Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25749 del 15/10/2018

Cassazione civile sez. VI, 15/10/2018, (ud. 03/05/2018, dep. 15/10/2018), n.25749

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11963/2017 proposto da:

SO.GE.CA PETROLI S.R.L., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DELLE MEDAGLIE D’ORO n. 399, presso lo studio dell’avvocato CARLO

CECCHI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato CESIDIO

GUALTIERI;

– ricorrente –

contro

MARINA DI PORTISCO S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

ANTONIO MUSA n. 21, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE MANDARA,

che la rappresenta e difende unitamente e disgiuntamente

all’avvocato PIERPAOLO SOGLIA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1134/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 20/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 03/05/2018 dal Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO.

Fatto

RILEVATO

che:

con atto di citazione del 2 ottobre 2000 la società Sviluppo Nautico Sardo S.p.A., successivamente Marina di Portisco conveniva in giudizio, davanti al Tribunale di Roma, la società Petroli s.r.l. deducendo di avere stipulato un contratto avente ad oggetto il trasferimento di un distributore di carburante per natanti realizzato dall’attrice su suolo demaniale, all’interno del porto di Marina di Portisco ((OMISSIS)). Contestualmente le parti avevano stipulato un mandato generale per consentire a Petroli S.r.l. di compiere gli atti inerenti all’esercizio dell’azienda. L’attrice rilevava che, poichè il contratto aveva ad oggetto un bene demaniale senza che fosse intervenuta autorizzazione in ratifica, il contratto era nullo o inefficace o comunque annullabile e quindi era invalido anche il collegato contratto di mandato. Resisteva Petroli spiegando domanda riconvenzionale per ottenere il risarcimento del danno;

con sentenza n. 3737 del 2 febbraio 2004 il Tribunale di Roma dichiarava la nullità del contratto di cessione di azienda e di mandato generale, condannando Petroli alla restituzione dell’azienda avente ad oggetto il distributore e, in accoglimento della domanda riconvenzionale, condannava l’attrice al pagamento della somma di Euro 400 milioni di vecchie dire a titolo di rimborso del prezzo pagato;

avverso tale decisione Petroli proponeva appello e si costituiva la società Marina di Portisco. La Corte d’Appello di Roma con sentenza n. 4903 del 2009 dichiarava l’appello inammissibile per questioni attinenti alla validità della notifica della impugnazione;

avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione la società Petroli e questa Corte con sentenza n. 2759 del 2012 cassava la sentenza impugnata affermando che l’appello non avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile. Riassunto il giudizio, la causa è stata nuovamente decisa dalla Corte territoriale con sentenza del 20 febbraio 2017 che rigettava l’appello compensando le spese del giudizio di appello, di quello di legittimità e di rinvio. La Corte rilevava che nelle more era divenuto definitivo il provvedimento amministrativo con cui l’amministrazione marittima negava alla società Petroli il suo ingresso nella gestione del distributore di carburante con la conseguenza che lo stesso restava assegnato alla società Marina di Portisco. Ciò, pertanto, rendeva inammissibile, per carenza di interesse, l’appello proposto, non potendo la società Petroli gestire l’impianto. Per il resto non ricorrendo la malafede della società Marina di Portisco non poteva essere riconosciuta la rivalutazione monetaria sulla restituzione del prezzo;

avverso tale decisione propone ricorso per cassazione la Petroli S.r.l. affidandosi a due motivi. Resiste in giudizio con controricorso Marina di Portisco s.p.a. Entrambe le parti depositano memorie ex art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 100 c.p.c. e art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, rilevando che, pur ammettendo l’estensione del giudicato sul rigetto della domanda proposta in sede amministrativa al rigetto della domanda di subingresso, tale presupposto mancava, perchè il provvedimento amministrativo del 23 aprile 2003 della Capitaneria di (OMISSIS) non esisteva o, comunque, non era mai stato notificato alla ricorrente, come risulta anche dal contenuto di una nota della Capitaneria di Porto del 20 febbraio 2003;

con il secondo motivo si deduce l’ulteriore violazione dell’art. 100 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, rilevando che il giudizio prescinde dalla definitività o meno del rigetto dell’istanza di sub-ingresso, poichè dal contenuto della citata nota del 20 febbraio 2003 emerge che il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti avrebbe confermato l’affidamento dell’esercizio dell’impianto alla Petroli S.r.l. sulla base di una richiesta formulata dalla controparte, per cui tale rapporto prescinde dal provvedimento della Capitaneria di Porto ed dagli effetti della sentenza del giudice amministrativo;

preliminarmente va rilevato che il ricorso è procedibile in quanto la controricorrente ha depositato copia della sentenza e della documentazione relativa alla notificazione in forma digitale nei confronti di entrambe le parti, così sanando l’originaria mancata allegazione;

il ricorso, però, è tardivo. La sentenza della Corte d’Appello di Roma è stata notificata a SO.GE.CA. Petroli, presso i difensori, in data 10 marzo 2017. Conseguentemente il termine di 60 giorni per l’impugnazione è scaduto il 9 maggio 2017. Dagli atti emerge che la prima richiesta di notifica del ricorso per cassazione nei confronti di Marina di Portisco è avvenuta il 4 maggio 2017, ma tale notifica non si è affezionata, perchè inviata presso un indirizzo errato. La seconda richiesta di notifica presso l’indirizzo effettivo della difensore di Marina di Portisco si è perfezionata, oltre il termine, il 19 maggio 2017. Nel caso di specie non trova applicazione l’orientamento di questa Corte di legittimità secondo il quale “in caso di notifica di atti processuali non andata a buon fine per ragioni non mutabili al notificante, questi, appreso dell’esito negativo, per conservare gli effetti collegati alla richiesta originaria, deve riattivare il processo notificatorio con immediatezza e svolgere con tempestività gli atti necessari al suo completamento” (Cass. n. 14594/2016). Nella fattispecie non ricorre l’ipotesi di non imputabilità al richiedente del mancato perfezionamento della notifica in quanto il difensore di controparte, avvocato Giuseppe Mandara, destinatario della richiesta di notifica, è iscritto presso l’albo degli avvocati di Roma. Pertanto era onere del notificante verificare che l’indirizzo risultante dagli atti fosse ancora quello corretto. Solo nel caso di svolgimento di attività al di fuori della circoscrizione si delinea un obbligo di comunicare i mutamenti di domicilio, che, invece, non sussiste quando il procuratore operi nell’ambito del proprio circondario. Da ciò discende che “il notificante non può invocare la non imputabilità dell’errore, se il destinatario della notifica esercita la sua attività professionale nel circondario del Tribunale in cui si svolge la controversia. In questo caso egli ha l’onere di verificare tempestivamente, onde conservare gli effetti collegati alla richiesta originaria, l’attualità dell’indirizzo indicato in atti dal difensore costituito, anche mediante riscontro delle risultanze dell’albo professionale” (Cass. n. 20527 del 30 agosto 2017);

in ogni caso il primo motivo è inammissibile, perchè privo di specificità, in quanto il ricorrente desume argomenti dalla sentenza del TAR (che non produce) senza trascrivere il contenuto della decisione, nè direttamente, nè indirettamente, quanto meno con riferimento alla parte rilevante. Inoltre, trae argomentazioni dal ricorso davanti al medesimo giudice amministrativo (che omette del tutto di allegare o localizzare nell’ambito del fascicolo di legittimità), senza dedurre in quale fase sarebbe stato prodotto;

inoltre, il motivo viola l’art. 366 c.p.c., n. 6, per difetto di autosufficienza, sia con riferimento alla formulazione del primo motivo di appello ritenuto infondato dalla Corte territoriale sulla base della motivazione che in questa sede si contesta, sia con riferimento ai documenti richiamati. Quanto al primo aspetto, la ricorrente avrebbe dovuto trascrivere il motivo di appello ed individuare le norme violate e le affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che si assumono in contrasto con quelle norme. Quanto al secondo, la ricostruzione in fatto risulta assolutamente evanescente, non conoscendosi il contenuto della nota del 20 febbraio 2003 e del provvedimento della Capitaneria di (OMISSIS) del 23 aprile 2003. Ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 6, la parte è tenuta, oltre a richiamare gli atti e i documenti del giudizio di merito, anche a riprodurli nel ricorso e ad indicare in quale sede processuale fossero stati prodotti (Sez. 6-3, Ordinanza n. 16134 del 30/07/2015, Rv. 636483-01);

altrettanta genericità presenta il secondo motivo per il quale valgono i medesimi rilievi in ordine alla violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, per le ragioni già indicate a proposito del motivo precedente;

ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza. Infine, va dato atto – mancando ogni discrezionalità al riguardo (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta della Corte Suprema di Cassazione, il 3 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2018

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA