Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25749 del 22/09/2021

Cassazione civile sez. III, 22/09/2021, (ud. 24/03/2021, dep. 22/09/2021), n.25749

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 11604/18 proposto da:

-) D.A., M.Q. e S.G., elettivamente

domiciliati a Roma, via Monte Zebio n. 37, difesi dagli avvocati

Silvia Ginocchi e Fabrizio Lucifero in virtù di procura speciale

apposta in margine al ricorso;

– ricorrenti –

contro

-) V.T., elettivamente domiciliato a Roma, via Monte

Zebio n. 19, difeso dall’avvocato Giandomenico Cozzi in virtù di

procura speciale apposta in margine al controricorso;

– controricorrente –

nonché

-) Unicredit s.p.a., quale rappresentante volontaria di Trevi Finance

3 s.r.l., in persona del l.r.p.t., elettivamente domiciliato a Roma,

v.le Cortina d’Ampezzo n. 186, difeso dall’avvocato Pamela

Schimperna in virtù di procura speciale apposta in calce al

controricorso;

– controricorrente –

nonché

-) Unicredit s.p.a., in persona del l.r.p.t., elettivamente

domiciliato a Roma, v.le Cortina d’Ampezzo n. 186, difeso

dall’avvocato Pamela Schimperna in virtù di procura speciale

apposta in calce al controricorso;

– controricorrente –

nonché

-) Fallimento della (OMISSIS) s.r.l.;

– intimato –

avverso la sentenza del Tribunale di Roma 6.10.2017 n. 18877;

udita la relazione della causa svolta nella udienza pubblica non

partecipata del 24 marzo 2021 dal Consigliere relatore Dott. Marco

Rossetti;

viste le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa SOLDI Anna Maria, che ha

concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Nel 1998 la Banca di Roma iniziò l’esecuzione forzata per espropriazione immobiliare nei confronti della propria debitrice (OMISSIS) S.r.l..

Tra i beni espropriati rientrava un locale commerciale sito a (OMISSIS).

Il suddetto immobile con provvedimento 15 dicembre 2006 del giudice

dell’esecuzione venne aggiudicato e trasferito ad D.A., M.Q. e S.G..

Secondo quanto riferito nel ricorso, dopo l’aggiudicazione gli aggiudicatari appresero che l’immobile da essi acquistato era gravato da una servitù d’uso in favore del condominio del fabbricato di via (OMISSIS), trascritta e ad essi opponibile. Quella servitù impediva qualsiasi destinazione ad uso commerciale dell’immobile.

2. Con istanza depositata il 13 marzo 2007 gli odierni ricorrenti chiesero al giudice dell’esecuzione di sospendere le operazioni di distribuzione del ricavato della vendita forzata, revocare il decreto di trasferimento ed ordinare la restituzione del prezzo da essi pagato.

3. Il giudice dell’esecuzione con ordinanza 21 giugno 2007 rigettò l’istanza formulata dagli aggiudicatari e (evidentemente sul presupposto implicito che quell’istanza andasse qualificata come opposizione agli atti esecutivi) fissò loro termine per l’inizio del giudizio di merito sino al 30 novembre 2007.

4. Gli aggiudicatari non introdussero questo “giudizio di merito” nel termine stabilito dal giudice dell’esecuzione, ma con atto del 24 ottobre 2008 convennero dinanzi al Tribunale di Roma:

-) la Unicredit, cioè il creditore procedente;

-) il custode giudiziale dell’immobile ( V.T.);

-) il curatore del fallimento del debitore esecutato, G.P..

Gli attori, dopo aver premesso che non avevano nessun onere di “riassumere” alcun giudizio oppositivo (dal momento che con l’istanza, rivolta al giudice dell’esecuzione, di revoca del decreto di trasferimento essi non avevano proposto alcuna opposizione ex art. 617 c.p.c.), chiesero al Tribunale che annullasse la vendita forzata dell’immobile e condannasse i creditori procedenti alla restituzione del prezzo e al risarcimento del danno.

In subordine chiesero la restituzione dell’aliquota di prezzo corrispondente al minor valore dell’immobile acquistato.

5. Con sentenza 26 giugno 2013 n. 13982 il Tribunale di Roma, dichiarando di provvedere ai sensi dell’art. 50 c.p.c., ritenne di ravvisare la propria “incompetenza funzionale in favore del giudice dell’esecuzione del Tribunale di Roma”.

6. Gli aggiudicatari, prestando ossequio a tale decisione, notificarono alle controparti atto di “riassunzione” dinanzi al Tribunale di Roma, cioè il medesimo Tribunale davanti al quale avevano già proposto la domanda originaria.

Il suddetto Tribunale, con sentenza 6 ottobre 2017 n. 18877 dichiarò inammissibile la domanda come riassunta, condannando gli attori alle spese. A fondamento di tale decisione il Tribunale ha innanzitutto ritenuto che, una volta fissato dal giudice dell’esecuzione il termine per l’introduzione della fase di merito del giudizio di opposizione all’esecuzione, era onere degli opponenti rispettare quel termine.

Il mancato rispetto di quel termine rendeva inammissibile l’opposizione, né tale inammissibilità poteva essere “aggirata” attraverso l’introduzione di un autonomo giudizio volto a far valere i vizi della cosa venduta ex art. 1489 c.c..

7. Il Tribunale ritenne di aggiungere che il giudizio introdotto in via autonoma dinanzi a sé “aveva un petitum ed una causa petendi del tutto difformi da quelli del ricorso depositato in data 13 marzo 2017”, e cioè il ricorso col quale si era chiesta al giudice dell’esecuzione la revoca del decreto di trasferimento.

8. La sentenza suddetta è stata impugnata per cassazione da D.A., M.Q. e S.G., con ricorso fondato su tre motivi.

Hanno resistito con controricorso V.T. e la Unicredit (che ha depositato memoria), sia in proprio che quale mandataria della Trevi Finance 3 s.r.l., cessionaria dei crediti già spettanti alla Banca di Roma e posti a fondamento dell’esecuzione forzata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il presente giudizio è caratterizzato da un raro intreccio di iniziative giudiziarie singolari (in quanto eterodosse rispetto agli strumenti previsti dall’ordinamento per porre rimedio a vicende come quella in cui son incorsi gli aggiudicatari), e di altrettanto singolari decisioni giudiziarie, quale senza dubbio è quella d’un Tribunale che si dichiari incompetente a favore di se stesso.

Ritiene dunque questa Corte che, per mettere ordine giuridico nel pastiche processuale che ne è risultato, occorra innanzitutto stabilire quali siano le “questioni pregiudiziali” che, alla luce del criterio stabilito dall’art. 276 c.p.c., comma 2, debbano essere affrontate prima delle altre.

Tali questioni sono:

a) innanzitutto, interpretare la sentenza impugnata e stabilire in che modo tale sentenza abbia qualificato la domanda attorea: e cioè come opposizione esecutiva o altra domanda; da tale qualificazione, infatti, dipende il regime di impugnabilità della suddetta sentenza, e dunque la fondatezza dell’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dal controricorrente V.T.;

b) quindi, valutare se la qualificàzione della domanda attorea compiuta dal Tribunale sia stata corretta.

1.1. La prima questione va risolta sulla base dei seguenti rilievi:

– il Tribunale di Roma, a pagina 2, terz’ultimo capoverso, della sentenza impugnata, scrive che i convenuti hanno eccepito “l’inammissibilità della domanda in quanto introdotta tardivamente rispetto al termine perentorio di cui all’art. 618 c.p.c.”;

– tre righe più sotto aggiunge che “la suddetta eccezione coglie nel segno”; – nel dispositivo dichiara “inammissibile” la domanda.

Deve dunque concludersi che il Tribunale abbia qualificato la domanda introdotta dagli attori come una vera e propria opposizione agli atti esecutivi. La sentenza deve ritenersi dunque ricorribile per cassazione e va rigettata l’eccezione preliminare sollevata da V.T..

2. Col primo motivo i ricorrenti prospettano sia il vizio di violazione di legge di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, sia quello di nullità processuale, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4.

Nella illustrazione del motivo formulano una tesi così riassumibile:

a) il Tribunale ha qualificato la domanda da essi proposta come “introduzione della fase di merito” dell’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c., proposta a marzo del 2007;

b) questa qualificazione era erronea, in quanto essi non avevano mai proposto alcuna opposizione all’esecuzione: infatti l’istanza da essi rivolta al giudice dell’esecuzione nel marzo del 2007 aveva ad oggetto la revoca del decreto di trasferimento, mentre la citazione notificata a ottobre 2008 aveva ad oggetto l’annullamento della vendita, la restituzione del prezzo e il risarcimento del danno.

2.1. Il motivo è infondato.

Infatti a pagina 9, secondo capoverso, del ricorso per cassazione i ricorrenti affermano che con istanza rivolta al giudice dell’esecuzione il 13 marzo 2007 essi avevano chiesto la revoca del decreto di trasferimento e “la restituzione delle somme versate”.

Ma la revoca del decreto di trasferimento e la restituzione delle somme versate sono esattamente le stesse domande-formulate nell’atto di citazione introduttivo del giudizio “autonomo” dinanzi al Tribunale di Roma.

2.2. La conseguenza di tale identità di domande è che la sentenza impugnata, previa correzione della motivazione, risulta comunque corretta nel dispositivo, quale che fosse la qualificazione giuridica che si volesse attribuire all’istanza proposta dagli aggiudicatari nel marzo 2007 al giudice dell’esecuzione.

2.3. Se, infatti, si volesse qualificare quella istanza come una opposizione esecutiva, allora gli opponenti sono decaduti dalla facoltà di introdurre il giudizio di merito dell’opposizione, a causa dell’inutile spirare del termine a tale fine fissato dal giudice dell’esecuzione.

Ne’, ovviamente, è consentito all’opponente, decaduto dalla facoltà di introdurre la fase di merito dell’opposizione, proporre in via autonoma le medesime domande: in caso di decadenza per tardiva introduzione del giudizio di merito, infatti, all’opponente è consentito soltanto reiterare l’opposizione, riproponendola nelle forme e nei termini stabiliti dagli artt. 615 e 617 c.p.c..

2.3. Se, invece, si ritenesse che l’istanza proposta a marzo 2007 dagli aggiudicatari non era una “opposizione esecutiva”, ugualmente la domanda da essi proposta dinanzi al Tribunale di Roma sarebbe inammissibile, sicché il dispositivo della sentenza impugnata sarebbe comunque conforme a diritto.

Gli odierni ricorrenti hanno infatti formulate’ in via autonoma domande (annullare il decreto di trasferimento e condannare i creditori a restituire il prezzo dell’aggiudicazione) che non potevano essere proposte al di fuori del processo di esecuzione, e senza osservare le forme ed i termini previsti dal codice per sanare eventuali nullità verificatesi nel corso di quello: e ciò per l’evidente ragione che non è consentito ad un giudice annullare i provvedimenti di un altro giudice, se non all’interno del sistema delle impugnazioni e con le regole di esse. Non potrebbe dunque il giudice ordinario, in assenza d’una rituale proposizione d’una opposizione esecutiva, annullare i provvedimenti del giudice dell’esecuzione, o vanificarne gli effetti.

2.4. Il primo motivo di ricorso va dunque rigettato, previa correzione in parte qua della motivazione della sentenza impugnata, in applicazione dei seguenti principi:

a) il decreto di trasferimento dell’immobile pignorato può essere annullato solo nell’ambito di una opposizione esecutiva, e non in via autonoma;

b) quando sia inutilmente spirato il termine per introdurre la fase di merito dell’opposizione esecutiva, è consentito alla parte interessata reiterare l’opposizione, ma non introdurre dinanzi al giudice ordinario un autonomo giudizio per far accertare i fatti posti a fondamento dell’opposizione;

c) l’introduzione dinanzi alla sezione ordinaria del Tribunale di una opposizione esecutiva ai sensi dell’art. 617 c.p.c., che ratione loti spetterebbe alla competenza del medesimo Tribunale, non dà vita ad alcuna questione di competenza, ma solo di ripartizione degli affari all’interno del medesimo ufficio giudiziario, con conseguente facoltà del giudice di rimettere la causa al capo dell’ufficio per l’assegnazione alla sezione tabellarmente competente;

d) è abnorme il provvedimento con il quale il giudice dichiara la propria “incompetenza” in favore di altra sezione del medesimo Tribunale, fissando il nuovo termine per la riassunzione; in tal caso, ove il giudice dinanzi al quale la causa sia riassunta reputi illegittima la valutazione del primo giudice, non può rigettare la domanda, ma deve o a sua volta rimettere la causa al capo dell’ufficio per l’assegnazione alla sezione competente tabellarmente, oppure decidere la causa nel merito.

2. Col secondo motivo i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 112 c.p.c..

Sostengono che il Tribunale ha violato tale norma perché ha omesso di pronunciarsi su due domande da essi formulate: l’annullamento del decreto di trasferimento, ai sensi dell’art. 1427 c.c., e la domanda di restituzione del prezzo, ai sensi dell’art. 1489 c.c..

Nella illustrazione del motivo si sostiene che quando l’aggiudicatario di un immobile venduto all’asta apprenda dell’esistenza di pesi ed oneri dopo che è spirato il termine di cui all’art. 617 c.p.c., deve essergli concessa la possibilità di domandare la restituzione del prezzo introducendo un autonomo giudizio, se la decadenza fu incolpevole. Diversamente, le ragioni dell’aggiudicatario rimarrebbero prive di tutela.

2.1. Il motivo resta assorbito dal rigetto del primo.

Ed infatti a qualunque decadenza, purché incolpevole, l’ordinamento consente di rimediare attraverso l’istituto della rimessione in termini (art. 153 c.p.c.). Quella era la strada che gli aggiudicatari avrebbero dovuto e potuto percorrere, e non ipotizzare strumenti processuali tanto fantasiosi quanto infondati.

3. Anche col terzo motivo i ricorrenti lamentano il vizio di omessa pronuncia, ex art. 112 c.p.c.. Nella illustrazione del motivo si prospetta la seguente tesi:

-) la domanda introduttiva era stata formulata nei confronti della società Unicredit;

-) si era costituita tuttavia la Unicredit Credit Management Bank, dichiarandosi mandataria della società convenuta;

-) la suddetta società tuttavia non aveva mai esibito il mandato, con la conseguenza che il Tribunale avrebbe dovuto dichiarare la contumacia della Unicredit, come eccepito dagli attori;

-) su tale eccezione di nullità della costituzione della Unicredit Credit Management Bank, il Tribunale non si era pronunciato.

4. Il motivo è infondato.

Il Tribunale, oltre ad indicare nell’epigrafe della propria sentenza come parte costituita la Unicredit s.p.a. (successore di Unicredit Credit Management Bank s.p.a.), ha indicato nello “Svolgimento del processo” che “si costituiva la banca”, e provveduto anche nei confronti di essa a regolare le spese di lite.

Omessa pronuncia sull’eccezione, dunque, non vi fu, in quanto l’eccezione fu piuttosto implicitamente rigettata.

Si sarebbe potuto discorrere – al massimo – se la decisione presentasse comunque un vizio di assenza di motivazione, ovvero se fosse corretta nel merito la decisione di reputare validamente costituito l’istituto di credito, od ancora se fosse rituale il mandato conferito da Trevi Finance 3 s.r.l. alla Unicredit: ma tali questioni non sono state prospettate.

5. La singolarità, già evidenziata, di talune delle decisioni pronunciate dagli organi giudiziari che hanno esaminato il presente caso, così come la non piena perspicuità delle motivazioni adottate dalla sentenza impugnata costituiscono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese di lite, sul presupposto che l’una e l’altra possono avere contribuito ad indurre in errore i ricorrenti circa la fondatezza della propria impugnazione.

Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

P.Q.M.

la Corte di cassazione:

(-) rigetta il ricorso;

(-) compensa integralmente tra tutte le parti le spese del presente giudizio di legittimità;

(-) ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 24 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2021

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