Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25761 del 30/10/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 30/10/2017, (ud. 15/06/2017, dep.30/10/2017),  n. 25761

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18512/2012 proposto da:

ANAS S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA ANDREA DELLA VALLE 6,

presso lo studio dell’avvocato NICOLA PALOMBI, che la rappresenta e

difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

F.N., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CRESCENZIO N.

58, presso lo studio dell’avvocato BRUNO COSSU, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato GRAZIA ANNA RIZZI, giusta delega in

atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1238/2011 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 23/01/2012 R.G.N. 301/11;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/06/2017 dal Consigliere Dott. FRANCESCA SPENA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELENTANO Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato NICOLA PALOMBI;

udito l’Avvocato BRUNO COSSU.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Con ricorso al Tribunale di L’Aquila notificato il 22.3.2008 F.N., dipendente di ANAS spa, inquadrato nell’ex 6^ livello del D.P.R. n. 385 del 1991 – poi posizione economica e organizzativa B, con profilo di consollista/programmatore – agiva nei confronti del datore di lavoro per sentire accertare lo svolgimento sin dal 18 giugno 1999 delle mansioni proprie dell’ex settimo livello, poi posizione economica ed organizzativa Al, profilo di Coordinatore Ammonistrativo dell’area Quadri del CCNL 1998-2001 e successivi; chiedeva condannarsi il datore di lavoro all’inquadramento superiore, alla ricostruzione della carriera ed al pagamento delle differenze di retribuzione consequenziali.

Il giudice del lavoro – con sentenza del 15.2.2011 (nr. 23/2001)-rigettava la domanda.

La Corte d’Appello di L’ Aquila, con sentenza del 22.12.2011 – 23.1.2012 (nr. 1238/2011), accoglieva l’appello del lavoratore, dichiarandone il diritto all’inquadramento superiore ed al pagamento delle differenze di retribuzione.

La Corte territoriale rilevava che dalla prova era emerso che nel giugno 1999, a seguito di una riorganizzazione della Area amministrativa della sede compartimentale di L’Aquila, erano stati costituti due uffici: l’ufficio Pensioni e Cause di servizio e l’ufficio del personale, quest’ultimo coordinato dal F.. Egli aveva alle sue dipendenze tre unità operative appartenenti alla posizione B ed era sovraordinato alla sezione distaccata di Pescara, a sua volta con tre unità, di cui una addirittura inquadrata in posizione A1.

L’ufficio si occupava della gestione amministrativa e del trattamento economico del personale del compartimento; il F. coordinava l’attività delle unità addette alla sede compartimentale e siglava l’atto finale, previo controllo, risolveva le questioni e compiva valutazioni discrezionali. Inoltre teneva rapporti esterni con le Direzioni Provinciali del Lavoro, provvedeva alla imputazione dei costi, allo studio della normativa, alla applicazione del software dell’ufficio con proposte di modifica e di intervento nei casi di criticità anche come referente della ditta fornitrice. Tali attività erano svolte con ampio potere decisionale ed assunzione di responsabilità.

Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza la società ANAS spa, articolato in tre motivi ed illustrato con memoria.

Ha resistito con controricorso F.N..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la società ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., in riferimento agli artt. 66 e 67 del CCNL ANAS del 17.5.1999 ed agli artt. 74 e 75 del CCNL ANAS del 18.12.2002 nonchè violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 c.c. e dell’art. 2697c.c..

La società ricorrente – premesso che il profilo superiore richiedeva responsabilità diretta ed autonomia decisionale, con possibilità di coordinamento e controllo di significativi gruppi di risorse umane mentre quello di inquadramento prevedeva autonomia organizzativa ed applicazione di procedure con margine di discrezionalità, con possibilità di coordinamento di gruppi di risorse umane – ha dedotto che dalla prova non erano emerse le caratteristiche proprie del superiore inquadramento riconosciuto.

La teste B.E., dirigente amministrativo nel periodo aprile 2001-giugno 2003, aveva affermato che il F. era sotto-ordinato al responsabile dell’ufficio del personale, che aveva qualifica di quadro A.

Il teste P.S., responsabile delle Risorse Umane della sede di L’Aquila dall’anno 1999, aveva chiarito che l’ufficio del personale era ripartito in diversi settori, i cui responsabili avevano la qualifica B e che il F. si occupava del settore addetto alla rilevazione delle presenze ed al trattamento economico.

Erroneamente, dunque, la sentenza aveva affermato che il F. era responsabile dell’ufficio del personale giacchè tale profilo era rivestito dal P.; dall’istruttoria era emerso che gli atti siglati dal F. erano poi siglati dal P. e solo successivamente firmati dal dirigente.

La applicazione del F. al software dell’ufficio rientrava, poi, tra i compiti del suo profilo di consollista/programmatore; anche i compiti di studio, programmazione, sperimentazione rientravano nelle competenze dell’inquadramento in atto.

Il Giudice del merito, nella corretta interpretazione ed applicazione delle norme contrattuali, avrebbe dovuto riconoscere che la attività di collaborazione del F. era connotata dalla ripetitività delle procedure e dalla abitualità delle questioni mentre il profilo superiore – di coordinatore amministrativo – richiedeva una certa discrezionalità nella partecipazione alla formulazione di direttive per intero l’ufficio (e non la segnalazione di una questione ed il suggerimento della soluzione per un ambito determinato).

Non era emersa la assunzione di responsabilità rilevanti nè la possibilità di assumere decisioni con ampio grado di autonomia.

La inesatta valutazione delle prove aveva determinato la violazione dell’art. 2697 c.c..

L’eventuale svolgimento di alcune soltanto della attività del profilo superiore non era sufficiente per il riconoscimento del diritto al superiore inquadramento ai sensi dell’art. 2103 c.c., occorrendo la pienezza dello svolgimento delle mansioni superiori.

Il motivo è inammissibile.

La parte ricorrente impropriamente denunzia la violazione e falsa applicazione delle norme del contratto collettivo concernenti l’inquadramento del personale mentre si duole, nella sostanza, dell’accertamento da parte del giudice del merito della attribuzione al F. delle responsabilità dell’ufficio del personale, che sarebbero state invece riconosciute ad altro dipendente (tale P.S.), con la conseguenza della mancata attribuzione al F. dell’autonomia decisionale e della discrezionalità proprie del profilo superiore di coordinatore amministrativo riconosciutogli in sentenza.

La censura investe, dunque, un accertamento di fatto (il ruolo svolto dal F. all’interno dell’ufficio del personale e la sua eventuale sotto-ordinazione ad altra figura di responsabile), impugnabile in questa sede di legittimità unicamente sotto il profilo del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5.

Non conduce a risultati diversi in punto di ammissibilità del motivo la sua qualificazione come deduzione di un vizio della motivazione.

E’ carente, invero, la allegazione in ricorso del fatto decisivo il cui esame sarebbe stato omesso dal giudice del merito e delle ragioni della sua decisività così come la deduzione di una eventuale contraddittorietà o insufficienza della motivazione.

La società ricorrente si limita, piuttosto, a censurare la valutazione del giudice del merito, contrapponendo all’accertamento compiuto in sentenza la valorizzazione di elementi di prova diversi da quelli utilizzati dal giudice del merito (che la parte supera come frutto di valutazioni personali dei testi).

In tal modo la società devolve a questa Corte un inammissibile accertamento sul merito dei fatti di causa.

La censura di violazione degli artt. 2697 e 2103 c.c., è egualmente articolata in termini di mera contrapposizione alle conclusioni di merito del giudice dell’appello; il vizio non investe direttamente un profilo di diritto ma denunzia la violazione della norma soltanto quale effetto riflesso della contestazione della valutazione delle risultanze di causa.

2. Con il secondo motivo la società ricorrente ha denunziato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione degli artt. 66 e 67 del CCNL ANAS del 17.5.1999 e degli artt. 74 e 75 CCNL ANAS 18.12.2002.

La società ha trascritto in ricorso le declaratorie dell’ area di inquadramento del ricorrente (area operativa e di esercizio) e, nel suo ambito, della posizione economica ed organizzativa B e del profilo professionale di “consollista/programmatore”; ha altresì riportato le declaratorie della superiore posizione economica ed organizzativa A1 e del profilo di “coordinatore amministrativo”, attribuiti in sentenza.

Ha dedotto che il giudice dell’appello aveva erroneamente ritenuto che lo svolgimento di alcune attività astrattamente riconducibili al profilo superiore attribuisse il diritto al relativo inquadramento mentre non era emerso che tali mansioni fossero state svolte in via autonoma e prevalente e con la assunzione della maggiore responsabilità propria del profilo superiore.

Il motivo è inammissibile.

Parte ricorrente piuttosto che indicare – ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4 – le ragioni del vizio di violazione o di falsa applicazione delle norme del contratto collettivo, individuando le statuizioni della sentenza in cui si ravviserebbe tale vizio, contesta le conclusioni raggiunte dal giudice del merito in punto di responsabilità e di autonomia attribuite al F. ed assume che non sarebbe stata allegata nè provata la prevalenza delle mansioni superiori.

Il motivo si risolve, dunque, al pari del primo motivo, in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni del giudice dell’appello in ordine non già alla applicazione del contratto collettivo ma alla individuazione delle mansioni e delle responsabilità in concreto assegnate al lavoratore.

3. Con il terzo motivo la società ANAS spa ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – insufficiente motivazione della sentenza.

Ha esposto che l’accertamento delle mansioni svolte non era sorretto da una motivazione adeguata ed immune da vizi logici in quanto il controricorrente, contrariamente a quanto affermato in sentenza, non aveva dimostrato la continuità dello svolgimento delle mansioni superiori e la assunzione delle relative responsabilità.

Il motivo è inammissibile.

Per costante giurisprudenza di legittimità l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), nella formulazione vigente anteriormente alle modifiche apportate dal D.L. n. 83 del 2012- (applicabile ratione temporis in ragione della data di pubblicazione della sentenza d’appello) – non conferisce alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’ esame e la valutazione operata dal giudice del merito, al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, e, in proposito, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere, tra le varie risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione. La società ricorrente si limita a contestare genericamente gli esiti di tale valutazione senza individuare alcun fatto non esaminato in sentenza e neppure le affermazioni, relative ad un fatto storico, affette da un vizio logico del percorso argomentativo.

Il ricorso deve essere conclusivamente dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 200 per spese ed Euro 4.000 per compensi professionali oltre spese generali al 15% ed accessori di legge, con attribuzione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2017

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