Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25752 del 15/11/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 25752 Anno 2013
Presidente: PETTI GIOVANNI BATTISTA
Relatore: FRASCA RAFFAELE

SENTENZA

sul ricorso 4765-2008 proposto da:
CAVALLI GIAN BATTISTA CVLGBT39M27G889G, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA SARDEGNA 38, presso lo studio
dell’avvocato NICASTRO LUCIO, rappresentato e difeso
dall’avvocato SANACORE ALDO giusta delega in atti;
– ricorrente contro

CARDANI GIUSEPPE, EURIDEA S.P.A. 00739960151;
– intimati

avverso la sentenza n. 1162/2007 della CORTE D’APPELLO
di MILANO, depositata il 24/04/2007, R.G.N. 4288/2003;

Data pubblicazione: 15/11/2013

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 03/10/2013 dal Consigliere Dott. RAFFAELE
FRASCA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ANTONIETTA CARESTIA che ha concluso per

il rigetto del ricorso;

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R.g.n. 4765-08 (ud. 3.10.2008)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

§1. Gian Battista Cavalli ha proposto ricorso per cassazione contro la Euridea s.p.a.
(incorporante Almasa Prima s.p.a., già Società Franchini Supermercati Brianzoli di
Franchini Felice, Gianfelice, Angelo e C. s.a.s.) e Giuseppe Cardani avverso la sentenza
del 24 aprile 2007, con la quale la Corte d’Appello di Milano ha rigettato il suo appello

Quest’ultimo era stato investito dal Cavalli della domanda intesa ad ottenere dal
Cardani e dalla allora s.a.s. il risarcimento dei danni sofferti, in conseguenza del
rinvenimento da parte dei Carabinieri di prodotti, inidonei all’alimentazione, presso il
cantinato del complesso immobiliare-turistico “Rosen Garden” di Porlezza, nonché in
conseguenza del processo penale che ne era seguito. Nella prospettazione del Cavalli il
detto rinvenimento era avvenuto perché i prodotti erano stati recapitati due giorni prima,
senza un preventivo accordo, da un camion della s.a.s. su iniziativa del Cardani, suo
dipendente con funzioni direttive, ed erano stati scaricati nel piazzale antistante i locali
dell’attore, il quale, una volta sopraggiunto, aveva poi — a suo dire – inutilmente sollecitato
il loro immediato ritiro lo stesso giorno della consegna e, quindi, li aveva fatti collocare
nello scantinato.
Nella costituzione dei convenuti il Tribunale rigettava la domanda nei riguardi di
entrambi.
§2. Gli intimati non hanno resistito al ricorso del Cavalli.

MOTIVI DELLA DECISIONE

§1. Preliminarmente va rilevato che il ricorso dev’essere considerato tempestivo.
Il termine entro il quale avrebbe dovuto proporsi scadeva il 10 febbraio 2008,
giacché la sentenza era stata notificata, come dalla copia autentica recante la relata di
notificazione, il 12 dicembre 2007. 11 10 febbraio era, tuttavia, domenica e, pertanto, ai
sensi del quarto comma dell’art. 155 cp.c., detto termine venne prorogato di diritto al
lunedì 11 febbraio 2008. La notificazione del ricorso risulta perfezionata per i due intimati
il 13 febbraio 2008, mediante consegna ad un impiegato dello studio dei difensori dei
medesimi, ma sulla copia notificata risultano due timbri riferiti all’ufficiale giudiziario in
data 11 febbraio 2008. Essi non recano sottoscrizione, ma indicano il cronologico e la data
ed il primo anche l’indicazione del ricorrente e del suo difensore come istanti.

Est. Cons. Riffeje Frasca

avverso la sentenza resa in primo grado inter partes dal Tribunale di Como.

R.g.n. 4765-08 (ud. 3.10.2008)

Ne segue che v’è prova della consegna all’ufficiale giudiziario e, quindi, del
perfezionamento della notificazione per il notificante in data 11 febbraio 2008 e, dunque, il
ricorso dev’essere considerato tempestivo, alla stregua del principio di diritto secondo cui
<> (Cass. sez. un. n. 14294 del 2007; da ultimo Cass. n. 13640
del 2013).
§2. Con il primo motivo di ricorso si denuncia: “Violazione e falsa applicazione
dell’artt. 116 in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5) c.p.c. per omessa, insufficiente o
contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia. Omessa valutazione di
tutte le prove acquisite in relazione agli artt. 2697 c.c. e 115-116 e 132 n. 4 e 360 n. 3 e n.
5 c.p.c.”.
L’illustrazione è conclusa da un “quesito di diritto” e, immediatamente di seguito, da
una “indicazione del fatto controverso”.
Il quesito ha il seguente tenore: «dica questa ecc.ma Suprema Corte di Cassazione
se nella valutazione delle prove quale prescritta dall’art. 116 c.p.c. e nella redazione dei
motivi della decisione l’espressione “concisa esposizione” contenuta nell’art. 132 comma
2° n. 4 c.p.c. possa consentire al giudice di omettere ogni rifèrimento a quelle prove di
valenza opposta rispetto alla decisione di [rectius: la] assumere e possa consentire al
Giudice di fare riferimento solo a quelle prove sulle quali egli intenda basare la decisione
o, se viceversa, il giudice per soddisfare l’obbligo della motivazione (che la legge
prescrive di concisa esposizione) debba argomentare anche sulle ragioni per le quali ha
ritenuto di non fondare la sua decisione su tali prove.».
L’indicazione del fatto controverso ha il seguente tenore: «sussistenza della
responsabilità in capo alla società Supermercati Brianzoli per il fatto illecito del loro
institore. Detenzione da parte della società di alimenti pericolosi per la salute in
violazione dell’art. 5 L. 30.4.1962 n. 283. Inunivocità del valore probatorio della
circostanza della mancata emissione di bolla di accompagnamento. Attribuibilità
dell’operato dell ‘institore all ‘imprenditore.»..

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Est. Cons. Raiere Frasca

R.g.n. 4765-08 (ud. 3.10.2008)

§2.1. Il Collegio ritiene che il motivo sia inammissibile perché tanto la proposizione
con cui è stato enunciato il quesito di diritto, che dovrebbe correlarsi alla denuncia della
violazione di norme del procedimento indicate nell’intestazione, quanto l’indicazione con
cui si vorrebbe assolvere al requisito della c.d. “chiara indicazione” per il motivo ai sensi
del n. 5 dell’art. 360 c.p.c. sono assolutamente inidonee al raggiungimento dello scopo di
assolvere all’onere di cui all’art. 366-bis c.p.c.
Tale norma, abrogata dall’art. 47 della 1. n. 69 del 2009 con effetto dal 4 luglio 2009

(ma rimasta ultrattiva per i ricorsi proposti dopo tale data contro provvedimenti pubblicati
prima: art. 58, comma 5, della legge), è applicabile al ricorso nonostante la sua
abrogazione, atteso che quest’ultima non venne disposta in modo retroattivo.
§2.1.1. L’inidoneità del quesito proposto ad integrare un quesito di diritto per come
richiesto dall’art. 366-bis c.p.c. deriva, sia dalla sua assoluta astrattezza e genericità, sia
dalla sua conseguente mancanza di conclusività, che emerge per l’assenza in esso di
qualsivoglia pur sommario e minimale riferimento alla motivazione della sentenza
impugnata.
Va, infatti, considerato che l’art. 366-bis c.p.c., quando esigeva che il quesito di
diritto dovesse concludere il motivo imponeva che la sua formulazione non si presentasse
come la prospettazione di un interrogativo giuridico del tutto sganciato dalla vicenda
oggetto del procedimento, bensì evidenziasse la sua pertinenza ad essa. Invero, se il quesito
doveva concludere l’illustrazione del motivo ed il motivo si risolve in una critica alla
decisione impugnata e, quindi, al modo in cui la vicenda dedotta in giudizio è stata decisa
sul punto oggetto dell’impugnazione e criticato dal motivo, appare evidente che il quesito,
per concludere l’illustrazione del motivo, doveva necessariamente contenere un riferimento
riassuntivo ad esso e, quindi, al suo oggetto, cioè al punto della decisione impugnata da cui
il motivo dissentiva, sì che ne risultasse evidenziato — ancorché succintamente – perché
l’interrogativo giuridico astratto era giustificato in relazione alla controversia per come
decisa dalla sentenza impugnata. Un quesito che non presenta questo contenuto è, pertanto,
un non-quesito (si veda, in termini, fra le tante, Cass. sez. un. n. 26020 del 2008; nonché n.
6420 del 2008).
E’ da avvertire che l’utilizzo del criterio del raggiungimento dello scopo per valutare
se la formulazione del quesito sia idonea all’assolvimento della sua funzione appare
perfettamente giustificato dalla soggezione di tale formulazione, costituente requisito di
contenuto-forma del ricorso per cassazione, alla disciplina delle nullità e, quindi, alla
regola dell’art. 156, secondo comma, c.p.c., per cui all’assolvimento del requisito non
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Est. Cons. aaffie1e Frasca

R.g.n. 4765-08 (ud. 3.10.2008)

poteva bastare la formulazione di un quesito quale che esso fosse, eventualmente anche
privo di pertinenza con il motivo, ma occorreva una formulazione idonea sul piano
funzionale, sul quale emergeva appunto il carattere della conclusività. Da tanto l’esigenza
che il quesito rispettasse i criteri innanzi indicati.
Per altro verso, la previsione della necessità del quesito come contenuto del ricorso a
pena di inammissibilità escludeva che si potesse utilizzare il criterio di cui al terzo comma
dell’art. 156 c.p.c., posto che quando il legislatore qualifica una nullità di un certo atto

come determinativa della sua inammissibilità deve ritenersi che abbia voluto escludere che
il giudice possa apprezzare l’idoneità dell’atto al raggiungimento dello scopo sulla base di
contenuti desunti aliunde rispetto all’atto: il che escludeva che il quesito potesse integrarsi
con elementi desunti dal residuo contenuto del ricorso, atteso che l’inammissibilità era
parametrata al quesito come parte dell’atto complesso rappresentante il ricorso, ivi
compresa l’illustrazione del motivo (si veda, in termini, già Cass. (ord.) n. 16002 del 2007;
(ord.) n. 15628 del 2009, a proposito del requisito di cui all’art. 366 n. 6 c.p.c.).
E’, altresì, da avvertire, che l’intervenuta abrogazione dell’art. 366-bis c.p.c. non può
determinare — in presenza di una manifestazione di volontà del legislatore che ha
mantenuto ultrattiva la norma per i ricorsi proposti dopo il 4 luglio 2009 contro
provvedimenti pubblicati prima ed ha escluso la retroattività dell’abrogazione per i ricorsi
proposti (come quello che si giudica) antecedentemente e non ancora decisi — l’adozione di
un criterio interpretativo della stessa norma distinto da quello che la Corte di Cassazione,
quale giudice della nomofilachia anche applicata al processo di cassazione, aveva ritenuto
di adottare anche con numerosi arresti delle Sezioni Unite.
L’adozione di un criterio di lettura dei quesiti di diritto ai sensi dell’art. 366-bis c.p.c.
dopo il 4 luglio 2009 in senso diverso da quanto si era fatto dalla giurisprudenza della
Corte anteriormente si risolverebbe, infatti, in una patente violazione dell’art. 12, primo
comma, delle preleggi, posto che si tratterebbe di criterio contrario all’intenzione del
legislatore, il quale, quando abroga una norma, tanto più processuale, e la lascia ultrattiva o
comunque non assegna effetti retroattivi all’abrogazione, manifesta non solo una voluntas
nel senso di preservare l’efficacia della norma per la fattispecie compiutesi anteriormente
all’abrogazione e di assicurarne l’efficacia regolatrice rispetto a quelle per cui prevede
l’ultrattività, ma anche una implicita voluntas che l’esegesi della norma abrogata continui a
dispiegarsi nel senso in cui antecedentemente è stata compiuta. Per cui l’interprete e,
quindi, anche la Corte di Cassazione ai sensi dell’art. 65 dell’Ordinamento Giudiziario,
debbono conformarsi a tale doppia voluntas e ciò ancorché, in ipotesi, l’eco dei lavori
6
Est. Cons. Raffaele Frasca

R.g.n. 4765-08 (ud. 3.10.2008)

preparatori della legge abrogativa riveli che l’abrogazione possa essere stata motivata
anche e proprio dall’esegesi che enorma sia stata data. Invero, anche l’adozione di un
criterio esegetico che tenga conto della ragione in mente legislatoris dell’abrogazione
impone di considerare che l’esclusione dell’abrogazione in via retroattiva ed anzi la
previsione di una certa ultrattività per determinate fattispecie sempre in mente legislatoris
significhino voluntas di permanenza dell’esegesi affermatasi, perché il contrario interesse
non è stato ritenuto degno di tutela.

§2.1.2. Ebbene, la proposizione con cui è espresso nella specie il preteso quesito di
diritto pone un interrogativo del tutto astratto, che in buona sostanza, ancorché nel quesito
non sia evocato l’art. 115 c.p.c., di cui l’intestazione del motivo denuncia la violazione, si
risolve nella prospettazione alla Corte del se il giudice civile debba osservare l’art. 115
c.p.c. Ne segue che assume rilievo la consolidata giurisprudenza che ha ritenuto inidonei
ad osservare l’art. 366-bis i quesiti risolventisi nella mera richiesta di accertarsi la
violazione di una norma (ex multis Cass. (ord.) n. 19892 del 2008; (ord.) n. 19769 del
2008; (ord.) n. 4044 del 2009; Cass. sez. un. n. 18759 del 2008 e Cass. sez. un. n. 19811
del 2008; più di recente, fra tante, Cass. n. 3530 del 2012).
La genericità dell’interrogativo proposto, sotto il secondo degli aspetti innanzi
indicati, ne evidenzia l’assoluta mancanza di conclusività.
Il motivo di violazione di norme di diritto è, dunque, inammissibile per inosservanza
dell’art. 366-bis.
§2.2. Riguardo alla censura ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., si rileva che la pretesa
del ricorrente di assolvere al requisito di cui all’art. 366-bis c.p.c. mediante l’indicazione
del solo fatto controverso, in disparte che delle quattro proposizioni sopra riportate solo la
seconda concerne un “fatto”, mentre le altre sono valutazioni, non risulta in alcun modo
che colga nel segno, atteso che il requisito richiesto dal’art. 366-bis c.p.c. postulava un
momento di sintesi espressivo non solo del fatto controverso cui si riferiva il vizio
motivazionale, ma anche la sommaria indicazione delle ragioni di decisività della
insufficienza, contraddittoria o mancante motivazione (siccome rivelava la stessa norma, là
dove parlava della “chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la
motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero delle ragioni per le quali la dedotta
insufficienza della motivazione [della sentenza impugnata] la rende inidonea a giustificare
la decisione”: si vedano, in proposito, già Cass. (ord.) n. 16002 del 2007 e Cass. sez. un. n.
20603 del 2007).

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Est. Cons. R

e Frasca

R.g.n. 4765-08 (ud. 3.10.2008)

§2.3. Il motivo, comunque, se si procedesse alla lettura della sua illustrazione,
presenterebbe un’ulteriore ragione di inammissibilità, rappresentata dalla inosservanza del
requisito di cui all’art. 366 n. 6 c.p.c., norma che costituisce il precipitato normativo del
c.d. principio di autosufficienza dell’esposizione del motivo di ricorso per cassazione.
Infatti, detta illustrazione si fonda su una serie di risultanze dell’istruzione
probatoria, rappresentate da: a) non meglio identificate dichiarazioni testimoniali dei
dipendenti della società intimata; b) non meglio identificati <>.

9
Est. Cons. Ratfaele Frasca

R.g.n. 4765-08 (ud. 3.10.2008)

L’indicazione del fatto controverso è la seguente: <>.
L’indicazione del fatto controverso ha invece il seguente tenore: «sussistenza o

assoluta mancanza di accordo criminoso tra Cavalli Gian Battista e Cardani Giuseppe per
la fornitura di prodotti alimentari destinati al consumo. Omesso esame e valutazione delle
testimonianze Bordoli Silvano, Rossi Nadia e Strambini Raffaele e hanno escluso il pactum
§4.1. Il preteso quesito di diritto impinge nelle stesse valutazioni di astrattezza e
genericità formulate per i precedenti quesiti e ciò anche per le proposizioni ulteriori
rispetto a quella, ripetuta, che integrava il quesito concernente il primo motivo.
§4.2. L’indicazione del fatto controverso merita, poi, sempre le valutazioni già fatte a
proposito delle analoghe indicazioni che corredano i motivi già esaminati in punto di
mancanza di sommaria indicazione delle ragioni di decisività.
§4.3. Il motivo anche qui sarebbe in ogni caso inammissibile per violazione dell’art.
366 n. 6 c.p.c., atteso che: a) fa innanzitutto riferimento ad una circostanza, la mancata
produzione degli atti del giudizio penale senza dire da che cosa essa risultava e come
risulterebbe in questa sede e ciò dopo avere riprodotto la motivazione della sentenza
impugnata che, invece, a dette risultanze fa riferimento come oggetto di valutazione da
parte della sentenza di primo grado; b) si fonda sulle risultanze di una serie di
testimonianze, riguardo alle quali incorre nelle stesse omissioni già segnalate a proposito
del primo motivo (è da notare che per la testimonianza Rossi Nadia, se il motivo si legge al
lume del motivo successivo, dove, come si dirà, la dichiarazione testimoniale della
medesima è riprodotta, risulta comunque violato l’art. 366 n. 6 c.p.c., attesa la mancata
indicazione della data di assunzione, del relativo verbale e del se e dove esso sia stato
prodotto e sia esaminabile in questo giudizio, come si preciserà nell’esame del motivo
seguente).
§5. Con il quarto motivo si prospetta nuovamente: “Violazione e falsa applicazione
dell’ara. 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 5) c.p.c. per omessa, insufficiente o
contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia. Omessa valutazione di
tutte le prove acquisite in relazione agli artt. 2697 c.c. 116 e 132 n. 4 e 360 n. 3 e n. 5
c.p.c.”.
Il motivo è concluso da un “quesito di diritto” di identico tenore rispetto a quello
prospettato con riferimento al primo motivo, nonché dalla indicazione di “un fatto

11
Est. Cons. Raffahlefrasca

sceleris.>>.

R.g.n. 4765-08 (ud. 3.10.2008)

controverso” di identico tenore rispetto a quello proposto con riferimento al motivo
precedente.
§5.1. Il motivo è inammissibile per inosservanza dell’art. 366-bis c.p.c. quanto alla
denuncia di violazione di nonne del procedimento, atteso che al quesito si attagliano le
stesse considerazioni svolte a proposito dell’identico quesito di cui al primo motivo. E’
inammissibile per carenza del requisito del momento di sintesi per il motivo di cui all’art.
stesse considerazioni svolte in precedenza a proposito del motivo precedente e degli altri.
§5.2. Il motivo è comunque inammissibile per violazione dell’art. 366 n. 6 c.p.c.,
giacché si fonda su una testimonianza, quella Bordoli, di cui non riproduce né direttamente
né indirettamente il contenuto e non indica la sede di assunzione, e su altra testimonianza,
quella di Rossi Nadia, della quale riproduce il contenuto in via diretta, ma non indica la
sede di assunzione ed in particolare il verbale di udienza e nemmeno dice se e dove esso
sarebbe esaminabile (e ciò neppure indicando che sarebbe presente nel fascicolo d’ufficio:
Cass. sez. un. n. 22726 del 2011, citata).
§5.3. Il motivo, del resto, fermo che non svolge attività dimostrativa della violazione
delle nonne evocate, sarebbe anche inidoneo ad integrare un vizio di motivazione ai sensi
del n. 5 del’art. 360 c.p.c. nel testo applicabile al ricorso, giacché si risolve nella mera
lamentala che le due testimonianze non sarebbero state valutate, sì da non rispettare i
criteri di deduzione del vizio logico siccome indicati dalla giurisprudenza già richiamata
(Cass. (ord.) n. 16002 del 2007 e Cass. n. 22979 del 2004).
§6. L’inammissibilità di tutti i motivi determina quella del ricorso.
Non è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di cassazione.
P. Q. M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese del giudizio di
cassazione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile, il 3
ottobre 2013.

360 n. 5 c.p.c., atteso che le due proposizioni indicative del fatto controverso meritano le

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