Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25753 del 15/11/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 25753 Anno 2013
Presidente: PETTI GIOVANNI BATTISTA
Relatore: AMBROSIO ANNAMARIA

PU

SENTENZA

sul ricorso 5354-2008 proposto da:
ROSSELLI
ROSSELLI

DEL
DEL

TURCO GIAMPAOLO
TURCO

MARIO

RSSGPL59H24D612C,
RSSMRA62S07D612Y,

domiciliati ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la
CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati
e difesi dall’avvocato NICOLODI ALESSANDRO con studio
2013
1812

in 50132 FIRENZE – VIA DEI DELLA ROBBIA 65 giusta
delega in atti;
– ricorrenti nonchè contro

PAMPALONI FRANCESCO PMPFNC59D13D612C;

1

Data pubblicazione: 15/11/2013

- intimato –

sul ricorso 9358-2008 proposto da:
4

PAMPALONI FRANCESCO PMPFNC59D13D612C, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA RUGGERO FAURO 43, presso lo
studio dell’avvocato PETRONIO UGO, che lo rappresenta

giusta delega in atti;
– ricorrente contro

ROSSELLI DEL TURCO MARIO,

ROSSELLI -DEL TURCO

GIAMPAOLO;
– intimati –

avverso il provvedimento della CORTE D’APPELLO di
FIRENZE, emesso il 19/1/2007, depositata il
16/02/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 03/10/2013 dal Consigliere Dott.
ANNAMARIA AMBROSIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ANTONIETTA CARESTIA che ha concluso
per l’inammissibilità del l ° motivo e rigetto del 2 °
motivo di ricorso;

e difende unitamente all’avvocato BURGIO MANFREDI

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La presente controversia si inserisce nell’ambito di una
procedura di esecuzione immobiliare agraria promossa in danno
di Francesco Pampaloni presso il Tribunale di Firenze ad
iniziativa di Mario e Giampaolo Rosselli Del Turco, in

di essere ammesso alla conversione del pignoramento.
In esito a ciò i creditori procedenti proposero due
opposizioni agli atti esecutivi: una prima opposizione avverso
il provvedimento del 15.06.2006 con il quale il G.E. aveva
determinato la somma da versare in sede di conversione, con
esclusione del credito di C 10.829,88 oltre accessori, per cui
i Rosselli Del Turco erano intervenuti successivamente alla
domanda di conversione; una seconda opposizione avverso il
provvedimento in data 28.06.2006, con la quale il G.E. aveva
disposto la cancellazione del pignoramento e l’estinzione
della procedura in esito all’avvenuto versamento della somma
oggetto di conversione.
All’udienza camerale ex art. 185 disp. att. cod. proc. civ.
fissata per la comparizione delle parti in data 30.11.2006, il
G.E. – dato atto che l’ordinanza del 28.06.2006 aveva ricevuto
esecuzione in relazione ai pagamenti ivi previsti – dispose
che venisse data esecuzione all’ordinanza anche per la parte
che ordinava la cancellazione del pignoramento, emanando,
quindi, gli ulteriori provvedimenti per la prosecuzione nel

3

relazione alla quale il debitore esecutato chiese ed ottenne

merito delle cause di opposizione agli atti esecutivi.
Avverso il provvedimento del G.E. in data 30.11.2006,
laddove disponeva che fosse «data esecuzione anche alla parte
(della ordinanza del 28.06.2006)

che ordina la cancellazione

del pignoramento» i Rosselli Del Turco proposero reclamo alla

artt. 737 e ss. cod. proc. civ. e 185 disp. att. cod. proc.
civ., come novellato dalla legge n. 52 del 2006.
Il suddetto reclamo è stata dichiarato inammissibile con
decreto in data 16.02.2007 con il quale la Corte di appello ha
condannato i reclamanti al pagamento delle spese processuali,
liquidate in C 4.200,00.
Avverso detto decreto hanno proposto ricorso straordinario
ex

art. 111 Cost. Mario e Giampaolo Rosselli Del Turco,

svolgendo due motivi.
Ha resistito Francesco Pampaloni, depositando controricorso
e svolgendo, a sua volta, ricorso incidentale condizionato,
affidato a unico motivo.
MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente i ricorsi proposti in via principale e
incidentale condizionata avverso la stessa decisione vanno
riuniti ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ..
1.1. Va premesso che non è in discussione l’applicabilità,
nel caso all’esame, del regime delle cause oppositive
introdotto dalla novella di cui alla L. 24 febbraio 2006, n.

4

Corte di appello di Firenze ai sensi del comb. disp. degli

52 e segnatamente dell’art. 185 disp. att cod. proc. civ.
(come

novato

dall’art.

13

legge

cit.)

secondo

cui:

«All’udienza di comparizione davanti al giudice
dell’esecuzione fissata sulle opposizioni all’esecuzione, di
terzo ed agli atti esecutivi si applicano le norme del

codice».

Ciò che la Corte territoriale ha messo in dubbio,

piuttosto, è che il rinvio alle norme del procedimento
camerale comportasse anche la reclamabilità dei provvedimenti
ex art. 739 cod. proc. civ., per la considerazione che un
regime di tal fatta mal si sarebbe conciliato con la non
appellabilità delle sentenze che definiscono il giudizio di
opposizione ex art. 618 cod. proc. civ..
Merita

puntualizzare

il

che

dubbio,

come

innanzi

prospettato, non è stato risolto dalla decisione impugnata,
giacche la Corte territoriale – ritenendo che non fosse suo
compito

«quello di risolvere, in astratto, gli enigmi

interpretativi posti dal legislatore»

e preferendo decidere

sulla base della ragione ritenuta “più liquida” – ha
dichiara, l’inammissibilità del reclamo per altro ordine di
considerazioni; e cioè per il rilievo che la norma di cui
all’art. 185 disp. att. cod. proc. civ. a parte il
provvedimento di sospensione dell’esecuzione – si riferisce,
in relazione all’opposizione agli atti esecutivi, a quei
provvedimenti

«opportuni»

ovvero

5

«indilazionabili»

che,

procedimento camerale di cui agli articoli 737 e seguenti del

tipicamente può emettere il G.E.

quando è investito

dell’opposizione; laddove nel provvedimento reclamato, seppure
emesso all’udienza fissata

ex

art. 618 cod. proc. civ., è

stato ravvisato un provvedimento che il G.E. avrebbe potuto
emettere, in qualunque momento, nell’ambito delle sue

prescindere

attribuzioni
dal

fatto

di

giudice
di

essere

dell’esecuzione,
stato

a

investito

dell’opposizione.
2. RICORSO PRINCIPALE
2.1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione
o falsa applicazione degli artt. 112 e 91 cod. proc. civ. in
relazione agli artt. 185 disp. att. cod. proc. civ.
(particolarmente art. 739 e 742 bis cod. proc. civ.) riguardo
la condanna alle spese della procedura di reclamo (art. 360 n.
3 cod. proc. civ.). In particolare si sostiene che l’unica
reazione processuale avverso il provvedimento ritenuto urgente
e, quindi,

«indilazionabile» dal G.E. ex art. 618 cod. proc.

civ. fosse – in forza del rinvio operato dall’art. 185 disp.
att. cod. proc. civ. – il reclamo ai sensi dell’art. 739 cod.
proc. civ. con la conseguenza che sarebbe ingiusta anche la
condanna alle spese. A conclusione del motivo parte ricorrente
chiede ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ. che la S.C.
dichiari: «se, in relazione al mezzo previsto dalla legge per
impugnare il provvedimento preso dal giudice dell’esecuzione
del Tribunale in sede di udienza, fissata ai sensi dell’art.

6

cg&u(

ordinarie

618 c.p.c. a seguito della proposizione dell’opposizione agli
atti esecutivi, sia ravvisabile violazione e/o falsa
applicazione di norme di diritto e, specificamente, degli
artt. 112 e 91 c.p.c. in relazione agli artt. 185 disp. att.
c.p.c. e 737 e ss c.p.c. (particolarmente artt. 739 e 742 bis

sanzionare con la condanna alle spese del giudizio,
l’impugnazione proposta dalla parte interessata avverso detto
provvedimento a mezzo di reclamo in camera di consiglio di cui
agli artt. 737 ss c.p.c.».
2.2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia
violazione e/o falsa applicazione dell’art. 91 cod. proc.
civ.e in relazione al D.M. 8 aprile 2004 n. 127 pubblicato su
G.U. del 18 maggio 2004, n.115 sulla misura della liquidazione
delle spese del giudizio, violazione del principio di
inderogabilità della tariffa professionale riguardo la
condanna alle spese della procedura (art. 360 n.3 cod. proc.
civ.). A conclusione del motivo – con il quale si contesta il
quantum della condanna alle spese – parte ricorrente chiede ai
sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ. che la S.C. dichiari:
«se, riguardo alla liquidazione delle spese ai sensi dell’art.
91 c.p.c. operata dal giudice, sia ravvisabile violazione o
falsa applicazione di norme di diritto e, specificamente,
dell’art. 91 c.p.c. in relazione al D.M. 8 aprile 2004 n. 127
pubblicato su G.U. del 18 maggio 2004, n.115, quando il

7

uu(

c.p.c.) nel ritenere che sia inammissibile e, quindi, da

giudice liquidi di ufficio le spese giudiziali a carico della
parte soccombente discostandosi, superandoli senza alcuna
motivazione, dal massimi tariffari previsti per lo scaglione
di valore afferente la controversia in oggetto, sia per quanto
concerne gli onorari, sia per quanto riguarda i diritti di

vittoriosa spese vive di lite che la stessa non può aver
corrisposto».
3. RICORSO INCIDENTALE CONDIZIONATO.

3.1. Con l’unico motivo si deduce violazione e/o falsa
applicazione degli artt. 739 e 618 cod. proc. civ. e art. 244
d.Lgs. n.51/1988 per non avere la Corte di appello esaminato
l’eccezione di incompetenza, secondo cui, nel sistema previsto
dall’art. 739 cod. proc. civ., il reclamo avverso il
provvedimento dell’organo monocratico del Tribunale andava
proposto al Tribunale in composizione collegiale. Si chiede,
dunque, a questa Corte di legittimità di dichiarare

«se, in

relazione al reclamo contro i provvedimento del Giudice
dell’esecuzione, emessi nel corso dell’udienza ex art. 618
c.p.c. e qualora essi siano ammissibili, sia prevista o meno
la competenza funzionale del Tribunale in composizione
collegiale».
4. Sia il ricorso principale che quello incidentale, il
quale

investendo

preliminari

questioni

di

merito

o

pregiudiziali di rito che non sono state oggetto di decisione

8

avvocato e quando lo stesso giudice liquidi alla parte

esplicita o implicita da parte del giudice di merito andrebbe
esaminato per prim4 (cfr. Cass. civ., Sez. Unite, 25 marzo

A
/I

2013, n. 7381), sono inammissibili perché proposti contro un
provvedimento che in alcun modo può essere qualificato
sentenza agli effetti dell’art. 111, comma 7 Cost..
ius

receptum

che sono impugnabili con

ricorso straordinario per Cassazione, i provvedimenti
pronunciati dagli organi giurisdizionali, che, sebbene non
qualificati dalla legge come sentenze, hanno natura di
decisione, perché giudicano in ordine a situazioni di diritto
sostanziale delle parti e, perciò, presentano attitudine alla
formazione del giudicato, e sono definitivi, nel senso di non
essere soggetti secondo la legge a riesame, né da parte del
giudice che li ha emessi, né da parte di altro giudice. Il
termine

“sentenza”

usato dall’art. 111 Cost. va, infatti,

inteso in senso sostanzialista, in quanto in esso rientrano
anche i provvedimenti giurisdizionali che hanno forma diversa
dalla sentenza, purchè presentino ambedue i seguenti
requisiti: la decisorietà, nel senso che essi risolvono una
controversia su un diritto soggettivo o su uno

status,

e la

definitività, nel senso che l’ordinamento non prevede rimedi
diversi contro il provvedimento decisorio, che così è idoneo a
pregiudicare irrimediabilmente quel diritto o quello

status

(cfr. Sez. Un. 15 luglio 2003 n. 11026).
Più in generale al fine di stabilire se un provvedimento

9

Invero costituisce

abbia natura di ordinanza o di sentenza, e sia, quindi,
soggetto ai mezzi di impugnazione previsti per le sentenze,
occorre aver riguardo non già alla sua forma esteriore ed alla
qualificazione attribuitagli dal giudice che lo ha emesso, ma
agli effetti giuridici che è destinato a produrre. Sotto tale

e della definitività quando la pronuncia spieghi i suoi
effetti solo sul piano processuale, producendo la sua
efficacia soltanto all’interno del processo, con la
conseguenza che, in tali casi, non è suscettibile di
impugnazione innanzi al giudice di grado superiore (cfr. Cass.
3 agosto 2001, n. 10731).
Occorre inoltre che il provvedimento sia adottato
nell’ambito del processo, in una fase in cui al giudice di
quel processo è assegnata una potestas decidendi.

Invero se è

concepibile che il giudice civile, allorquando abbia la
potestas di decidere in via definitiva su diritti, la possa
esercitare con forme irrituali, sicché il suo provvedimento,
ancorchè non adottato secondo le forme previste, abbia
comunque quell’attitudine, perchè è espressione del potere di
un giudice che poteva rendere una decisione definitiva e l’ha
soltanto fatto seguendo forme irrituali, non è, invece,
concepibile che l’errore del giudice nell’applicare le forme
del procedimento, allorquando venga compiuto in una fase
processuale nella quale lo stesso giudice, secondo il modello

10

19(2;21

profilo il provvedimento non ha il carattere della decisorietà

procedimentale, non poteva rendere decisione definitiva, possa
fare assurgere al suo provvedimento irrituale il carattere
della definitività sul diritto coinvolto.
4.1. Orbene la prima questione da affrontare ai fini che ci
occupano è quella – rimasta irrisolta nel percorso

rinvio operato dall’art. 185 disp. att. cod. proc. civ. alla
disciplina del procedimento camerale; ad essa è strettamente
connessa quella della qualificazione dell’istanza di reclamo,
dipendendo da ciò la verifica dell’ammissibilità o meno del
ricorso straordinario avverso il provvedimento emesso sulla
medesima istanza.
Al riguardo non può farsi a meno di osservare che vi è
stata negli ultimi decenni una scelta di politica legislativa
(che ha avuto un’inversione di tendenza solo con il d.Lgs l
settembre 2011, n. 150 in materia di semplificazione dei
procedimenti civili di cognizione), la quale – coniugando
giurisdizione con “volontaria giurisdizione” e cioè con la
meno giurisdizionale delle attività configurate dal codice di
rito – ha finito per rimodellare totalmente quella sorta di
«contenitore neutro» cui si era originariamente ricorso (cfr.
Cass. sez. Un. 19 giugno 1996, n.5629). Orbene è evidentemente
in questo

trend normativo che, si inserisce la scelta del

legislatore del 2006 di “cameralizzare” l’udienza di
comparizione davanti al G.E. nelle opposizioni esecutive;

11

argomentativo della decisione impugnato – del significato del

senza con ciò incidere sulla natura della tutela che resta di
giurisdizione contenziosa.
Al riguardo questa Corte ha già avuto modo di precisare che
la pur anodina disposizione dell’art. 185 att. cod. proc. civ.
è riferibile esclusivamente alla fase sommaria del

davanti al giudice dell’esecuzione, occorrendo, invece, che il
processo sull’azione di accertamento negativo del diritto di
procedere all’esecuzione si svolga con le forme del dovuto
processo civile a cognizione piena, secondo il rito previsto
in relazione alla materia cui l’esecuzione si riferisce e non
con il rito camerale (cfr. Cass. 13 febbraio 2013, n. 3550;
Cass. ord. n. 1152 del 2011). Invero sia nell’ipotesi di
opposizione all’esecuzione

ex art. 615 cod. proc. civ., sia

nell’ipotesi di opposizione agli atti esecutivi

ex art. 617

cod. proc. civ., si introduce un giudizio a struttura
bifasica, la cui prima fase si svolge davanti al G.E. (fase
interinale e interdettale volta alla sospensione del
procedimento espropriativo) e si conclude con l’adozione dei
provvedimenti di sospensione ex art. 624 cod. proc. civ.
ovvero ex art. 618 cod. proc. civ.; l’altra si svolge davanti
al giudice del merito, con giudizio incardinato a seguito di
fissazione del termine ex art. 616 cod. proc. civ., in caso di
opposizione all’esecuzione ovvero ex art. 618, comma 2, cod.
proc. civ., in caso di opposizione agli atti esecutivi.

12

procedimento, come rivela il testuale riferimento all’udienza

4.2. Il Collegio – nel ribadire i principi sopra esposti intende sottolineare che la regola della cameralizzazione
dettata dall’art. 185 att. cod. proc. civ. sottende la
sottrazione della fase sommaria alle regole della cognizione
piena, evocando un modello di svolgimento della cognizione

Tuttavia il rinvio alle norme del procedimento camerale di cui
agli artt.737 cod. proc. civ. opera solo per quegli aspetti
che non siano già espressamente regolati dagli artt. 615 e
seg. cod. proc. civ., con la conseguenza, tra l’altro, che il
procedimento si svolgerà innanzi a un giudice monocratico (e
non davanti al giudice collegiale come vorrebbe l’art. 50 bis
cod. proc. civ.); che deve essere assicurato il
contraddittorio pieno, segnatamente nella fase della
sospensione (o della revoca della sospensione); che è diverso
anche il “tipo” del provvedimento adottabile da parte del G.E.
(ordinanza e non decreto camerale); che – per quanto qui
particolarmente ci occupa – la revocabilità e la reclamabilità
dei provvedimenti del G.E. trovano una specifica
regolamentazione, rispettivamente, negli artt. 487 cod. proc.
civ. e 669 terdecies cod. proc. civ..
In definitiva le due fasi dell’opposizione esecutiva,
nonostante che la prosecuzione non avvenga automaticamente,
essendo affidata quella a cognizione piena all’iniziativa di
parte, sono espressione della medesima tutela giurisdizionale,

13

che, per definizione, non è sottoposto a quelle regole.

che è di giurisdizione contenziosa sia nella prima fase
affidata alla cognizione sommaria del G.E., sia nella seconda
fase che si svolge con cognizione piena. Di modo che il rinvio
agli artt. 737 e seg. cod. proc. civ., contenuto nell’art. 185
disp. att. cod. proc. civ. (al pari di quello agli artt. 737 e

comma 3 dell’art. 669

terdecies)

si risolve in sostanza nel

richiamo ad una disciplina più snella, meno “ingessata” che,
nella logica normativa sottesa alla struttura bifasica del
procedimento, non è diretto a portar ad una decisione
definitiva sul diritto coinvolto, ma solo ad una decisione del
tutto provvisoria e destinata ad essere ridiscussa nella fase
a cognizione piena con l’introduzione del giudizio di merito.
4.3. E’ in relazione a ciò che, nel regime successivo alla
legge n. 52 del 2006, costituisce affermazione ricorrente
nella giurisprudenza di questa Corte, quella secondo cui i
provvedimenti del G.E. – segnatamente quelli emessi all’esito
della prima fase cognizione sommaria – provengono da un organo
giudiziale che, in
decidendi.

quanto tale, è

privo della

potestas

Invero i provvedimenti che il giudice del

tribunale, quale giudice dell’esecuzione, adotta, di norma con
ordinanza, secondo quanto previsto dall’art. 487 cod. proc.
civ., non presentano tutti e due i caratteri prima indicati,
posto che – quand’anche intervenienti su situazioni di diritto
soggettivo – non statuiscono su di esse e in particolare

14

738 cod. proc. civ., contenuto, per la fase del reclamo, nel

mancano di quello della definitività.
In tale prospettiva costituisce

ius receptum

che è

inammissibile, tanto nel regime dell’art. 624 cod. proc. civ.
scaturito dalla riforma di cui alla l. n. 52 del 2006, quanto
in quello successivo di cui alla l. n. 69 del 2009, il ricorso

l’ordinanza con cui il giudice dell’esecuzione abbia
provveduto sulla sospensione dell’esecuzione, nell’ambito di
un’opposizione proposta ai sensi degli art. 615, 617 e 619
cod. proc. civ., nonché avverso l’ordinanza emessa in sede di
reclamo che abbia confermato o revocato la sospensione o
l’abbia direttamente concessa, trattandosi nel primo caso di
provvedimento soggetto a reclamo ai sensi dell’art. 669terdecies

cod. proc. civ., ed in entrambi i casi di

provvedimenti non definitivi, in quanto suscettibili di
ridiscussione nell’ambito del giudizio di opposizione

(ex

plurimis, Cass. 08 maggio 2010, n. 11243; Cass. 12 marzo 2008,
n. 6680).
Merita puntualizzare, per quanto qui ci occupa, che
secondo un’interpretazione estensiva dell’art. 624 cod. proc.
civ.

condivisa dal Collegio e ormai acquisita nella

giurisprudenza di legittimità

anche i provvedimenti

indilazionabili diversi dalla sospensione, assunti dal G.E. ai
sensi dell’art. 618 cod. proc. civ., rientrano tra i
provvedimenti reclamabili ex art. 669

15

terdecies

cod. proc.

c9f

per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost. avverso

civ., per essere il riferimento alla sola sospensione,
contenuto nell’ultimo comma della norma cit. una mera svista
del legislatore (cfr. Cass. 24 ottobre 2011, n. 22033 in
motivazione).
4.3. Venendo

in medias res,

si

osserva che il reclamo

emerge dal provvedimento impugnato e dallo stesso ricorso
all’esame, sul presupposto che l’ordine di esecuzione della
precedente ordinanza costituisse, per l’appunto, un
provvedimento

ritenuto

«indilazionabile»

dal

G.E.

(complementare, dunque, all’opposizione), ancorchè si
prospettasse che (proprio perchè tale) il provvedimento fosse
reclamabile secondo il regime previsto dall’art. 739 cod.
proc. civ.. Val la pena, altresì, osservare che è sempre in
relazione al regime di reclamabilità

ex art. 739 cod. proc.

civ. che la controparte – per quanto è dato evincere dal
ricorso incidentale – ha sollevato l’eccezione di incompetenza
della Corte territoriale in favore del Tribunale collegiale.
Ed è in relazione alla “forma” con cui è stato introdotto il
procedimento che la Corte di appello ha pronunciato
sull’istanza con la “forma” del provvedimento camerale,
peraltro espressamente prescindendo dal dubbio sulla
reclamabilità del provvedimento ai sensi della norma invocata.
Ciò precisato, ritiene il Collegio che la scelta degli
odierni ricorrenti principali (del tutto irrituale, per quanto

16

innanzi alla Corte di appello è stato proposto, per quanto

ora evidenziato) di proposizione del reclamo alla Corte di
appello ex art. 739 cod. proc. civ. non possa spiegare alcuna
incidenza agli effetti dell’art.111 Cost. comma settimo,
dovendo ritenersi, proprio in ragione della prospettazione
della parte istante intesa a denunciare l’illegittimità di un

che la natura del provvedimento della Corte di appello resti
quella di provvedimento emesso nell’ambito di un procedimento
(di reclamo avverso ordinanza del G.E.) inidoneo a dare luogo
ad un provvedimento decisorio definitivo di diritti.
D’altra parte neppure può dubitarsi che la Corte
territoriale – espressamente prescindendo dal dubbio innanzi
enunciato – abbia, in definitiva, assunto le vesti del giudice
del reclamo; di conseguenza non vi è ragione di attribuire al
provvedimento emesso (ancorchè irritualmente) dalla stessa
Corte una natura diversa da quella propria del provvedimento
riservato al Tribunale dal comb. disp. degli art 624 e 669
terdecies cod. proc. civ.. Non si tratta, dunque, di un atto
avente natura di sentenza agli effetti previsti dall’art. 111
Cost. comma settimo; e ciò in quanto, sotto il profilo
formale, la decisione è stata assunta nelle forme del decreto
camerale, mentre sotto il profilo sostanziale, il
provvedimento non ha “statuito” su diritti e

status,

producendo la sua efficacia soltanto all’interno dello stesso
procedimento.

17

provvedimento assunto nella fase sommaria dell’opposizione,

4.5. Il Collegio ritiene di sottolineare che, ai fini che
ci occupano, non rileva la circostanza che la Corte
territoriale abbia dichiarato inammissibile il reclamo, sul
presupposto che l’atto impugnato non fosse riconducibile
all’ambito di quelli

«indilazionabili»

di cui all’art. 618

“dell’esecuzione”, solo occasionalmente emesso all’udienza di
comparizione in sede di opposizione (con ciò implicitamente
suggerendo che il rimedio doveva essere quello di cui all’art.
617 cod. proc. civ.). Tutto ciò attiene, infatti, al “merito”
del provvedimento impugnato e non può, quindi, incidere sulla
qualificazione del reclamo proposto, risultando le valutazioni
assunte al riguardo dalla Corte territoriale ininfluenti ai
fini dell’ammissibilità del ricorso straordinario.
Del resto questa Corte di legittimità ha già avuto modo di
affermare che è inammissibile il ricorso per cassazione ai
sensi dell’art. 111 Cost. avverso il provvedimento assunto dal
Tribunale ai sensi egli artt. 669

terdecies e 624 cod. proc.

civ. anche nell’ipotesi in cui il giudice del reclamo abbia
ritenuto inammissibile il mezzo di gravame, essendo comunque
consentito alle parti, anche nel nuovo regime processuale del
processo esecutivo introdotto con legge 24 febbraio 2006, n.
52, l’accesso alla tutela a cognizione piena a prescindere dal
tipo di esito della fase cautelare (Cass.
11306).

18

23 maggio 2011, n.

cod. proc. civ., ma costituisse, piuttosto, un atto

Nel ribadire il suesposto principio, il Collegio osserva

che, nella specie, la postulata strumentalità del reclamo
rispetto alla tutela provvisoria invocabile nella fase
sommaria dell’opposizione imponeva che le relative
contestazioni venissero fatte valere, attivando la fase di

straordinario per cassazione. In altri termini – dal momento
che il reclamo era diretto a rimuovere l’ordine di (dare
esecuzione) alla precedente ordinanza del G.E. che disponeva
la cancellazione del pignoramento, è evidente che la
contestazione svolta con il presente ricorso in punto di
ammissibilità del reclamo postula che il diritto a procedere
esecutivamente sia rimasto insoddisfatto; con la conseguenza
che la relativa questione era ridiscutibile solo in sede di
cognizione ordinaria sull’opposizione.
4.6. Nemmeno la circostanza che sia stata disposta la
condanna alle spese vale ad attribuire al provvedimento
impugnato carattere di decisorietà e di definitività ai fini
dell’esperimento del ricorso straordinario.
La contestazione sull’an della liquidazione non può,
infatti, avvenire se non con le medesime modalità con cui
poteva essere ridiscusso il provvedimento cui detta
statuizione accede; e quindi attivando la fase ordinaria
dell’opposizione. E anche ove si intenda contestare solo il
quantum

della liquidazione (come con il secondo motivo del


19

cognizione piena dell’opposizione e non già proponendo ricorso

ricorso principale), non può ritenersi ammissibile il ricorso
straordinario, atteso che nemmeno a tali effetti può
riconoscersi al provvedimento la natura di sentenza in senso
sostanziale ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7. Ciò in
quanto una volta ascritto il provvedimento all’esame

del reclamo – devono ritenersi applicabili principi acquisiti
nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui nel regime
anteriore all’entrata in vigore della legge n. 69 del 2009
(che qui rileva), l’ordinanza collegiale sul reclamo
669

terdecies

ex art.

cod. proc. civ. è impugnabile, quanto alla

statuizione sulle spese, con l’opposizione di cui all’art. 645
cod. proc. civ., richiamato dall’art. 669

septies,

terzo

comma, cod. proc. civ, costituente mezzo preclusivo del
ricorso straordinario per cassazione (cfr. Cass. ord. 07
novembre 2012, n. 1927). Mentre dopo la sostituzione
dell’ultimo comma dell’art. 669

septies cod. proc. civ., per

effetto della novella della L. n. 69 del 2009, con la
previsione che
esecutiva»,

«la condanna alle spese è immediatamente

il mezzo di reazione è stato individuato

nell’opposizione a precetto intimato, o all’esecuzione
iniziata sulla base dell’ordinanza, fermo restando che nel
conseguente giudizio di opposizione, che è giudizio a
cognizione piena, la condanna alle spese può essere ridiscussa
senza limiti, come se l’ordinanza sul reclamo, che è

20

nell’alveo del “cautelare esecutivo” e segnatamente nella fase

provvedimento a cognizione sommaria, fosse, sul punto, titolo
esecutivo stragiudiziale. (cfr. Cass. 12 luglio 2012, n.
11800; Cass. 24 maggio 2011, n. 11370).
In conclusione entrambi i ricorsi vanno dichiarati
inammissibili.

trattate, impongono l’integrale compensazione delle spese del
giudizio di legittimità tra le parti.
P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li dichiara inammissibili.
Compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di
cassazione.
Roma 3 ottobre 2013

PREIWKE((

L’ESTENSORE

Il Funzionario

A

Innocenzo w
it TA

La reciproca soccombenza, oltre alla natura delle questioni

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