricorre per la cassazione del decreto con atto affidato a tre motivi.

5. L’Amministrazione intimata si è costituita al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa ex art. 370 c.p.c., comma 1.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, sulla credibilità, stante che le motivazioni che avevano spinto il richiedente a lasciare la Nigeria erano ricollegabili alla minaccia subita dagli appartenenti ad una setta di nome “(OMISSIS)” che gli chiedevano di entrare a farvi parte in quanto primogenito di un adepto; che la Corte aveva ripreso l’obiezione del Tribunale che alcuni particolari erano stati riferiti in sede di audizione dinanzi al primo giudice e non in Commissione e che il fenomeno delle sette era desueto.

1.1 I motivo è inammissibile.

1.2 Il ricorrente censura la valutazione di non credibilità della sua vicenda personale, sollecitando, inammissibilmente, la rivalutazione di un apprezzamento di merito, che, nel caso di specie, è stato idoneamente motivato e non è pertanto sindacabile in sede di legittimità (Cass., 5 febbraio 2019, n. 3340; Cass., 12 giugno 2019, n. 15794).

1.3 La Corte di appello ha compiuto il dovuto vaglio delle dichiarazioni del richiedente, anche alla luce delle informazioni relative al paese di provenienza, e, con motivazione esaustiva e completa, le ha ritenute non credibili e comunque inidonee ad integrare i presupposti per la protezione richiesta, evidenziando sia le incongruenze rilevate dalla Commissione e dal Tribunale, sia le ulteriori contraddizioni messe in evidenza dai giudici di secondo grado a pagina 11 della sentenza impugnata, sicché la doglianza costituisce una mera contrapposizione alla valutazione che il giudice di merito ha compiuto nel rispetto dei parametri legali e dandone adeguata motivazione, neppure idoneamente censurata sotto il profilo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

1.4 Non è stato, peraltro, minimamente censurato l’ulteriore iter argomentativo della Corte territoriale, svolto alle pagine 10 e 11 del provvedimento impugnato, avente ad oggetto proprio la ritenuta erronea parificazione tra la setta degli (OMISSIS) e le confraternite da un lato e i culti tribali dall’altro, anche alla luce del fatto che il ricorrente, anche nel ricorso per cassazione, muove dal presupposto, del tutto indimostrato, che egli sia stato minacciato proprio da appartenenti alla setta degli (OMISSIS).

1.5 Ciò nel rispetto della disposizione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, che impone al giudice di verificare se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica indicata dal ricorrente e astrattamente sussumibile in una situazione tipizzata di rischio, sia effettivamente sussistente nel Paese nel quale dovrebbe essere disposto il rimpatrio, con accertamento aggiornato al momento della decisione (Cass., 11 dicembre 2020, n. 28349; Cass., 22 maggio 2019, n. 13897; Cass. 12 novembre 2018, n. 28990) e dell’onere del giudice di merito procedere, nel corso del procedimento finalizzato al riconoscimento della protezione internazionale, a tutti gli accertamenti officiosi finalizzati ad acclarare l’effettiva condizione del Paese di origine del richiedente, avendo poi cura di indicare esattamente, nel provvedimento conclusivo, le parti utilizzate ed il loro aggiornamento (Cass., 20 maggio 2020, n. 9230).

1.6 Del tutto scollegata dalla vicenda personale del ricorrente sono, poi, le pagine dedicate al fenomeno delle sette in Nigeria e specificamente al “Cultismo”, ricavandosi dalle stesse, per converso, una risposta molto attenta dello Stato nigeriano al fenomeno del culto segreto e file attività simili (pag. 10 del ricorso per cassazione).

2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4,5,6 e 14 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8; il difetto di motivazione e il travisamento dei fatti: la Corte non aveva operato il corretto e doveroso bilanciamento tra la situazione vissuta prima della partenza e la situazione raggiunta nel paese ospitante e non vi era stata istruttoria sulle condizioni sociali ed economiche del paese di origine.

3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, avendo omesso ed errato la Corte a non applicare la protezione ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, non potendo essere rifiutato il permesso di soggiorno allo straniero, qualora ricorrano seri motivi di carattere umanitario, nonché del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, che vieta l’espulsione dello straniero che possa essere perseguitato nel suo paese d’origine o che ivi possa correre gravi rischi; l’omessa applicazione dell’art. 10 Cost.; l’omessa valutazione delle fonti informative relativamente alla situazione economica e sociale del paese; l’omesso esame delle condizioni personali per l’applicabilità della protezione umanitaria e della necessaria comparazione tra la condizione raggiunta in Italia e quella del paese di provenienza.

3.1 I motivi, che vanno trattati unitariamente perché riguardano entrambi la domanda di protezione umanitaria, sono inammissibili. 3.2 Ed invero, premessa l’inammissibilità del motivo, formulato mediante la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 5, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione (Cass., 13 dicembre 2019, n. 32952; Cass., 4 ottobre 2019, n. 24901; Cass., 23 ottobre 2018, n. 26874), deve evidenziarsi che il ricorrente non ha censurato specificamente la ratio decidendi posta a fondamento del mancato riconoscimento della protezione umanitaria.

3.3 Il ricorrente fonda, infatti, la propria domanda di permesso umanitario su circostanze che sono state ritenute non credibili dal giudice di merito con argomentazioni adeguate e non sindacabili in sede di legittimità.

3.4 Questa Corte, di recente, ha affermato che, in tema di permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, se è pur vero che la valutazione in ordine alla sussistenza dei suoi presupposti deve essere il frutto di autonoma valutazione avente ad oggetto le condizioni di vulnerabilità che ne integrano i requisiti, tuttavia, la necessità dell’approfondimento da parte del giudice di merito non sussiste se, già esclusa la credibilità del richiedente, non siano state dedotte ragioni di vulnerabilità diverse da quelle dedotte per le protezioni maggiori (Cass., 24 dicembre 2020, n. 29624).

4. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Nessuna statuizione è dovuta per le spese del giudizio di legittimità, poiché l’Amministrazione intimata non ha svolto difese.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 12 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2021

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