Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25751 del 15/11/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 25751 Anno 2013
Presidente: PETTI GIOVANNI BATTISTA
Relatore: FRASCA RAFFAELE

SENTENZA

sul ricorso 4750-2008 proposto da:
LUCCI

MARIO

LCCMRA27B14A132J,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DELLA FISICA 7, presso lo
studio dell’avvocato ALECCE PATRIZIO, che lo
rappresenta e difende giusta delega in atti;
ricorrente
2013
1810

contro

COMUNE DI POMEZIA 02298490588 in persona del Sindaco
p.t. Sig. ENRICO DE FUSCO, elettivamente domiciliato
in ROMA, VIALE GIUSEPPE MAZZINI 113, presso lo studio
dell’avvocato DI BATTISTA GIOVANNI, che lo rappresenta

1

Data pubblicazione: 15/11/2013

e difende giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 3886/2007 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 01/10/2007, R.G.N. 8555/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

FRASCA;
udito l’Avvocato PATRIZIO ALECCE;
udito l’Avvocato GIOVANNI DI BATTISTA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ANTONIETTA CARESTIA che ha concluso per
il rigetto del ricorso;

2

udienza del 03/10/2013 dal Consigliere Dott. RAFFAELE

R.g.n. 4750-08 (ud. 3.10.2008)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

§1. Con sentenza del 1° ottobre 2007 la Corte d’Appello di Roma ha dichiarato
inammissibile l’appello proposto da Mario Lucci contro il Comune di Pomezia avverso la
sentenza dell’ 1 l luglio 2003, con cui il Tribunale di Roma aveva rigettato le domande
proposte dal Lucci nel marzo del 2003 contro il Comune.
Alla declaratoria della inammissibilità dell’appello è pervenuto, in accoglimento

dell’eccezione proposta dal Comune appellato, sulla base della seguente motivazione: dopo
avere richiamato il contenuto dell’art. 342 c.p.c. in ordine alla prescrizione che l’appello
debba contenere le indicazioni prescritte dall’art. 163 c.p.c. ed avere rilevato che il terzo
capoverso di tale norma stabilisce che la citazione debba contenere “la determinazione
della cosa oggetto della domanda” e che l’omissione o l’assoluta incertezza di tale
requisito è previsto dal quarto capoverso dell’art. 164 c.p.c. che determini la nullità della
citazione, la Corte capitolina si è cosi espressa: <>. Prima
dell’esposizione dei motivi, l’atto recava l’esposizione del fatto sostanziale e processuale.
La Corte territoriale, contemplando l’art. 342 c.p.c., che è la norma regolatrice della
forma dell’appello, avrebbe dovuto esaminare innanzitutto se i motivi erano specifici e se
erano parametrati alla motivazione della decisione impugnata, atteso che il motivo di
appello, come qualsiasi motivo di impugnazione, implicando necessariamente una critica
alla decisione impugnata, deve altrettanto necessariamente considerare la sua motivazione
(Cass. n. 359 del 2005, seguita da numerose conformi).
Avrebbe, poi, dovuto interrogarsi sul senso dell’ulteriore proclamazione che la
norma fa circa le indicazioni prescritte dall’art. 163 c.p.c. ed avrebbe dovuto farlo
considerando che tale rinvio, per un evidente principio di non contraddizione, si deve
coniugare con quanto la norma già prescrive nel senso ora detto con la regola della
specificità dei motivi ed in generale con il porsi l’atto di appello, quale domanda di
impugnazione diretta contro la sentenza di primo grado, in necessaria correlazione con lo
svolgimento processuale di primo grado e la sentenza stessa.
In tale ottica, attesa la sicura inerenza dei motivi siccome specifici alla funzione di
individuare la “domanda” sottesa all’esercizio del diritto di impugnazione, cioè la
postulazione del particolare giudizio che si esprime con l’appello, e considerato che tanto
«la determinazione della cosa oggetto della domanda>>, cui allude l’art. 163 n. 3, tanto
«l’esposizione dei fatti e degli elementi dei diritto costituenti le ragioni della domanda
7
Est. Cons. Raffae1e Frasca

R.g.n. 4750-08 (ud. 3.10.2008)

con le relative conclusioni», cui allude l’art. 163 n. 4, quali requisiti riferibili alla
citazione di primo grado, in quanto facenti parte del fatto processuale di primo grado
debbono essere riferiti nell’esposizione sommaria del fatto, la Corte territoriale avrebbe
dovuto considerare che i detti requisiti, se considerati con riguardo alla citazione di
appello, sono necessariamente requisiti che appaiono contenuti impliciti, ma necessari,
dell’ottemperanza al particolare requisito della specificità dei motivi di appello già previsto
dall’art. 342 c.p.c., sicché l’ulteriore prescrizione delle indicazioni di cui all’art. 163 c.p.c.

non può che concernere requisiti previsti da tale norma distinti da quelli del n. 3 e del n. 4
di essa.
In pratica, l’art. 342 c.p.c., quando, nel testo anteriore a quello risultate dal d.l. n.
83 del 2012, convertito con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, disponeva che la
citazione di appello dovesse rispettare il requisito della specificità dei motivi e poi
ulteriormente ch’essa recasse le indicazioni prescritte dal’art. 163, doveva intendersi
nel senso che la previsione del detto requisito assorbisse i contenuti di cui all’art. 163
nn. 3 e 4 c.p.c., in quanto essi, con riferimento alla domanda proposta con l’atto di
appello erano necessariamente implicati dall’onere di specificità, onde la prescrizione
delle indicazioni di cui all’art. 163 andava riferita, con il limite della pertinenza (vedi
ora per il n. 7 dell’art. 163 Cass. sez. un. n. 9407 del 2013) agli altri numeri dell’art.
163.
Ne segue che, con riferimento alla prescrizione del n. 4 dell’art. 163 riguardo
alle conclusioni, si doveva ritenere che essa fosse già immanente a quella della
specificità, di modo che la valutazione sull’esistenza delle conclusioni in ordine alla
postulazione dell’esito dell’appello sulla sentenza di primo grado si risolveva in quella
sottesa dall’apprezzamento del rispetto della specificità. L’applicazione alla
valutazione della specificità del criterio della idoneità al raggiungimento dello scopo
comportava, in conseguenza, che, in assenza formale di una parte conclusiva dell’atto
di appello, riassuntiva della conclusioni riguardo all’incidenza sulla sentenza di primo
grado, ben fosse possibile desumere le stesse dalla considerazione analitica o
complessiva dei motivi. Ciò, perché il motivo di appello, per essere specifico, doveva
necessariamente essere conclusivo, cioè rapportarsi alla motivazione della sentenza di
primo grado con necessaria indicazione del suo riesame e, quindi, dell’esito di esso e,
dunque, di una conclusione.

La sentenza impugnata non ha rispettato tali principi (sostanzialmente già sottesi nel
seguente principio di diritto, affermato dalla Sezione Lavoro: <> (così Cass. n. 7585 del 2003 e, in
precedenza, Cass. n. 407 del 1986), giacché, non solo ha assunto in modo del tutto confuso
e generico i contenuti degli artt. 342, 163 e 164 (tra l’altro senza considerare che
quest’ultima norma non sanziona con la nullità la mancanza delle conclusioni di per sé
considerata), ma ha poi espressamente sanzionato la mancanza di conclusioni finali in
ordine al modo in cui si chiedeva riformare la sentenza di primo grado, quasi che le
conclusioni, anche nell’art. 163 c.p.c., partecipino dei requisiti della determinazione della
cosa oggetto della domanda e delle ragioni di essa, cioè della causa petendi e del petitum
sostanziale e dei fatti costitutivi della prima riguardo ai c.d. diritti eterodeterminati, mentre,
invece, esse sono relative al c.d. petitum immediato, cioè al provvedimento richiesto al
giudice, che, con riferimento al giudizio di appello si risolve in un aspetto che implica
l’effetto provvedimentale sulla sentenza di primo grado e nel contempo l’effetto
provvedimentale chiesto con riferimento alla tutela sostanziale domandata.
Effetti che nell’atto di appello, se, secondo un criterio di ordinata esposizione,
dovrebbero assumere rilievo formale autonomo, tuttavia necessariamente sono parte
dell’esposizione di un motivo, se condotta in modo specifico, sicché bene possono anche
solo risultare da esso.
Nel caso di specie, poi, la richiesta di accoglimento dell’appello per i motivi esposti
si risolveva anche nel ribadire quanto emergeva da ciascun motivo.
La Corte territoriale avrebbe, dunque, dovuto condurre l’indagine sull’esistenza delle
conclusioni nel quadro di quella sulla specificità e, sotto tale profilo, l’esame dei cinque
motivi rivela il rispetto dell’esigenza di specificità anche per quanto attiene alle
conclusioni riguardo alla sentenza di primo grado.
9
Est. Con

aele Frasca

R.g.n. 4750-08 (ud. 3.10.2008)

E ciò anche con rifermento all’esistenza in primo grado di una domanda principale e
di una domanda subordinata: infatti, l’esposizione di tutti i motivi contiene chiari elementi
che avrebbero potuto consentire alla Corte territoriale di comprendere a quale domanda si
riferivano.
In particolare: a) il primo motivo di appello denunciava omessa pronuncia della
sentenza di primo grado sulla domanda subordinata, onde chiaramente esprimeva la

d’appello; b) il secondo postulava che, se il primo giudice avesse avuto contezza del dover
provvedere su detta domanda, avrebbe dovuto sospendere ai sensi dell’art. 295 c.p.c.; c) il
terzo postulava la stessa cosa; d) il quarto, lamentando l’erronea dichiarazione di
inammissibilità di domande proposte ai sensi dell’art. 183 c.p.c., evidentemente postulava
che esse dovessero invece esaminarsi; e) il quinto faceva riferimento alla sentenza del
Tribunale e, dunque, necessariamente rapportava l’impugnazione ad essa e implicava una
conclusione.
L’esame dell’appello rivela, dunque, che i motivi recavano le conclusioni, cioè le
richieste di intervento sulla sentenza di primo grado inerenti il c.d. petitum immediato e
semmai la Corte territoriale avrebbe dovuto valutare — fermo l’apprezzamento della loro
fondatezza – se per caso la loro direzione non implicasse acquiescenza rispetto alla
domanda principale.
§4. La sentenza impugnata dev’essere, dunque, cassata con rinvio ad altra Sezione
della Corte di Appello di Roma, comunque, in diversa composizione. La Corte di rinvio
esaminerà l’appello ritenendo che esso conteneva le conclusioni in ordine alla chiesta
riforma della sentenza di primo grado e procederà all’esame dei motivi individuando sulla
base del loro tenore a quale fra le domande proposte in primo grado in via principale ed in
via subordinata si riferiscano, se del caso riscontrando se essi si riferiscano soltanto a
quella subordinata.
Al giudice di rinvio è rimesso di regolare le spese del giudizio di cassazione.

P. Q. M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione
della Corte d’Appello di Roma in diversa composizione anche per le spese del giudizio di
cassazione.

10
Est. Cons.

aele Frasca

conclusione nel senso che su quella domanda dovesse decidersi da parte del giudice

R.g.n. 4750-08 (ud. 3.10.2008)

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile, il 3

ottobre 013.

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