Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25755 del 15/11/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 25755 Anno 2013
Presidente: PETTI GIOVANNI BATTISTA
Relatore: AMBROSIO ANNAMARIA

SENTENZA

sul ricorso 8128-2010 proposto da:
MIGLIACCIO FRANCESCO MGLFNC28A10F799T, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA SISTINA 121, presso lo studio
dell’avvocato MONETTI FRANCESCO, rappresentato e
difeso dall’avvocato CONCETTA PAPA giusta delega in
.41t

atti;

4

– ricorrente –

2013

contro

1815

DI GREGORIO RITA DGRRTI49E60B781Q,
PASQUALINA

DI

DGRPQL46P42B781C,

DI GREGORIO

GREGORIO

EMILIA

DGRMLE53E68B781N, elettivamente domiciliate in ROMA,

1

Data pubblicazione: 15/11/2013

VIA BLUMENSTIHL 55, presso lo studio dell’avvocato
BINDOCCI CATERINA, che le rappresenta e difende
unitamente all’avvocato MACARONE PALMIERI GIOVANNI
giusta delega in atti;
– controricorrenti

di NAPOLI, SEZIONE AGRARIA, depositata il 30/11/2009,
R.G.N. 3051/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 03/10/2013 dal Consigliere Dott. ANNAMARIA
AMBROSIO;
udito l’Avvocato CATERINA BINDOCCI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ANTONIETTA CARESTIA che ha concluso per
il rigetto del ricorso;

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avverso la sentenza n. 3050/2009 della CORTE D’APPELLO

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza in data 09/11 luglio 2008 il Tribunale di S.
Maria Capua Vetere, sez. specializzata agraria – decidendo
sulle cause riunite proposte da Francesco Migliaccio nei
confronti di Rita, Emilia e Pasqualina De Gregorio, aventi ad

203/1982, nonchè opposizione a rilascio del fondo, già
detenuto a titolo di mezzadria dal Migliaccio – accoglieva la
domanda di migliorie condannando le concedenti al pagamento di
C 22.850, oltre interessi e spese di lite, correlativamente
accertando il diritto del Migliaccio alla ritenzione del
fondo.
La decisione, gravata da impugnazione da parte di Rita,
Emilia e Pasqualina De Gregorio, era riformata dalla Corte di
appello di Napoli sez. specializzata agraria, la quale con
sentenza in data 30.11.2009 rigettava la domanda di indennizzo
ex art. 17 legge n. 203/1982 e dichiarava l’insussistenza del
diritto di ritenzione del fondo, compensando interamente le
spese processuali tra le parti.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione
Francesco Migliaccio, svolgendo tre motivi.
Hanno resistito Rita, Emilia e Pasqualina De Gregorio,
depositando controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La Corte di appello – pur dando atto della conformità

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oggetto il pagamento di migliorie ex art. 17 legge n.

del nuovo frutteto realizzato dal Migliaccio alle prescrizioni
date dall’IPA – ha, tuttavia, negato la fondatezza della
domanda di pagamento delle migliorie, per non avere il
Migliaccio fornito la prova in ordine alle

«modalità, i

termini e il risultato di tale sua attività sul terreno».

In

sulla richiesta di prova testimoniale, peraltro formulata
nell’atto introduttivo senza indicazione dei testimoni, e che
la espletata c.t.u. non poteva supplire a tale inerzia
probatoria: ciò in quanto, al momento delle operazioni
peritali, il pescheto, impiantato dal Migliaccio, era stato
spiantato dall’avente causa delle originarie concedenti, per
cui il consulente non aveva “accertato” le presunte migliorie,
ma aveva tratto i fatti rilevanti ai fini della decisione
(numero e tipo di alberi impiantati, stato di salute delle
piante, produttività ecc.) dalla perizia proveniente dalle
stessa parte istante, senza neppure prendere in considerazione
i rilievi del c.t. di parte resistente che, pur dando atto
dell’impianto del nuovo pescheto

«metteva al contempo in

evidenza una serie di deficienze nella sistemazione del
terreno e il decadimento fisiologico di molte delle piante
escludendo che l’intervento del Migliaccio garantiva una
agricoltura redditizia di lungo e medio termine».
1.1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione
dei legge ai sensi art. 360 n.3 cod. proc. civ. in relazione

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particolare ha osservato che l’attore non aveva insistito

agli artt. 16 e 17 L. n. 203/1982, nonché

«vizio di

motivazione» ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ..
A tal riguardo parte ricorrente – premesso che il diritto
all’indennità ai sensi dell’art. 17 della legge n. 203/1982
trova fondamento nel consenso del concedente ovvero

osserva che «la legittimità delle opere» è pacifica e che la
stessa Corte territoriale ha dato atto della loro
realizzazione, nonché della correttezza della procedura
amministrativa; di conseguenza non vi sarebbe alcuna carenza
di prova.
1.2. Con secondo motivo di ricorso si denuncia omessa
insufficiente e contraddittoria motivazione ai sensi dell’art.
360 n. 5 cod. proc. civ. in riferimento agli artt. 16, 17 e 20
L. 203/1982 e 2700 cod. civ. e 2697 cod. civ.. Al riguardo
parte ricorrente lamenta che la Corte territoriale, da un
lato, abbia dato atto che esistevano le condizioni
legittimanti il diritto di indennizzo e, dall’altro, si sia
contraddetta, allorché ha ritenuto che non vi fosse «la prova
sulla realizzazione delle opere»,

sul presupposto

dell’insufficienza dei dati emergenti dalla c.t.u., utilizzati
dal giudice di prime cure. In contrario senso osserva: che la
prova dell’impianto di n. 1250 alberi di pesco si evinceva
dalle allegazioni di parte resistente; che la stessa Corte di
appello ne ha dato atto; che in ogni caso soccorrono a tal

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c9011

nell’autorizzazione sostitutiva dell’organo amministrativo –

riguardo le emergenze dell’atto pubblico, rappresentato dal
verbale di rilascio redatto dall’ufficiale giudiziario; che il
c.t.u. nelle note di chiarimento aveva precisato che al
momento del rilascio il pescheto presentava un’età di sei
anni; che in definitiva il compito del c.t.u. era solo quello

1.3. Con il terzo motivo si denuncia omessa e insufficiente
motivazione su un punto decisivo della controversia. In
particolare il ricorrente lamenta che la Corte territoriale
non abbia preso iAl, considerazione il già cit. verbale di
rilascio del fondo, redatto dall’ufficiale giudiziario e abbia
altresì ignorato che la relazione di c.t.u. era stata svolta
sulla scorta degli atti di causa; osserva, quindi, che non era
compito del c.t.u. prendere in considerazione i rilievi del
c.t. di parte resistente.
2. I motivi di ricorso, in parte ripetitivi e, comunque,
strettamente connessi, sollecitano una trattazione in buona
parte congiunta.
Invero tutte le censure sopra riassunte si caratterizzano
per l’evidente elusione della ratio della decisione impugnata,
la quale – muovendo dal rilievo che il c.t.u. non aveva potuto
“accertare” le opere realizzate dal Migliaccio – ha
evidenziato la sostanziale inutilità del ricorso alla
relazione del consulente, non avendo il tecnico sicuramente
svolto un’attività “percipiente”, ma neppure “deducente”,

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di quantificare le migliorie come risultanti dagli atti.

atteso il mancato riscontro di elementi idonei per la
valutazione delle migliorie. Ciò in quanto «i

fatti che 11

Migliaccio avrebbe dovuto provare e che 11 c.t.u. avrebbe
dovuto accertare (numero e tipo di alberi impiantati, stato di
salute delle piante, produttività delle stesse, criteri di

risultavano desunti dal c.t.u. dalla (sola) perizia della
stessa parte istante, di modo che, anche in considerazione dei
rilievi di segno contrario del c.t. di parte delle concedenti,
non vi era prova o almeno non vi era prova adeguata in ordine
all’effettività ed entità del miglioramento del fondo.
4.1. In via di principio si rileva che l’indennità
spettante all’affittuario che ha eseguito i miglioramenti deve
essere commisurata sia alla stregua della normativa
codicistica (art. 1633 cod. civ.) che di quella speciale (art.
15, 2 ° comma, 1. n. 11 del 1971 e 17, 2 ° comma, l. n. 203 del
1982) – all’aumento di valore conseguito dal fondo e
sussistente al momento della cessazione del rapporto di
affitto e postula, quindi, a carico dell’affittuario medesimo,
la prova non solo dell’avvenuta effettuazione delle opere, ma
anche dello stabile accrescimento derivato alla produttività
del fondo e del conseguente incremento di valore (cfr. Cass.
28 novembre 1988, n. 6399; Cass. n. 5426 del 1983).
Orbene,

contrariamente

a

quanto

opinato da parte

ricorrente, la Corte di appello non ha posto in discussione

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coltivazione, osservanze delle regole agrotecniche)»

«la legittimità delle opere» eseguite dal Migliaccio (avendo,

anzi, specificamente dato conto della conformità del nuovo
impianto all’autorizzazione dell’Ispettorato, posto che sia
l’albicoccheto, per cui era stata rilasciata l’autorizzazione,
sia il pescheto, effettivamente impiantato dal Migliaccio,

evidenziato il difetto di prova sul “risultato”, id est che la
realizzazione delle opere in questione si sia effettivamente
risoltotin un apporto qualitativo non contingente del fondo di
cui trattasi.
In sostanza le censure di violazione di legge risultano
manifestamente infondate alla luce dei principi sopra esposti
sui fatti costitutivi della pretesa dell’indennizzo e dei
contenuti dell’onere probatorio incombente sulla parte
istante; le stesse censure, al pari di quella di vizio
motivazionale, si rivelano altresì eccentriche rispetto alle
ragioni della decisione, incentrate sul rilievo della carenza
di prova di un effettivo miglioramento del fondo.
4.2. Non appare superfluo aggiungere, con più specifico
riferimento alla deduzione di plurime violazioni di legge
prospettate nell’ambito del secondo motivo con riferimento
all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., che il vizio motivazionale
può concernere esclusivamente l’accertamento e la valutazione
di fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia,
non anche la interpretazione o la applicazione di norme

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appartengono alla famiglia delle drupacee), ma ha piuttosto

giuridiche (cfr. tra le tante Cass. 15 febbraio 2005 n. 3038,
Cass. 6 agosto 2003 n. 11883; Cass. 10 novembre 2004 n.
21377).
D’altra parte – pur se riguardate in relazione all’art. 360
n. 3 cod. proc. civ. – le censure si rivelano manifestamente

argomentazioni in diritto sulla denunziata violazione
dell’art. 2697 cod. civ. nel senso inteso dalla giurisprudenza
di legittimità in tema di motivi

ex art. 360 n.3 cod. proc.

civ. e cioè, non lamenta che il giudice abbia attribuito
l’onere della prova a una parte diversa da quella che ne è
gravata, secondo le regole dettate da quella norma e neppure
assume che siano stati assunti dati contrastanti da quelli
emergenti da atto pubblico. In particolare l’unico dato su
cui, in sostanza, insiste parte ricorrente (e cioè l’avere
affermato l’ufficiale giudiziario, in sede di rilascio del
fondo, che esistevano n. 1250 alberi di pesco) non rivela
alcuna incongruenza logica o giuridica nell’impianto
argomentativo della decisione impugnata, atteso che la Corte
territoriale ha sottolineato che il novero dei dati fattuali
da provare (e da verificare dal c.t.u. ai fini della
quantificazione delle migliorie) era più ampio, occorrendo
conoscere, oltre al numero, anche «tipo di alberi impiantati,
stato di salute delle piante, produttività delle stesse,
criteri di coltivazione, osservanza delle regole

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infondate, anche perché parte ricorrente non sviluppa

agrotecniche».
2.3. Per il resto la Corte territoriale è pervenuta
all’impugnata decisione, svolgendo argomentazioni idonee allo
scopo, segnatamente evidenziando l’insufficienza dei dati
assunti dal c.t.u. e la mancanza di altre risultanze

omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione
ricorribile in Cassazione ex art. 360, comma l, n. 5, c.p.c.
può ravvisarsi solo se nel ragionamento del Giudice di merito
sia rinvenibile il mancato od insufficiente esame dei punti
rilevanti della controversia, rappresentati dalle parti o
rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le
argomentazioni addotte, tali da precludere l’individuazione
dell’iter logico-giuridico posto a fondamento della decisione.
Non può siffatto vizio, invece, concretizzarsi nella
difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove fornito
dal Giudice di merito rispetto a quello prospettato dalla
parte, dato che spetta solo all’organo giudicante individuare
le fonti del proprio convincimento, sl da valutare le prove,
controllandone l’attendibilità e scegliendo di dare prevalenza
ad alcune rispetto alle altre. La Corte di legittimità,
pertanto, non può riesaminare e valutare autonomamente il
merito della causa, dovendosi limitare a controllare, sotto il
profilo logico e formale e della correttezza giuridica,
l’esame e la valutazione offerti dal Giudice di merito (Cass.

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correttamente ritenute essenziali. Si rammenta che il vizio di

04 ottobre 2011, n. 20310).
Nel caso di specie ciò su cui si appunta il ricorso non è
il vizio della motivazione, bensì la valutazione delle
risultanze procedimentali, come operata dalla Corte
territoriale; e ciò esula dall’ambito del sindacato del

sul rilievo dell’effettività dell’impianto e sulla
considerazione che il c.t.u. non era tenuto a valutare le
deduzioni del c.t. della controparte – finiscono per
sottrarsi al confronto con quello che è il nucleo centrale
della decisione impugnata, come sopra individuato, risultando
in definitiva prive di correlazione con il

decisum e, quindi,

aspecifiche.
In conclusione il ricorso va rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in
dispositivo alla stregua dei parametri di cui al D.M. n. 140
del 2012, seguono la soccombenza.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al
rimborso delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in
C 3.200,00 (di cui C 200,00 per esborsi) oltre accessori come
per legge.
Roma 3 ottobre2013
STENSORE

IL

RESIDENti4

(

Giudice di legittimità. Peraltro le censure – incentrandosi

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