Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25751 del 22/09/2021

Cassazione civile sez. III, 22/09/2021, (ud. 27/04/2021, dep. 22/09/2021), n.25751

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – rel. Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

N.D.N.K., (codice fiscale (OMISSIS)),

rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al

ricorso, dall’Avvocata Stefania Santilli, del Foro di Milano, presso

il cui studio è elettivamente domiciliato in Milano, Via Lamarmora

n. 42;

– ricorrente –

contro

IL MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del

Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis

dall’Avvocatura dello Stato, domiciliata in Roma, via del Portoghesi

n. 12;

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di n. 6969/2019, pubblicato il

4/9/2019;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27 aprile

2021 dal Presidente, Dott. Giacomo Travaglino.

 

Fatto

PREMESSO IN FATTO

– che il signor N., nato in il (OMISSIS) in (OMISSIS), ha chiesto alla competente commissione territoriale il riconoscimento della protezione internazionale di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4, ed in particolare:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis);

– che la Commissione Territoriale ha rigettato l’istanza;

– che, avverso tale provvedimento, egli ha proposto, ai sensi del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35, ricorso dinanzi al Tribunale di Milano, che lo ha rigettato con decreto reso in data 4 settembre 2019;

– che, a sostegno della domanda di riconoscimento delle cd. “protezioni maggiori”, il ricorrente – del quale il giudice di merito non aveva reputato necessaria una nuova audizione, “essendo stati raccolti tutti gli elementi necessari ai fini della decisione” (f. 3 del decreto) – di etnia (OMISSIS), aveva dichiarato di essere fuggito dal proprio Paese perché sostenitore e militante del gruppo politico (denominato (OMISSIS)) del presidente L.G., arrestato nel 2011, con l’incarico di occuparsi della sicurezza durante le manifestazioni di partito (a dimostrazione dell’assunto, veniva esibita la tessera del partito con la sua fotografia), e perciò esposto a vendette da parte degli esponenti del partito di maggioranza del neo presidente Q.; di essersi rifugiato in Ghana, trascorrendo 4 anni in un campo profughi, facendo poi ritorno in (OMISSIS) nel luglio del 2015, insieme alla madre, nella convinzione che la situazione politica si fosse ormai stabilizzata; di essere stato riconosciuto, un mese dopo, da esponenti del partito avversario, che lo percuotevano con pugni, calci e bastoni, ferendolo con un vetro al braccio sinistro e con un coltello alla mano sinistra; di aver perso i sensi e di essere stato soccorso dalla madre, che lo aveva condotto in ospedale.

– che, in via subordinata, aveva poi dedotto l’esistenza dei presupposti per il riconoscimento, in suo favore, della protezione umanitaria, in considerazione della propria – oggettiva e grave – condizione di vulnerabilità;

– che il Tribunale ha ritenuto insussistenti i presupposti per il riconoscimento di tutte le forme di protezione internazionale invocate dal ricorrente, la cui narrazione viene, peraltro, ritenuta in toto credibile, alla luce delle seguenti affermazioni: 1) “Difetto dell’attualità del pericolo, alla luce del costante miglioramento della situazione socio/politica della (OMISSIS) – pur permanendo un equilibrio particolarmente instabile in alcune aree del Nord e ad ovest del Paese” (f. 6 del decreto impugnato), “secondo le fonti all’uopo consultate”; 2) Conseguente insussistenza dei presupposti per il riconoscimento tanto dello status di rifugiato, quanto della protezione sussidiaria in ciascuna delle tre forme di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, alla luce della non attualità del rischio (lett. a e b), e dell’inesistenza di un conflitto armato nel Paese di respingimento (lett. c); 3) dell’impredicabilità di un’effettiva situazione di vulnerabilità del richiedente asilo idonea a giustificare il riconoscimento dei presupposti per la protezione umanitaria;

– che il provvedimento è stato impugnato per cassazione dall’odierno ricorrente sulla base di 3 motivi di censura;

– che il Ministero dell’interno non si è costituito in termini mediante controricorso.

Diritto

OSSERVA IN DIRITTO

1. Col primo motivo, si censura il decreto impugnato per violazione ex art. 360 c.p.c., n. 3 dei parametri normativi di cui al 25/20

art. 2, 5, 7 e 8; violazione della Convenzione di Ginevra e delle Linee guida UNHCR e dei parametri normativi previsti per la fondatezza del timore.

1.1. Il motivo – che lamenta il mancato riconoscimento dello status di rifugiato, ovvero della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, lett. b (f. 23 del ricorso) è manifestamente fondato.

1.2. Elemento costitutivo della fattispecie normativa disciplinata dal D.Lgs. n. 251 del 2007 è il fondato timore di subire atti persecutori a causa – tra l’altro delle proprie opinioni politiche, e consta di una componente tanto soggettiva (uno stato mentale e/o emotivo del soggetto) quanto oggettiva (la fondatezza del timore alla luce di circostanze oggettive ed “esterne” al soggetto stesso).

1.2.1. Le Linee guida dell’UNHCR (che, pur non costituendo norme cogenti, offrono tuttavia indicazioni indispensabili in subiecta materia, che ciascun giudice che si occupi di protezione internazionale dovrebbe conoscere e, se del caso, applicare in guisa di rinvio recettizio, quantunque improprio) indicano come la valutazione dell’elemento soggettivo della fattispecie non sia separabile dalla valutazione della personalità e della storia del richiedente asilo, alla luce delle esperienze che ne abbiano caratterizzato l’esistenza (e ciò anche al diverso fine di valutarne l’attendibilità e la credibilità – peraltro, nella specie, mai messa in discussione: par. 40-41 del Manuale UNHCR).

1.2.2. il D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3 (norma cogente, predicativa di un vero e proprio obbligo di cooperazione officiosa in capo all’autorità giudiziaria procedente) impone, dal suo canto, il dovere di acquisire informazioni precise ed aggiornate sulla situazione generale del Paese di eventuale respingimento, da interpretarsi nel senso (giurisprudenza di legittimità costante) della necessità che il giudice non si limiti ad elencare (a seguito di una frettolosa e superficiale ricerca sui siti intenet) le fonti di riferimento, ma ne indichi specificamente ed analiticamente il contenuto, sia pur soltanto rilevante in parte qua.

1.2.3. Analogamente, il D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 3, lett. c) impone la compiuta valutazione “della situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente… al fine di valutare se, in base alle circostanze personali del richiedente, gli atti a cui è stato o potrebbe essere esposto, si configurino come persecuzione o danno grave”, con l’ulteriore specificazione (comma 4) secondo cui “il fatto che il richiedente abbia già subito persecuzioni o danni gravi o minacce dirette di persecuzioni o danni costituisce un serio indizio della fondatezza del timore del richiedente di subire persecuzioni, salvo che si individuino elementi o motivi per ritenere che le persecuzioni o i danni gravi non si ripeteranno”.

1.2.4. L’esame della domanda di protezione internazionale, pertanto, si fonda su di una valutazione del rischio del richiedente di subire comportamenti persecutori sulla base di un giudizio prognostico, sebbene la sua esperienza individuale sia utile ad accertare l’esistenza del timore di persecuzione (Manuale UNHCR, par. 45).

1.2.5. Deve, inoltre, ritenersi principio generale quello secondo il quale non può essere rimpatriato un individuo che sia stato colpito da atroci forme di persecuzione, di cui stia ancora soffrendo il trauma (Manuale UNHCR, par. 136, che richiama, in parte qua, i principi della Convenzione di Ginevra, art. 1.c, nn. 5 e 6).

1.3. Alla luce di tali premesse, la decisione del tribunale milanese appare del tutto contraria a diritto, oltre che irredimibilmente viziata da illogicità manifesta e da insanabile contraddittorietà.

1.3.1. Si legge, difatti, al f. 6 del decreto impugnato, che, “secondo le fonti consultate, la situazione socio-politica in (OMISSIS) è in costante miglioramento, pur permanendo un equilibrio particolarmente instabile in alcune aree del nord e ad ovest del paese” (segue un elenco di fonti relative agli anni 2017 e 2018, prive, peraltro, di qualsivoglia indicazione del relativo contenuto).

1.3.2. Si precisa poi come “numerosi abitanti rifugiatisi nei Paesi vicini stiano facendo spontaneamente ritorno nel Paese”, peraltro alla luce di una COI ((OMISSIS)) risalente all’anno 2015 (e cioè anteriore di ben 4 anni alla data di decisione), per poi specificarsi come “non si registrino diffuse persecuzioni nei confronti dei civili che ebbero a sostenere il deposto presidente G.”.

1.3.3. Il ragionamento probatorio viene, poi, portato a compimento (f. 7 del decreto) collegando la premessa maggiore – (tratta da Unità COI, Ministero dell’interno 24.11.2017) secondo cui “l’esposizione a minacce o aggressioni ha invero riguardato principalmente coloro che avevano attivamente sostenuto l’ex presidente sconfitto, e notoriamente appartenenti alle classi sociali più agiate o comunque i cui appartenenti avevano rivestito posizioni di spicco nello scenario politico e che temevano concretamente di essere perseguitati e che avevano frequentemente scelto la via dell’esilio” – alla seguente conclusione: “il ricorrente allega di essere stato un militante del partito (come risulterebbe dalla allegata tessera prodotta in atti), ma non un esponente di spicco, avendo avuto il ruolo di vigilanza durante le manifestazioni. Pertanto, la vicenda narrata esula comunque dalla fattispecie e non consente di pronosticare un rischio di persecuzione in caso di rimpatrio”.

1.4. L’inemendabile vizio da cui risulta affetto, in parte qua, il decreto impugnato è rappresentato dalla incomprensibile omissione di un fatto decisivo, dalla palese erroneità del ragionamento probatorio, condotto in modo parziale ed omissivo sul piano inferenziale, dalla incongruenza delle conclusioni tratte in via presuntiva, in guisa di falso sillogismo, dai fatti noti allegati.

1.5. Il fatto decisivo, la cui considerazione e valutazione è stata del tutto omessa dal Tribunale di Milano, è rappresentato dalla circostanza per cui, nell’anno 2011, il richiedente asilo, temendo per la propria incolumità, aveva lasciato il Paese per rifugiarsi in Ghana, facendovi ritorno nell’agosto del 2015, e cioè a distanza di ben 4 anni (nella convinzione che la situazione si fosse ormai stabilizzata: f. 3 del decreto impugnato). Secondo la stessa ricostruzione del giudice di merito – che, in premessa, ha ritenuto totalmente attendibile il richiedente asilo in ogni parte della sua narrazione, ciò che, ad oggi, costituisce giudicato interno sul piano processuale – al suo ritorno il signor N. veniva riconosciuto da esponenti del partito avversario e selvaggiamente aggredito.

1.5.1. Non vengono, inoltre, in alcun modo considerate le conseguenze di tale aggressione, puntualmente specificate dalla difesa del ricorrente al folio 18 dell’odierno atto di impugnazione in ossequio al principio di autosufficienza, contenute nella certificazione medico-legale dell’Università degli studi di Milano (sul punto, amplius, infra, sub ?) e ritenute dai medici dell’equipe che ha visitato il richiedente asilo “altamente coerenti con il racconto fornito dal ricorrente”.

1.5.2. Dalla certificazione in atti risulta, testualmente, l’esistenza delle seguenti lesioni, subite nel corso della medesima aggressione:

– abrasione all’orecchio sinistro da ricondursi (come riferito dal ricorrente) all’azione termica esercitata da un mozzicone di sigaretta spento a diretto contatto con la cute, tortura subita in (OMISSIS) durante l’aggressione del luglio 2015, mentre si trovava a casa ad (OMISSIS);

– tumefazione mediana di consistenza dura e violenta alla colonna vertebrale – lesione prodotta con calci e bastonate;

– lesione al braccio sinistro prodotta dall’azione tagliante di un pezzo di bottiglia;

– cicatrice al terzo dito della mano sinistra provocata da un coltello.

1.5.3. Risulta intrinsecamente contraddittoria (oltre che priva del tutto di logica) l’affermazione secondo cui (f. 6 del decreto) “difetterebbe, nel caso di specie, l’attualità del pericolo”, fondata esclusivamente sulla generica (quanto inconsistente, a fini probatori) affermazione secondo cui “la situazione sociopolitica in (OMISSIS) è in costante miglioramento”.

1.5.4. Non è dato comprendere, alla luce di tale considerazione, come tale “generico miglioramento” spieghi una rassicurante influenza sulla condizione personale del ricorrente (la cui credibilità, va ripetuto, non è mai stata messa in discussione): né maggior efficacia probatoria, in una pur necessaria dimensione di analisi individuale della fattispecie, può essere riconosciuta alla apparente “specificazione” (“non si registrano diffuse persecuzioni nei confronti dei civili che ebbero a sostenere il deposto presidente G.”), a sua volta viziata da inemendabile genericità, che si legge al primo capoverso del f. 7.

1.5.5. Insanabilmente contraddittoria, oltre che apodittica e indimostrata, risulta, infine, la conclusione secondo cui, dalla premessa tratta dal Report del Ministero dell’interno (supra, sub 1.3.3.), non sarebbe stato consentito di pronosticare un rischio di persecuzione del ricorrente in caso di rimpatrio, “avendo il ricorrente allegato di essere stato un militante del partito (come risulterebbe dall’allegata tessera prodotta in atti), ma non un esponente di spicco, avendo avuto un ruolo di vigilanza durante le manifestazioni”.

1.5.6. L’affermazione non si confronta, né sul piano logico, né su quello del ragionamento presuntivo, con le seguenti circostanze di fatto:

– la fuga del signor N. dal Paese di origine è avvenuta nel 2011;

– il rifugio nel campo profughi ghanese è durata 4 anni;

– nel 2015, egli fa ritorno in Patria, nella convinzione che la situazione si fosse ormai stabilizzata;

– Nell’agosto del 2015, e cioè a distanza di 4 anni, egli viene fatto oggetto di una violentissima aggressione, di cui ancor oggi porta i segni.

– La decisione del Tribunale milanese viene depositata a distanza di 4 anni dalla fuga in Italia del richiedente asilo.

1.5.7. Perdono consistenza, pertanto, le evanescenti deduzioni del giudice di merito, attesane, da un canto, l’assoluta irrilevanza sul piano individuale – la situazione in (OMISSIS) “in costante miglioramento” – dall’altro, la manifesta illogicità e la insanabile contraddittorietà intrinseca – non è dato comprendere come mai un militante del partito, “ma non un esponente di spicco avente il ruolo di vigilanza durante le manifestazioni” sia stato atteso per ben quattro anni dopo la sua fuga e sia stato oggetto di una violentissima e brutale aggressione da parte degli esponenti del partito opposto (né il tribunale specifica, a supporto della sua illazione, di aver letto, sulla tessera dell'(OMISSIS) prodotta in atti, la dicitura “militante del partito ma non esponente di spicco”).

1.6. In punto di rilevanza della condizione di vulnerabilità soggettiva del richiedente asilo, va ancora osservato come, al folio 11 del decreto impugnato il Tribunale (nel rigettare la domanda di protezione umanitaria) affermerà:

a) Che in data 25 giugno 2019 era stata depositata una relazione del medico curante, nella quale, si afferma, “non era specificata alcuna terapia in atto ovvero un percorso terapeutico necessario, facendosi riferimento alla relazione psicologica del “(OMISSIS)” alla quale il medico rinviava”;

b) Che la relazione concludeva nel senso che “alla luce di questi elementi, pensiamo che una condizione di maggiore sicurezza e stabilità quale quella derivante dalla possibilità di stabilirsi in modo regolare nel nostro Paese, poter lavorare e continuare il percorso terapeutico intrapreso permetta a D. di progettare il suo futuro in modo concreto per integrarsi attivamente nel contesto italiano”;

c) Che tale documento non poteva essere preso in considerazione (sia pur se valutato, come già detto, ai fini della protezione umanitaria), poiché conteneva, in sostanza, “più che un’indicazione di una diagnosi e di un percorso terapeutico da intraprendere, un auspicio che gli psicologi (che non risultavano lavorare presso una struttura pubblica) esprimevano sulla base di un “sentimento umanitario” che nulla aveva a che vedere con la vulnerabilità richiesta ai fini della protezione umanitaria”;

1.7. Le affermazioni del Tribunale risultano del tutto erronee quanto alla valutazione di vulnerabilità del ricorrente ai fini del riconoscimento della protezione internazionale nelle sue forme cd. “maggiori” – a nulla rilevando che i fatti rilevanti ai fini del giudizio di vulnerabilità siano stati allegati dalla difesa al diverso fine di ottenere il riconoscimento della protezione umanitaria, trattandosi, come questa Corte ha già avuto modo di evidenziare, di domande cd. autodeterminate, che lasciano al giudice il compito, una volta valutati i fatti storici allegati, di riconoscere la forma di protezione che, in iure, risulti la più confacente al caso in esame (per tutte, Cass. 8819/2020).

1.8. Sono, per altro verso, non rispondenti al vero le affermazioni relative alla situazione ed alla valutazione clinica del richiedente asilo.

1.8.1. Nella relazione medica (riportata testualmente dalla difesa del ricorrente al folio 34 del ricorso, in ossequio al principio di autosufficienza) cui fa riferimento il Tribunale per poi trarne le conclusioni poc’anzi descritte, si legge, infatti:

a) Che il signor N. era affetto da tubercolosi e da epatite cronica H BV;

b) Che presentava altresì rachialgie croniche gravi al livello del rachide lombosacrale… per le quali era stato curato collegialmente da ortopedici ospedalieri e infettivologi e per le quali aveva subito un ricovero ospedaliero nell’ospedale Niguarda dal (OMISSIS);

c) Che il paziente era cronicamente molto sofferente per il dolore lombare, da cui derivava una limitazione funzionale importante, con percorso di marcia limitato, ma dolori anche a riposo;

d) Che il quadro emerso all’esito di RMN e PET era quello di una spondilodiscite con edema osseo del corpi vertebrali L4-S1, protrusioni discali multiple, infiammazione ossea;

e) Che il paziente era clinicamente depresso, manifestando insonnia causata da dolori ma anche dallo stato di prostrazione psicologica legata alle proprie condizioni cliniche e socioeconomiche, tanto da risultare spesso confuso anche temporalmente o sugli esiti delle indagini effettuate;

f) Che il paziente era stato dimesso nel 2018 con terapia del dolore Oxicodone 10 mg. 1 cpr x 2/die; Clonazapam gtt-5 gocce la sera; Prebalin 75 mg. 1 c.p. x 2/die;

g) Che il paziente aveva sospeso autonomamente la terapia perché non in grado di sostenerne la spesa;

h) Che il paziente era seguito dal centro psicologico Terranuova per i disturbi psicologici in atto.

1.8.2. Emerge ex actis, pertanto, dalla relazione del medico curante, la descrizione, oltre che delle gravissime patologie (neanche in parte prese in considerazione dal Tribunale), e delle specifiche diagnosi (del pari ignorate nel provvedimento impugnato), anche quella delle terapie prescritte, diversamente da quanto erroneamente affermato al secondo rigo del folio 11 del decreto – in conseguenza (quantomeno) di una omessa o superficiale lettura degli atti del procedimento – ove si legge che, “nella relazione del medico curante non è specificata alcuna terapia ovvero alcun percorso terapeutico necessario da intraprendere”.

1.8.3. Quanto al contenuto della relazione psicologica, assai singolarmente definita dal Tribunale come “un auspicio” (espresso da psicologi la cui attendibilità, parrebbe adombrarsi, sarebbe sminuita dalla circostanza “di non lavorare presso una struttura pubblica”) manifestato “sulla base di un sentimento umanitario che nulla avrebbe a che vedere con la vulnerabilità del ricorrente”, una più attenta lettura del suo contenuto (e pur volendo generosamente prescindere dalla opinabilità intrinseca dell’affermazione) avrebbe consentito di verificare che non di un auspicio, ma di un convincimento prognostico espresso su basi cliniche da pecialisti della materia (tali non potendosi di certo ritenere i membri del collegio giudicante, che arbitrariamente sovrappongono le proprie illazioni a documentati dati clinici esaminati da professionisti del settore).

1.9. La motivazione, in definitiva, presenta, in parte qua, inemendabili vizi di manifesta illogicità e di insanabile contraddittorietà, oltre a quello dell’errata applicazione del meccanismo presuntivo nello sviluppo del ragionamento probatorio, ed è tale da porsi ben al di sotto del minimo costituzionale richiesto dalle sezioni unite di questa Corte per la sua validità (Cass. ss.uu. 8053/2014).

2. Col secondo motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 2, lett. g) e art. 14, comma 1, lett. c) nonché l’omesso esame di un fatto decisivo, per avere il Tribunale erroneamente escluso che nel paese di origine vi sia una situazione di instabilità tale da comportare minaccia grave alla vita e alla persona del richiedente;

2.1. Il motivo è infondato.

La domanda di protezione sussidiaria ex art. 14, lett. c) viene correttamente rigettata dal Tribunale sull’assunto per cui, “dalle informazioni raccolte, risulta che il conflitto armato conseguito alla crisi post-elettorale del 2010 è cessato” (vengono, in proposito, indicate COI attendibili e aggiornate sino all’anno 2018).

2.2. A tali considerazioni, non censurabili in punto di fatto, parte ricorrente si limita a contrapporre, oltre che considerazioni di ordine generale – corrette in diritto, ma inconferenti rispetto al caso di specie – l’esistenza di un Report dell’UNHCR, privo di data, nel quale si legge “di rancori preesistenti al 2012 tra i vari gruppi etnici” senza, peraltro, fornire alcuna ulteriore (quanto necessaria) indicazione più aggiornata e idonea, in ipotesi, a smentire la ricostruzione operata in parte qua dal giudice di merito.

3. Con il terzo motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione di legge (tra gli altri, del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 2), in relazione alla domanda di protezione per motivi umanitari.

3.1. Il motivo, formalmente assorbito nell’accoglimento del primo, e’, nella sostanza, pienamente fondato – di tal che il giudice del rinvio – ove in astratta ipotesi necessario – valuterà la relativa domanda alla luce dei criteri che seguono.

3.1.1. Correttamente il ricorrente lamenta, oltre che l’omesso esame di fatti decisivi nella valutazione della condizione di vulnerabilità del ricorrente (di cui si è detto in precedenza), anche l’illegittima omissione di qualsivoglia giudizio comparativo tra la condizione del richiedente asilo in Italia e la situazione oggettiva del Paese di origine, in spregio ai principi più volte affermati da questa Corte regolatrice in tema di protezione umanitaria, a mente dei quali, se, per il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, lett. a) e b) deve essere dimostrato che il richiedente asilo abbia subito, o rischi concretamente di subire, atti persecutori come definiti dall’art. 7 (atti sufficientemente gravi per natura o frequenza, tali da rappresentare una violazione grave dei diritti umani fondamentali, ovvero costituire la somma di diverse misure il cui impatto si deve risolvere in una grave violazione dei medesimi diritti), così che la decisione di accoglimento consegue ad una valutazione prognostica dell’esistenza di un rischio, onde il requisito essenziale per il riconoscimento di tale forma di protezione consiste nel fondato timore di persecuzione, personale e diretta, nel paese di origine del richiedente asilo, alla luce di una violazione individualizzata – e cioè riferibile direttamente e personalmente al richiedente asilo in relazione alla situazione del Paese di provenienza, da compiersi in base al racconto ed alla valutazione di credibilità operata dal giudice di merito, diversa, invece, è la prospettiva dell’organo giurisdizionale in tema di protezione umanitaria, per il riconoscimento della quale è necessaria e sufficiente, anche al di là ed a prescindere dal giudizio di credibilità del ricorrente (peraltro, ritenuto pienamente attendibile, nella specie) la valutazione comparativa tra il livello di integrazione raggiunto in Italia e la situazione del Paese di origine, qualora risulti ivi accertata la violazione del nucleo incomprimibile dei diritti della persona che ne vulnerino la dignità – accertamento che prende le mosse, e non può prescindere, dal dettato costituzionale di cui all’art. 10, comma 3, ove si discorre, significativamente, di impedimento allo straniero dell’esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana.

3.2. Il riconoscimento della protezione umanitaria postula – una volta che il richiedente abbia allegato i fatti costitutivi del diritto – l’obbligo per il giudice del merito, ai sensi del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, estensivamente interpretato, di cooperare nell’accertamento della situazione reale del Paese di provenienza, mediante l’esercizio di poteri/doveri officiosi d’indagine, ed eventualmente di acquisizione documentale (Cass. n. 28435/2017; Cass. 18535/2017; Cass. 25534/2016) – essendo quel giudice investito di singole vicende aventi ad oggetto diritti fondamentali della persona – e non di cause cd. “seriali”, improvvidamente risolte con motivazioni “di stile” altrettanto seriali – in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate sul Paese di origine del richiedente; e al fine di ritenere adempiuto tale obbligo officioso, l’organo giurisdizionale è altresì tenuto ad indicare specificatamente le fonti in base alle quali abbia svolto l’accertamento richiesto (Cass. n. 11312 del 2019), ma senza incorrere nell’errore di utilizzare le fonti informative che escludano (a torto o a ragione) l’esistenza di un conflitto armato interno o internazionale (rilevanti al solo fine di valutare la domanda di protezione internazione sub specie del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) – al diverso fine di valutare la situazione del Paese di origine sotto l’aspetto della mancata tutela dei diritti umani e del loro nucleo incomprimibile, erroneamente riferendosi per relationem al contenuto dello COI utilizzate per escludere l’esistenza di un conflitto armato, ove queste risultino mute rispetto alla descritta esigenza.

3.3. Nella specie, la motivazione adottata dal giudice di merito per respingere la domanda di protezione umanitaria, sulla premessa (già erronea ex se) secondo cui “non erano stati allegati fatti diversi da quelli posti, in generale, a fondamento della domanda di protezione in precedenza esaminati”, risulta così concepita (decimo foglio, sesto capoverso): “i rischi connessi alla re-immissione nel territorio della (OMISSIS) in relazione sia alla condizione personale che alla situazione generale del Paese sono stati compiutamente analizzati in precedenza; con l’ulteriore precisazione (che richiama il dictum di Cass. 4455/2918) secondo cui (decimo foglio, settimo capoverso) “la domanda è stata rigettata per ritenuta insussistenza dei motivi di inclusione (ossia dei requisiti fondamentali per il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria), sicché è stato escluso il rischio di essere immesso nuovamente in un contesto sociale, politico o ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili”.

3.3.1. Trattasi di motivazione non conforme a diritto, sotto plurimi e concorrenti aspetti.

3.4. Sul piano comparatistico, in punto di valutazione della integrazione del richiedente asilo, frettolosa e superficiale risulta, difatti, l’affermazione (f. 10, penultimo capoverso) secondo cui “il ricorrente risulta esclusivamente aver svolto (e proficuamente) le tipiche attività organizzate dai centri di accoglienza”, situazione ritenuta “non indicativa di un effettivo radicamento in Italia, e quindi non valutabile sotto il profilo dell’art. 8 CEDU”.

3.4.1. La circostanza, per converso, appariva meritevole di ben più approfondita valutazione in seno al poc’anzi illustrato modello del giudizio di comparazione, alla luce delle considerazioni che seguono.

3.5. Il principio di comparazione trova una sua ulteriore specificazione nella valutazione della condizione personale del richiedente asilo condotta alla luce delle conseguenze di un suo eventuale rimpatrio attraverso un bilanciamento di tipo ipotetico, che non può prescindere dall’analisi e dal significato del sintagma “condizione di vulnerabilità” (Cass. 1104/2020, in relazione ad una vicenda di tratta e di avviamento alla prostituzione di una donna Nigeriana verificatasi in Libia, alla quale non era stato -correttamente – riconosciuto lo status di rifugiata sol perché la vicenda si era consumata nel Paese di transito e non in quello di rimpatrio).

3.6. Gli interessi protetti dalla norma, difatti, non possono restare ingabbiati in regole rigide e parametri severi, che ne limitino le possibilità di adeguamento, mobile ed elastico, ai valori costituzionali e sovranazionali, sicché l’apertura e la residualità della tutela non consentono tipizzazioni (ex multis, Cass. 15 maggio 2019, nn. 13079 e 13096), come espressamente affermato dalle stesse sezioni unite di questa Corte (Cass. ss.uu. 29459/2019), che spiegano come le relative basi normative non siano “affatto fragili” ma “a compasso largo”: l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali, col sostegno dell’art. 8 Cedu, promuove l’evoluzione della norma, elastica, sulla protezione umanitaria a clausola generale di sistema, capace di favorire i diritti umani e di radicarne l’attuazione.

3.7. Sulla base di tali, generali principi posti a presidio dell’istituto della protezione umanitaria, si innesta la specifica esigenza, qualora il richiedente asilo sia stato ritenuto credibile, (dovendo viceversa operarsi, nel caso opposto, secondo l’parametri indicati supra, sub 3.2.) di procedere ad una valutazione soggettiva ed individuale, condotta caso per caso (onde impedire che il giudice di merito si risolva a declinare valutazioni di tipo “seriale”, improntate ai più disparati quanto opinabili criteri altrettanto seriali, a mò di precipitato di una chimica incompatibile con valori tutelati dalla Carta costituzionale e dal diritto dell’Unione), volta che oggetto del giudizio è pur sempre la persona, con i suoi diritti fondamentali e la sua dignità di essere umano.

3.8. Nel giudizio di bilanciamento (evocato dalle sezioni unite di questa Corte, che ne sottolineano il rilievo centrale), il grado di integrazione effettiva non può prescindere dalla preliminare analisi della condizione di vulnerabilità del richiedente asilo.

3.8.1. Giova, in proposito, richiamare un fondamentale passaggio della citata sentenza, ove si legge – sia pur con riferimento al diverso istituto della protezione sussidiaria – che questa ha per presupposto e condizione gli scontri che rappresentino una minaccia personale grave alla vita o all’integrità fisica del ricorrente: quanto più il ricorrente è in grado di dimostrare di essere esposto a rischi, tanto minore è il livello di violenza indiscriminata richiesto per il riconoscimento della protezione sussidiaria.

3.8.2. Da tale – del tutto condivisibile – affermazione scaturisce, sul piano logico, un più generale principio che può essere sinteticamente definito “di comparazione attenuata”, concettualmente caratterizzato da una relazione di proporzionalità inversa tra fatti giuridicamente rilevanti, che impone un peculiare bilanciamento tra la condizione soggettiva del richiedente asilo, alla luce della situazione oggettiva del Paese di eventuale rimpatrio, e il grado di integrazione raggiunto nel paese di accoglienza.

3.9. Mutatis mutandis rispetto al principio affermato dalle sezioni unite di questa Corte, va conseguentemente affermato che, quanto più risulti accertata in giudizio una situazione di particolare o eccezionale vulnerabilità, alla luce della condizione e della tutela dei diritti umani nel Paese di rimpatrio, tanto più è consentito al giudice di valutare con rigore assai minore il secundum comparationis, costituito dalla oggettiva integrazione del richiedente asilo nel Paese di accoglienza, onde la conseguente attenuazione dei criteri di giudizio del livello di integrazione raggiunto in Italia.

3.10. Nel caso di specie, il giudice di merito mostra di non dubitare delle indicibili violenze subite dall’odierno ricorrente all’atto del suo ritorno in (OMISSIS).

3.10.1. Osserva il collegio come possa legittimamente ricondursi alle massime di comune esperienza (che, giusta l’insegnamento di cui a Cass. ss.uu. 26792/2008, costituiscono un mezzo di prova di pari dignità rappresentativa rispetto alla prova storica o documentale), la conclusione per la quale la condizione emotiva, ancor prima che fisica, di un militante di partito sottoposto, in ragione del suo credo politico, ad una violentissima aggressione, ampiamente documentata dagli accertamenti clinici e dalle risultanze di quelli psicologici, integri gli estremi di una eccezionale vulnerabilità, che si sostanzia e viene vissuta in una delle più elevate e dolorose di tutte le sue possibili forme.

3.11. Sulla base di tali premesse, è compito del giudice, una volta accertata la credibilità del narrato e del vissuto interrogarsi – oltre che sul profilo topico-comparativo delle possibili situazioni di vita futura – sulla residua capacità di una persona portatrice di un simile vissuto di essere sottoposta, e di poter ancora accettare, sopportare e subire una qualsiasi ulteriore forma di violenza – benché di tipo e di intensità sicuramente diversa – quale, indubitabilmente, quella che la costringa, ancora una volta contro la sua volontà, ad abbandonare il Paese di accoglienza ed essere obbligata a far ritorno a quello di origine.

3.12. Una particolare situazione di vulnerabilità impone, conseguentemente, una valutazione comparativa fortemente “attenuata” del requisito dell’integrazione, di tal che assume ben diversa consistenza, e merita un’analisi condotta in ben diversa ottica, la circostanza “di aver svolto proficuamente le tipiche attività organizzate dai centri di accoglienza”.

3.13. L’accoglimento del motivo in esame, condizionato, come si è in precedenza specificato, al riesame della domanda di protezione maggiore, comporta che il giudice del rinvio, ove intenda ipoteticamente procedere all’esame della domanda di protezione umanitaria, si atterrà rigorosamente ai principi dianzi indicati.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa il provvedimento impugnato e rinvia il procedimento al Tribunale di Milano, che, in diversa composizione, farà applicazione dei principi di diritto suesposti.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte di cassazione, il 27 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2021

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