Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25750 del 30/10/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 30/10/2017, (ud. 25/05/2017, dep.30/10/2017),  n. 25750

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antoni – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – rel. Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4666-2012 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

G.R., elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO TRIESTE

128, presso lo studio dell’avvocato LUIGI FERDINANDO BERARDI, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7811/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 07/02/2011 R.G.N. 99/07.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza in data 7.2.2011 la Corte di appello di Roma ha riformato parzialmente la sentenza del Tribunale di Roma del 16.2.2006, che aveva accertato soltanto la nullità del termine apposto ai primi quattro contratti a termine stipulati da Poste Italiane con G.R. tra il 2.1.1999 e il 31.1.2000, la cui causale era riferita ad ipotesi individuata ai sensi dell’art. 8, comma 2 del CCNL ‘94 per ” esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione assetti occupazionali, quale condizione per la trasformazione della natura giuridica dell’Ente ed in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi ed in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane”, senza accertare la natura a tempo indeterminato del rapporto di lavoro. La corte territoriale, accertata detta natura, ha condannato la società Poste alla riammissione della lavoratrice nel posto di lavoro ed al pagamento delle retribuzioni maturate dal 13.10.2003, data dell’atto di messa in mora.

che avverso tale sentenza Poste s.p.a. ha proposto ricorso affidato a tre motivi.

Che la G. ha resistito con controricorso, depositando anche memoria ex artt. 378 e 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

Che con il ricorso la società ricorrente lamenta:

1) violazione e falsa applicazione della L. n. 56 del 1987, art. 23, dell’art. 8 C.C.N.L. 1994, oltre che dell’accordo attuativo del 25.9.1997, e dei successivi accordi sindacali del 16 gennaio 1998, del 27 aprile 1998, del 2 luglio 1998, del 24 maggio 1999 e del 18 gennaio 2001, in connessione con l’art. 1362 c.c. e segg. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), nella parte in cui ha ritenuto la nullità del termine apposto al contratto in esame in quanto stipulato (per “esigenze eccezionali…”) oltre la scadenza ultima fissata dagli accordi collettivi attuativi dell’accordo aziendale del 25-9-1997, sostenendo quindi l’insussistenza di tale scadenza e la natura meramente ricognitiva dei detti accordi. Sostiene Poste italiane spa l’erroneità della sentenza nella parte in cui non ha ritenuto sussistente, anche sulla base di una interpretazione dell’accordo collettivo fondato sul significato letterale delle espressioni in esso utilizzate e del comportamento successivo delle parti, il potere dei contraenti collettivi, ai sensi della L. n. 56 del 1987, art. 23 di individuare nuove ipotesi di assunzione termine, in aggiunta a quelle normativamente previste, senza limiti di tempo, considerato che la suddetta legge non prevede alcun limite temporale al riguardo.

2) L’omessa ed insufficiente motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. La Corte romana avrebbe erroneamente indicato la data finale fino a cui era prevista la stipula dei contratti a termine nel 30.4.1998 assegnando, senza una motivazione sufficiente e logica, a tale data la valenza di termine finale dell’accordo integrativo del 25.9.1997.

4) La violazione ed erronea applicazione degli artt. 1206,1204,1217,1218,1233 e 2967 c.c., per non avere effettuato la Corte territoriale) violazione degli artt. 1206,1204,1217,1218,1233 e 2967 c.c.. Secondo la ricorrente le retribuzioni non potevano che decorrere dal momento in cui vi era stata l’effettiva ripresa del servizio, stante la natura sinallagmatica delle prestazioni e, quanto all’aliunde perceptum, sarebbe stato onere della lavoratrice provare di non aver intrattenuto altri e successivi rapporti di lavoro e di non aver percepito somme a titolo retributivo.

Che in via subordinata, la ricorrente società ha chiesto infine l’applicazione dello ius superveniens, ai sensi della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 7 con la cassazione della sentenza e con rinvio al merito per la rideterminazione del risarcimento.

CONSIDERATO:

Che va preliminarmente disattesa l’eccezione svolta dalla contro ricorrente di inammissibilità del ricorso per tardività della notifica perchè effettuata oltre il termine annuale di cui all’art. 327 c.p.c., previsto nella versione vigente ratione temporis. Ed infatti, la prima notifica effettuata il 7/2/2012(ultimo giorno utile, essendo stata pubblicata la sentenza di appello in data 7.2.2011) non è andata a buon fine per ragione non imputabile al notificante, essendo mutato l’indirizzo del difensore domiciliatario della lavoratrice in data 20.1.2012. Risulta in atti che Poste spa ha effettuato una successiva notifica, andata a buon fine in data 28.2.2012.

Che ad avviso del collegio nel caso in esame va considerato l’orientamento espresso da questa Corte a SSUU con la pronuncia n. 14594/2016, secondo cui “In caso di notifica di atti processuali non andata a buon fine per ragioni non imputabili al notificante, questi, appreso dell’esito negativo, per conservare gli effetti collegati alla richiesta originaria deve riattivare il processo notificatorio con immediatezza e svolgere con tempestività gli atti necessari al suo completamento, ossia senza superare il limite di tempo pari alla metà dei termini indicati dall’art. 325 c.p.c., salvo circostanze eccezionali di cui sia data prova rigorosa”.

Che tale orientamento deve essere seguito in particolare con riferimento alla ratio in esso espressa, ossia la necessità di evitare il procrastinarsi dei tempi del processo oltre un limite ragionevole costituzionalmente legittimo. L’indicazione fornita dalle

SSUU, che si è attestata su di un limite temporale pari alla metà dei termini dell’art. 325 cit., ha dunque la finalità di porre un freno ad un abuso non consentito, ove non giustificato da effettive ed obiettive difficoltà di reperire il nuovo e diverso domicilio. Nel caso in esame la notifica è stata effettuata nell’arco di venti giorni e quindi entro la metà del termine di cui all’art. 325 c.p.c., comma 2.

Che sono infondati il primo ed il secondo motivo di gravame che, essendo connessi, possono esaminarsi congiuntamente. Sulla questione, con riferimento al sistema vigente prima del Dlgs n.368/2001, vi è indirizzo ormai consolidato di questa Corte, (cfr da ultimo, Cass., 11 febbraio 2014, n. 3045). Sulla scia di Cass. S.U. n. 4588/2006, è stato precisato che “l’attribuzione alla contrattazione collettiva, della L. n. 56 del 1987, ex art. 23, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato” (cfr Cass., n. 21063/2008). “In tale quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo) la sola inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (cfr fra le tante Cass. n. 18383/2006, Cass. n. 7745/2005), In particolare, quindi, questa Corte ha costantemente affermato che “in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1” (cfr per tutte Cass. n. 21062/2008 e da ultima Cass. n. 286/2016).

Che va accolto il terzo motivo ma esclusivamente con riferimento alla richiesta applicazione dello ius superveniens con riferimento alla L. n. 183 del 2010, art. 32.

Che sul punto si richiama la recente sentenza di questa Corte a SSUU n. 21691/2016, secondo cui la violazione di norme di diritto di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 può concernere anche disposizioni emanate dopo la pubblicazione della sentenza impugnata, qualora siano norme applicabili perchè dotate di efficacia retroattiva, non richiedendosi necessariamente un errore, avendo ad oggetto il giudizio di legittimità non l’operato del giudice, ma la conformità della decisione adottata all’ordinamento giuridico. Peraltro, come rilevato dalle SSUU citate, la proposizione dell’impugnazione nei confronti della parte principale della sentenza impedisce il passaggio in giudicato anche della parte dipendente pur in assenza di impugnazione specifica di quest’ultima. Nel caso in esame Poste Italiane spa, anch’essa appellante la sentenza di primo grado con distinto ricorso poi riunito a quello della G., aveva comunque impugnato la parte della decisione relativa alla condanna risarcitoria dalla quale dipende, in quanto legata da un nesso di causalità inscindibile, la parte legata alla quantificazione di tale risarcimento del danno.

Che la sentenza va quindi cassata in relazione al motivo accolto con rinvio, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, che dovrà limitarsi a quantificare l’indennità spettante all’odierna parte contro ricorrente per il periodo preso fra la scadenza del termine e la pronuncia con cui è stata disposta la riammissione in servizio (cfr per tutte Cass. n. 14461/2015), con interessi e rivalutazione da calcolarsi a far tempo dalla sentenza dichiarativa della nullità del termine (cfr. Cass. n. 3062/2016).

PQM

La Corte accoglie il motivo concernente applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32 rigettati gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza Camerale, il 25 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2017

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