Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25761 del 15/11/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 25761 Anno 2013
Presidente: FINOCCHIARO MARIO
Relatore: AMBROSIO ANNAMARIA

SENTENZA

sul ricorso 7145-2010 proposto da:
GALVAGNI

SERGIO

GLVSRG42C04L378H,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CRESCENZIO 42, presso lo
studio dell’avvocato VENCESLAI MASSIMILIANO, che lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato MENATO
PAOLO giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013

contro

1922

FRONZA ELVIO FRNLVE33P05C756K;
– intimato –

Nonché da:

1

Data pubblicazione: 15/11/2013

FRONZA

ELVIO

FRNLVE33P05C756K,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA MICHELE MERCATI 51, presso lo
studio dell’avvocato ANTONINI GIUSEPPE, rappresentato
e difeso da se medesimo unitamente all’avvocato
ANTONINI GIUSEPPE giusta delega in atti;

contro

GALVAGNI SERGIO GLVSRG42C04L378H;
– intimato –

avverso la sentenza n. 271/2009 della CORTE D’APPELLO
di TRENTO, depositata il 13/11/2009 R.G.N. 370/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 16/10/2013 dal Consigliere Dott. ANNAMARIA
AMBROSIO;
udito l’Avvocato FRANCESCA MACCIONI per delega;
udito l’Avvocato GIUSEPPE ANTONINI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ANTONIETTA CARESTIA che ha concluso per
il rigetto del ricorso principale assorbito il ricorso
incidentale condizionato.

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– ricorrente incidentale –

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n.1067 del 2007 il Tribunale di Trento
revocava il decreto ingiuntivo n. 597/2000 non opposto nei
termini, emesso ad istanza dell’avv. Elvio Fronza nei
confronti di Sergio Galvagni per il pagamento di

ravvisava la dedotta ipotesi di dolo processuale ai sensi
del n. 1 dell’art. 395 cod. proc. civ. per essere alcuni
corrispettivi, riconosciuti nel suddetto decreto, relativi
alla redazione di un atto di appello, inoltrato in bozza al
cliente dopo la scadenza del termine di impugnazione; non
accoglieva, invece, la domanda accessoria di risarcimento
dei danni; compensava le spese processuali.
La decisione, gravata da impugnazione dell’avv. Fronza in
via principale e di Sergio Galvagni in via incidentale, era
riformata dalla Corte di appello di Trento, la quale con
sentenza in data 13.11.2009, accoglieva l’appello
principale, assorbito quello incidentale, rigettando la
domanda di revocazione; compensava per la metà le spese
processuali, ponendo l’altra metà a carico del Galvagni.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione
Sergio Galvagni, svolgendo due motivi.
Ha resistito l’avv. Fronza, depositando controricorso e
svolgendo, a sua volta, ricorso incidentale condizionato.
Parte resistente ha altresì depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente si dà atto della riunione del ricorso
principale e incidentale avverso la medesima sentenza,

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18.382,407, a titolo di compensi professionali. Il Tribunale

giusta il disposto dell’art. 335 cod. proc. civ..
L’esame deve muovere dal ricorso principale, atteso che
quello

incidentale

all’accoglimento,

anche

è

formalmente
parziale,

subordinato

dell’impugnazione

dell’altra parte.

o falsa applicazione dell’art. 395 n.1 cod. proc. civ. (art.
360 n.3 cod. proc. civ.). Al riguardo parte ricorrente
lamenta che la Corte territoriale non abbia recepito
l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale per aversi
dolo processuale revocatorio è indispensabile verificare la
lesione del diritto di difesa della parte lesa, nonché
l’effetto di siffatto comportamento sulla decisione
giudiziale; il tutto valutato in relazione alle circostanze
del caso concreto.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia omessa,
insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto
controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 n.5 cod.
proc. civ.), nonché violazione o falsa applicazione degli
artt. 2697, 2702, 2730 cod. civ. e 115 cod. proc. civ. (art.
360 n.3 cod. proc. civ.). Il ricorrente formula plurime
censure nei confronti del Giudice di appello e segnatamente:
di non aver tenuto conto delle circostanze documentali da
cui risultava che con il ricorso monitorio erano richieste
anche le competenze per l’atto di appello intempestivo; di
non aver rilevato elementi presuntivi in ordine al dolo
revocatorio del professionista, segnatamente nella lettera
datata 09.08.1999 inviata allorchè il termine per l’appello

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1.1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione

era ormai scaduto e costituente

«un evidente tentativo di

precostituire nel confronti del cliente una difesa idonea a
nascondere la verità»;

di non avere preso in considerazione

la confessione giudiziale dell’avv. Fronza, il quale avrebbe
ammesso di essere stato a conoscenza del passaggio in

due testimonianze, provenienti dallo stesso avversario ) da
cui si evincerebbero elementi di conferma dell’esistenza del
dolo revocatorio.
2. I motivi – che, per la loro evidente connessione
fattuale, logica e giuridica, si prestano ad un esame
congiunto – sono infondati, avendo la sentenza impugnata
fatto corretta applicazione dell’art. 395 cod. proc. civ. in
relazione alla fattispecie concreta, siccome ricostruita con
valutazioni congrue e logiche.
Si osserva, innanzitutto, in conformità a costante
giurisprudenza (S.U. n. 9213/1990, e, fra le molte, Cass.
nn. 888/2001, 5068/1995, 7576/1994, 4833/1991, 1128/1987),
che il dolo processuale di una delle parti in danno
dell’altra in tanto può costituire motivo di revocazione
della sentenza, ai sensi dell’art. 395, n. l, cod. proc.
civ., in quanto consista in un’attività deliberatamente
fraudolenta, concretantesi in artifici o raggiri tali da
paralizzare o sviare la difesa avversaria e impedire al
giudice l’accertamento della verità, facendo apparire una
situazione diversa da quella reale. Di conseguenza, non sono
idonei a realizzare la fattispecie descritta la semplice
allegazione di fatti non veritieri favorevoli alla propria

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giudicato della sentenza; di non avere, infine, esaminato

tesi, il silenzio su fatti decisivi della controversia o la
mancata produzione di documenti, che possono configurare
comportamenti censurabili sotto il diverso profilo della
lealtà e correttezza processuale, ma non pregiudicano il
diritto di difesa della controparte, la quale resta

dall’ordinamento al fine di pervenire all’accertamento della
verità (Cass. 19 settembre 2008, n. 23866; Cass. 12 febbraio
2013, n. 3488).
Per integrare la fattispecie del dolo processuale
revocatorio ai sensi dell’art. 395 cod. proc. civ., n. 1,
non è, dunque, sufficiente la sola violazione dell’obbligo
di lealtà e probità previsto dall’art. 88 cod. proc. civ.,
né, in linea di massima, sono di per sé sufficienti il
mendacio, le false allegazioni o le reticenze, ma si
richiede un’attività intenzionalmente fraudolenta che si
concretizzi in artifici o raggiri subiettivamente diretti e
oggettivamente idonei a paralizzare la difesa avversaria e a
impedire al giudice l’accertamento della verità. (Cass. 26
gennaio 2004, n. 1369). In particolare se è vero che,
secondo un orientamento peraltro risalente nel tempo (cfr.
Cass., S.U., n. 9213 del 1990), anche il silenzio su fatti
decisivi può integrare gli estremi del dolo processuale
revocatorio, è pur vero che ciò può avvenire soltanto a
condizione che esso costituisca elemento essenziale di
un’attività diretta a trarre in inganno la controparte e
idonea, in relazione alle circostanze, a sviarne o
pregiudicarne

la

difesa

e

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a

impedire

al

giudice

pienamente libera di avvalersi dei mezzi offerti

l’accertamento della verità. Ne consegue che il silenzio può
configurare dolo revocatorio della sentenza, ai sensi del
comma l, n. 1, dell’art. 395 cod. proc. civ., solo se
rappresenti elemento di una macchinazione fraudolenta, che
abbia concretamente inciso sul contraddittorio e sul diritto

29 gennaio 2002, n. 1155).
2.1. Nulla di tutto ciò risulta essersi verificato nel
caso di esame, in cui il comportamento incriminato si è
concretato nell’omettere al giudice del monitorio che alcuni
compensi richiesti con il ricorso per ingiunzione (disamina,
redazione e carteggio) si riferivano ad un atto di appello
per il quale era già scaduto il termine per la sua
proposizione. A tal riguardo la Corte di appello ha escluso
che sia stata acquisita la dimostrazione che «l’avv. Fronza
abbia agito in perfetta mala fede con la piena
consapevolezza di danneggiare volutamente e coscientemente
11 cliente al fine di lucrare somme non dovute»

(e

precisamente per la fase di appello, la somma corrispondente
ad attuali 820,13), sottolineando che, a tali effetti, non
era sufficiente dimostrare che il difensore avesse ottenuto
un compenso non dovuto – come semplicisticamente ritenuto
dal primo giudice – ma occorreva la prova, incombente sulla
parte istante in revocazione, che tale risultato fosse il
frutto di un’attività coscientemente e volutamente diretta
ad ingannare.
In base a tale corretto approccio ermeneutico, nel quale
sono nettamente distinti la prova dell’errore in cui era

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di difesa o, comunque, sull’accertamento della verità (Cass.

incorso l’avvocato (per non avere correttamente valutato i
tempi occorrenti per la presentazione dell’appello ovvero
per avere dimenticato la data di scadenza dell’impugnazione
o anche per avere calcolato erroneamente il termine di
impugnazione) dalla prova del dolo (intesa come

giudice del monitorio e della controparte in ordine alla
spettanza delle competenze professionali, nel senso,
evidentemente di dissuadere quest’ultima dal proporre
tempestiva opposizione), la Corte di appello ha, in
particolare, evidenziato come la lettera in data 09.08.1999
(con cui l’avv. Fronza inviava al cliente la bozza dell’atto
di appello di cui si controverte a termine ormai scaduto) lungi dal prefigurarsi come strumento della macchinazione
del professionista a danno del cliente – era più agevolmente
ascrivibile all’errore di cui si è detto; tanto più che
l’atto di appello, per essere stato allegato alla stessa
lettera, doveva essere stato predisposto in precedenza.
2.2. Gli argomenti di segno contrario di parte convenuta secondo cui, al momento dell’invio della suddetta lettera,
l’avv. Fronza era perfettamente consapevole dell’errore in
cui era incorso, tanto da avere “confessato” in sede di
interrogatorio formale di non avere notificato l’atto perché
si era accorto che i termini per l’appello erano già scaduti
al momento del conferimento dell’incarico – prima ancora che
rivelarsi meramente alternativi rispetto alle diverse
valutazioni della Corte territoriale, eludono il nucleo
centrale della decisione impugnata, sovrapponendo ed

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comportamento fraudolento diretto a provocare l’errore del

equivocando la prova dell’errore in cui è incorso il legale
circa la scadenza del termine di proponibilità dell’appello
(questione, questa, da prospettarsi in sede di opposizione
all’ingiunzione, come ragione di responsabilità del
professionista) con la prova del dolo, la quale avrebbe

(la redazione della bozza, la lettera al cliente ecc) si
CAAA,

inserissero in Vdisegno fraudolento diretto a impedire al
giudice l’accertamento della verità e a sviare la difesa
della controparte inducendola a non proporre opposizione; il
che è stato escluso dai giudici di appello con una
motivazione sufficiente, coerente e rispettosa della
normativa interessata, interpretata in coerenza con il
consolidato orientamento di questa S.C. come sopra
richiamato.
In definitiva i suddetti motivi, così come articolati, pur
lamentando formalmente un difetto di motivazione e
violazione di legge, sono ben lungi dal prospettare un vizio
della sentenza gravata, rilevante sotto il profilo di cui ai
nn.3 e 5 dell’art. 360 cod. proc. civ. e mirano, anche
attraverso la surrettizia deduzione del malgoverno delle
norme in tema di interpretazione delle prove, a sollecitare
null’altro che una diversa lettura delle risultanze
procedimentali così come accertate e ricostruite
nell’impugnata sentenza.
Il

ricorso va,

rigettato,

dunque,

risultando,

di

conseguenza, assorbito il ricorso incidentale condizionato.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in

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richiesto la dimostrazione che le attività di cui si è detto

dispositivo alla stregua dei parametri di cui al D.M. n. 140
del 2012, seguono la soccombenza.
P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi;
principale,

rigetta il ricorso

assorbito quello incidentale condizionato;

del giudizio di cassazione, liquidate in C 4.700,00 (di cui
C 200,00 per esborsi) oltre accessori come per legge.
Roma 16 ottobre 2013

condanna il ricorrente principale al rimborso delle spese

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