Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25759 del 22/09/2021

Cassazione civile sez. I, 22/09/2021, (ud. 05/05/2021, dep. 22/09/2021), n.25759

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15256/2020 proposto da:

S.W., rappresentato e difeso dall’avvocato Giuseppe Briganti,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositato il 19/02/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

05/05/2021 da FALABELLA MASSIMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – E’ impugnato per cassazione il decreto del Tribunale di Ancona del 19 febbraio 2020. Con quest’ultima pronuncia è stato negato che al ricorrente, S.W. potesse essere riconosciuto lo status di rifugiato ed è stato altresì escluso che lo stesso potesse essere ammesso alla protezione sussidiaria e a quella umanitaria.

2. – Il ricorso per cassazione si fonda su quattro motivi. Il Ministero dell’interno, intimato, non ha notificato controricorso, ma ha depositato un “atto di costituzione” in cui non è svolta alcuna difesa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo denuncia la nullità del decreto per violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, commi 1, art. 11, lett. a), e art. 13, e degli artt. 737 e 135 c.p.c., art. 156 c.p.c., comma 2, nonché dell’art. 106 Cost., comma 2, art. 111 Cost., comma 6 e L. n. 46 del 2017, art. 2.

Rileva il ricorrente che la motivazione posta a fondamento della propria non credibilità sarebbe omessa o comunque apparente.

E’ da osservare, in proposito, che il Tribunale ha ritenuto le dichiarazioni del richiedente asilo – incentrate sulla involontaria sua causazione di un incendio, sulla successiva denuncia alla polizia del proprietario del campo che era stato distrutto, sull’arresto che ne era seguito e sulla pretesa risarcitoria avanzata dal danneggiato, “pena la sua carcerazione a vita” – non attendibili: ha evidenziato che S. non era stato in grado di circostanziare la vicenda, attraverso l’indicazione di nomi dei tempi e dei luoghi relativi ai fatti oggetto della narrazione che dovevano ritenersi essenziali e determinanti l’espatrio e che non era inoltre emerso un vero sforzo del medesimo volto alla specificazione della domanda. Ha aggiunto che dette dichiarazioni, ove pure credibili, resterebbero confinate nei limiti di una vicenda di vita privata e di giustizia comuni e ha escluso che esistesse una condizione effettiva di pericolo direttamente riferibile al ricorrente, il quale avrebbe dovuto richiedere la protezione delle autorità del proprio paese.

Ciò detto, il giudizio espresso dal Tribunale è pienamente idoneo a sorreggere la decisione impugnata, sotto il profilo che qui interessa. In tema di protezione internazionale, l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5 lett. a), essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati. La valutazione di non credibilità del racconto, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito il quale deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, il D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c), ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate (Cass. 30 ottobre 2018, n. 27503). Non si vede perché il rilievo, formulato dal giudice del merito, quanto alla genericità delle dichiarazioni rese debba ritenersi solo apparente, a fronte di un dato che è intrinsecamente idoneo a dar ragione dell’esatto contrario: e cioè della mancanza, nelle suddette dichiarazioni, dell’indicazione dei nomi delle persone coinvolte nella vicenda, oltre che della rappresentazione delle circostanze di tempo e di luogo della stessa.

L’istante si duole, poi, dell’affermazione, contenuta nel provvedimento impugnato, secondo cui le proprie dichiarazioni, “anche laddove credibili”, resterebbero confinate nei limiti della vicenda di vita privata e di giustizia comune. Tale rilievo, ad avviso del ricorrente, non può ritenersi dirimente nelle situazioni in cui le locali istituzioni non siano in grado di offrire idonea ed effettiva protezione rispetto a vicende private o non vogliono fornire tutela al richiedente asilo.

Tale censura è inammissibile, giacché integra una ratio decidendi ulteriore rispetto a quella basata sulla genericità e inattendibilità del racconto: qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, il mancato accoglimento delle censure mosse ad una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (per tutte: Cass. 18 aprile 2017, n. 9752; Cass. 14 febbraio 2012, n. 2108).

Con riferimento alla domanda di protezione umanitaria assume l’istante che il provvedimento impugnato non evidenzierebbe le ragioni logiche e giuridiche che dovrebbero sottendere l’effettiva valutazione comparativa richiesta dalla sentenza n. 4455 del 2018 di questa Corte. Osserva, in particolare, che il percorso migratorio di esso richiedente non era stato preso nella debita considerazione e che non erano state valutate, in particolare, le gravi torture da lui subite in Libia.

Si legge nel provvedimento impugnato che dalla relazione medico legale prodotta dal ricorrente, e in mancanza di differenti risultanze, la Commissione aveva disposto un accertamento medico per verificare se l’edentulia completa del ricorrente fosse, come riferito dallo stesso, diretta conseguenza delle torture subite in Libia; ha aggiunto che il sanitario aveva escluso, su un piano di verosimiglianza, la causa traumatica delle detta edentulia, prescrivendo ulteriori accertamenti cui l’interessato non risultava essersi sottoposto.

Il ricorrente richiama, al riguardo, la documentazione medica allegata al ricorso da cui emerge “l’assenza di residui radicolari e un’atrofia ossea, quadro che escluderebbe verosimilmente la causa traumatica”.

Ora, ai fini della protezione umanitaria possono essere certamente prese in considerazione le violenze subite nel paese di transito e di temporanea permanenza del richiedente asilo: tali violenze devono risultare però potenzialmente idonee, quali eventi in grado di ingenerare un forte grado di traumaticità, ad incidere sulla condizione di vulnerabilità della persona (Cass. 11 febbraio 2021, n. 3583; Cass. 2 luglio 2020, n. 13565; Cass. 15 maggio 2019, n. 13096). Ora, il provvedimento impugnato si fonda su di un accertamento, fondato su di un giudizio di verosimiglianza – come tale non contestabile nella presente sede – che esclude il dato della tortura.

Ulteriore censura formulata nel corpo del motivo è basata sul rilievo per cui non sarebbe stato svolto “un nuovo, completo colloquio avanti al Tribunale”, e cioè “un esaustivo interrogatorio libero che potesse supplire alla mancanza di videoregistrazione del colloquio presso la Commissione territoriale”; sempre con riferimento all’audizione del ricorrente si oppone, poi, che l’udienza in cui ha avuto luogo detta audizione sia stata tenuta da un GOT a ciò delegato.

Con riferimento alla seconda doglianza è sufficiente ricordare non essere affetto da nullità il procedimento nel cui ambito un giudice onorario di tribunale, su delega del giudice professionale designato per la trattazione del ricorso, abbia proceduto all’audizione del richiedente la protezione ed abbia rimesso la causa per la decisione al collegio della Sezione specializzata in materia di immigrazione, atteso che, ai sensi del D.Lgs. n. 116 del 2017, art. 10, commi 10 e 11, tale attività rientra senza dubbio tra i compiti delegabili al giudice onorario in considerazione della analogia con l’assunzione dei testimoni e del carattere esemplificativo dell’elencazione ivi contenuta (Cass. Sez. U. 26 febbraio 2021, n. 5425). La censura basata sulla rinnovazione dell’audizione risulta essere poi inammissibile, in quanto, a fronte dell’espletamento dell’incombente avanti al Tribunale (cfr. la trascrizione del relativo verbale, a pag. 72 del ricorso per cassazione) l’istante non indica le norme processuali che nella fattispecie sarebbero state violate, né chiarisce se e in che modo il giudice del merito sia incorso in un vizio motivazionale: e del resto, l’istante nemmeno spiega quali siano i punti della propria vicenda personale che il Tribunale avrebbe dovuto approfondire nel corso del disposto interrogatorio.

2. – Il secondo mezzo oppone l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione.

Il motivo è da disattendere con riguardo a tutti i fatti che in esso vengono menzionati. Gli accadimenti relativi alla vicenda personale del richiedente sono stati presi in considerazione, ma sono stati reputati inidonei a giustificare il positivo giudizio di credibilità di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, in quanto – come si è visto – la narrazione dell’istante risultava, al riguardo, inattendibile. La capacità del Gambia, Stato di provenienza del ricorrente, di offrire effettiva protezione costituisce elemento privo di decisività, a fronte della ritenuta non credibilità del richiedente; tanto vale anche per il denunciato omesso esame del “reato di rendersi irreperibile all’Autorità”. Le evidenze della documentazione medica prodotta sono state prese in considerazione dal giudice del merito. La deduzione dell’omesso esame degli elementi, verbali e non verbali, della narrazione del richiedente e del tutto priva di specificità, e come tale inammissibile. L’omesso esame comparativo degli elementi di vulnerabilità concernenti la persona del ricorrente non ricorre, ove si consideri, per un verso, che il Tribunale ha dato atto che, sulla base del quadro probatorio acquisito, non risultavano patologie o problematiche a carico del richiedente asilo e che, per altro verso, ai fini che qui interessano non possono rilevare situazioni allegate in termini generici ed astratti (come il lungo percorso migratorio o lo sradicamento dal paese di origine), inidonee, come tali, a definire una vera e propria situazione di privazione dei diritti umani.

3. – Col terzo motivo è lamentata la violazione o falsa applicazione dell’art. 2 Cost., art. 10 Cost., comma 3 e art. 32 Cost., L. n. 881 del 1977, art. 11,D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8, 9, 10, 13, 27, 32 e art. 35 bis, comma 11, lett. a), dell’art. 16 dir. 2013/32/UE, nonché, 2, 3 – anche in relazione all’art. 115 c.p.c., D.Lgs. n. 351 del 2007, artt. 5, 6,7 e 14, e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 2.

Il motivo costituisce parziale ripetizione di deduzioni svolte nei due precedenti mezzi di censura.

Il ricorrente si duole, anzitutto, del giudizio di non credibilità formulato dal Tribunale ed assume che questo avrebbe adottato generiche clausole di stile omettendo di confrontarsi con la specifica vicenda da lui narrata. Già si è detto, però, che il decreto impugnato bene ha spiegato le ragioni per le quali la non circostanziata narrazione del richiedente fosse inidonea a fondare la domanda di protezione internazionale da lui proposta. E già si è precisato che l’assenza di specificità del racconto rende priva di decisività la successiva affermazione del Tribunale vertente sulla natura “privata” della vicenda stessa.

Parimenti non conferenti, in base a quanto precisato trattando del secondo motivo, sono le deduzioni formulate con riguardo all’audizione del richiedente, che è stata rinnovata avanti al Tribunale. Mette solo conto di aggiungere che non appare pertinente il richiamo alla sentenza Corte giust. UE 26 luglio 2017, C-348/16, Moussa Sacko, da momento che in questa sede non si fa questione della necessità, da parte del giudice del merito, di far luogo all’audizione del richiedente che abbia già avuto facoltà di rendere le proprie dichiarazioni davanti alla commissione territoriale: come si è osservato, nella fattispecie in esame, il Tribunale ha effettivamente proceduto a un nuovo interrogatorio dell’istante.

Nel motivo si fa poi questione delle carenze dell’attività istruttoria ufficiosa demandata al giudice del merito e, segnatamente, del fatto che il decreto impugnato citerebbe fonti non aggiornate. La censura riguarda il rispetto dei diritti umani in Gambia e inerisce, quindi, elle domande aventi ad oggetto il riconoscimento dello status di rifugiato e la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e lett. b). Una volta esclusa, per le ragioni anzidette, che il racconto del richiedente potesse dirsi provato, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, la Corte di merito non aveva alcun motivo dir riconoscere al ricorrente il richiamato status o la nominata forma di protezione. Si rileva, in proposito, che la prima forma di tutela esige che si dia conto di una personalizzazione del pericolo di essere fatto oggetto di persecuzione per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica: ciò che nel caso in esame deve evidentemente escludersi. Con riguardo alle fattispecie tipizzate dall’art. 14, lett. a) e lett. b), è necessario invece osservare che l’esposizione dello straniero al rischio di morte o a trattamenti inumani e degradanti deve pur sempre rivestire un certo grado di individualizzazione (cfr.: Cass. 20 giugno 2018, n. 16275; Cass. 20 marzo 2014, n. 6503; cfr. pure Cass. 19 giugno 2020, n. 11936; Cass. 3 luglio 2020, n. 13756). Ne’ decisivo si rivela, in tale prospettiva, il dato della spendita, da parte del giudice, dei noti poteri di cooperazione istruttoria che devono trovar spazio nelle controversie in tema di protezione internazionale: una acquisizione di informazioni generali sul paese di origine si manifestava inutile proprio in quanto il rischio prospettato dall’istante, siccome correlato a fatti non dimostrati, difettava di concretezza e non avrebbe potuto comunque mai presentare il richiesto grado di personalizzazione.

Il motivo lamenta pure che il decreto mancherebbe della valutazione comparativa richiesta con riguardo alla protezione umanitaria. Tale deduzione si mostra priva di aderenza alla pronuncia del Tribunale, che ha non solo escluso la condizione di vulnerabilità del richiedente, ma, altresì, l’effettiva integrazione dello stesso in Italia (precisando, al riguardo, che a tal fine non potevano reputarsi sufficienti né la buona conoscenza della lingua italiana, né lo svolgimento di un’attività lavorativa nel nostro paese, né la circostanza per cui l’interessato non aveva riportato condanne penali). E’ evidente, quindi, che il decreto impugnato abbia proceduto, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite, ad operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza (Cass. Sez. U. 13 novembre 2019, n. 29459).

4. – Il quarto motivo censura la sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione degli artt. 6 e 13 CEDU, dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e dell’art. 46 dir. 2013/32/UE.

Il motivo si risolve nell’affermazione del principio per cui al richiedente va assicurato un procedimento che preveda l’esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto della propria domanda di protezione internazionale, con obbligo, da parte del giudice, di cooperare nella raccolta e nella valorizzazione degli elementi atti a sostenere la domanda stessa.

Il motivo è inammissibile: esso pecca di totale astrattezza e, del resto, pare evocare argomenti già spesi nei precedenti motivi di ricorso.

5. – Il ricorso è respinto.

6. – Non vi sono spese da liquidare.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della la Sezione Civile, il 5 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2021

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