Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25745 del 22/09/2021

Cassazione civile sez. III, 22/09/2021, (ud. 23/03/2021, dep. 22/09/2021), n.25745

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1857-2019 proposto da:

ISTITUTO DI SCIENZE DELLE COMUNICAZIONI VISIVE DI GIUSEPPE MORRA

& C SAS, in persona del legale rappresentante, rappresentato e

difeso dall’avvocato ENRICO SOPRANO, ed elettivamente domiciliato

preso lo studio del medesimo in ROMA, VIA DEGLI AVIGNONESI, 5, pec:

enrico.soprano.cnfpec.it;

– ricorrente –

contro

C.P.G., rappresentato e difeso dall’avvocato DANIELE

VANNINI, ed elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIOVANNI SEVERANO

35, presso lo studio dell’avvocato SILVIO AGRESTI. Pec:

daniele.vannini.firenze.pecavvocati.it

silvioagresti.ordineavvocatiroma.org

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4552/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 11/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/03/2021 dal Consigliere Dott. ANNA MOSCARINI.

 

Fatto

RITENUTO

che:

1. L’Istituto di Scienze delle Comunicazioni Visive di Giuseppe Morra & c espose, con atto di citazione del 9/1/2009, di essere proprietario di venti opere dell’artista giapponese S.S., acquistate direttamente dall’autore e di averle affidate in comodato d’uso a C.G. e alla società C. & D. perché fossero esposte in una galleria d’arte in occasione di una mostra. Il tutto era avvenuto per il tramite di Ch.Ro. che aveva, per l’appunto, sottoscritto un documento di trasporto e consegna dei quadri per conto del C. e per il tempo necessario all’esposizione, con obbligo di riconsegna entro e non oltre quaranta giorni dalla fine della mostra. Nonostante le numerose richieste di restituzione il C. non aveva ottemperato al suddetto obbligo sicché l’istante agì per sentir dichiarare l’inadempimento, accertata la nullità ed inefficacia dell’eventuale acquisto a non domino, e la condanna del C. e della società dal medesimo rappresentata, al pagamento di una somma corrispondente al valore commerciale dei quadri o a quella pagata dall’istante all’artista, oltre al risarcimento dei danni morali e non patrimoniali.

C.G. si costituì in giudizio sollevando alcune eccezioni e, nel merito, assunse di aver acquistato le opere dalla Ch., dichiaratasi proprietaria, alla quale aveva versato la somma di Euro 215.750,00 come comprovato da una serie di assegni bancari di cui chiedeva alle banche trattarie il deposito in giudizio; si oppose alla richiesta formulata dalla società attrice di dichiarazione di nullità dell’acquisto a non domino, deducendo l’inapplicabilità dell’art. 1156 c.c.

2. Il Tribunale adito ordinò la chiamata in causa della Ch. la quale, costituendosi in giudizio, contrastò quanto asserito dal C. e confermò la tesi dell’ISCV, proponendo in danno del C. domanda riconvenzionale di danni ex art. 96 c.p.c.

Quindi, con sentenza n. 13008/2010, accolse la domanda risarcitoria ritenendo che la Ch. avesse agito quale rappresentante senza potere ex art. 1398 c.c. spendendo il nome del C. quale destinatario di un contratto di comodato gratuito avente ad oggetto le opere esposte alla mostra e condannò anche il C. in solido con la Ch. assumendo che il medesimo non poteva ritenersi possessore di buona fede ai sensi dell’art. 1153 c.c., incidentalmente affermando che le opere il cui controvalore era rivendicato costituivano una universitas rerum ed erano dunque sottratte alla regola del possesso vale titolo.

3. La Corte d’Appello di Napoli, adita con appello principale dal C. e dalla società C. & D. e, in via incidentale, dalla Ch. e da ISCV, con sentenza n. 4552 dell’11/10/2018, ha accolto l’appello principale del C. ritenendo che, essendo l’azione promossa dall’ISCV un’azione di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale e non anche un’azione di revindica, sarebbe stato onere dell’attore provare il contratto di comodato, laddove, invece, lo stesso attore si era limitato ad affermare di aver avuto contatti solo con la Ch. senza provare né il rapporto di rappresentanza tra il C. e la Ch. né la ratifica da parte del C. dell’eventuale attività di faisus procurator della stessa Ch.. Da tali premesse la Corte territoriale ha desunto che, essendo estranea alla materia del contendere la questione dell’acquisto della proprietà dei quadri, l’azione promossa dall’ISCV ex contractu, in quanto rimasta sfornita di prova, andava rigettata, con rigetto dell’appello incidentale di ISCV, e accoglimento dell’appello incidentale della Ch.. Conclusivamente la sentenza ha accolto l’appello del C. e quello incidentale della Ch. e per l’effetto ha dichiarato la nullità dei capi della sentenza di primo grado recanti statuizioni di condanna a carico di quest’ultima mentre ha rigettato la domanda dell’ISCV nei confronti del C., con tutte le conseguenziali statuizioni sulle spese.

4. Avverso la sentenza l’Istituto di Scienze delle Comunicazioni Visive ha proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi. Ha resistito C.G. con controricorso.

5. Il ricorso è stato fissato per la trattazione in Adunanza Camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1. c.p.c. in vista della quale il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo di ricorso – violazione e falsa applicazione degli artt. 1218,1804 e 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – il ricorrente assume che, avendo allegato e dimostrato l’avvenuta conclusione di un contratto di comodato, producendo la scrittura con cui la Ch. aveva dichiarato di ricevere le opere in nome e per conto del C. e facendo riferimento a quanto dichiarato dalla stessa Ch., la sentenza avrebbe errato nel ritenere che l’onere della prova non fosse stato assolto dall’attore anziché pretendere dal C. la prova della propria estraneità al rapporto intercorso tra l’ISCV e la Ch..

1.1 Il motivo è infondato. In tema di contratto stipulato da “falsus procurator”, la deduzione del difetto o del superamento del potere rappresentativo e della conseguente inefficacia del contratto, da parte dello pseudo rappresentato, integra una mera difesa, atteso che la sussistenza del potere rappresentativo in capo a chi ha speso il nome altrui è un elemento costitutivo della pretesa del terzo nei confronti del rappresentato, sicché il giudice deve tener conto della sua assenza, risultante dagli atti, anche in mancanza di una specifica richiesta di parte (Cass., S.U., n. 11377 del 3/6/2015). La sentenza impugnata, in quanto ha preteso la prova, da parte del terzo, del rapporto rappresentativo esistente tra il rappresentato ed il falsus procurator, è del tutto conforme a questo indirizzo giurisprudenziale al quale questo Collegio intende dare continuità.

2. Con il secondo motivo di ricorso – violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., artt. 115,167 e 214 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – il ricorrente contesta il capo di sentenza secondo il quale esso Istituto non aveva fornito prova dell’avvenuta conclusione di un contratto di comodato. A avviso del ricorrente questa statuizione sarebbe errata e contrastante con i principi di riparto dell’onere della prova in quanto i fatti costitutivi della domanda erano stati allegati dall’attore e, sostanzialmente, non contestati dai convenuti di guisa che la sentenza avrebbe dovuto, in applicazione del principio di non contestazione, astenersi da qualsivoglia controllo probatorio sugli stessi fatti e ritenerli sussistenti.

2.1 Il motivo è infondato.

Innanzitutto il C. ha mosso tutte le contestazioni possibili al documento prodotto da controparte – in particolare quelle concernenti la mancanza della firma del rappresentato e dunque la sua inopponibilità, la mancanza di data certa, il fatto che nel documento allegato dall’attore fossero ricompresi solo i quadri oggetto di causa e non anche altri oggetto della mostra – di guisa che il principio di non contestazione non poteva affatto essere invocato. In secondo luogo occorre ritenere che, a fronte dell’espressa negazione da parte del C. di aver autorizzato la Ch. a concludere per suo conto un contratto di comodato con ISCV e di aver mai ratificato l’operato del falsus procurator, la controparte sarebbe stata onerata di fornire la prova contraria, onere al quale non aveva ottemperato, di guisa che la sentenza, contrariamente a quanto assunto dal ricorrente, ha fatto buon governo delle norme sul riparto dell’onere probatorio.

3. Con il terzo motivo – violazione e falsa applicazione dell’art. 1153 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – il ricorrente lamenta che la Corte territoriale abbia erroneamente applicato l’art. 1153 c.c. in quanto non vi sarebbe stato alcun titolo astrattamente idoneo al trasferimento della proprietà in una con la buona fede dell’acquirente, in mancanza di un atto scritto relativo alla compravendita dei quadri.

3.1 Il motivo è privo di decisività e di correlazione con la ratio decidendi. Il ricorrente discute in ordine all’applicazione dell’art. 1153 c.c. senza neppure spiegare in cosa esattamente consista la violazione di questa disposizione quando, con tutta evidenza, la sentenza ha escluso di poter procedere all’accertamento della proprietà dei quadri in ragione del fatto che l’azione promossa era esclusivamente contrattuale e personale e non anche di revindica. Dunque, il giudice non poteva pronunciarsi sugli aspetti petitori perché né il petitum né la causa petendi glielo consentivano né il convenuto aveva formulato una domanda riconvenzionale per sentir accertare la proprietà dei beni.

4. Con il quarto motivo – omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – il ricorrente rileva che la Corte territoriale abbia omesso di considerare la confessoria ammissione, da parte del C., dell’inesistenza di un atto scritto tra quest’ultimo e la Ch. riguardante il trasferimento della proprietà delle opere pittoriche e, dunque, l’intervenuto acquisto a non domino.

Premesso che la vendita di quadri non richiede la forma scritta, il motivo è inammissibile per le stesse ragioni esposte in ordine al motivo precedente, perché non correlato alla ratio decidendi cui è del tutto estranea la questione petitoria.

5. Con il quinto motivo di ricorso – violazione e falsa applicazione dell’art. 1156 c.c., artt. 100 e 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 insiste nel ritenere che la Corte territoriale avrebbe dovuto pronunziarsi sull’accertamento incidentale – come tale non suscettibile di passare in cosa giudicata – relativo alla nullità dell’acquisto a non domino.

5.1 Il motivo è infondato. Parte ricorrente non discute che la prospettiva dell’acquisto a non domino da parte del C. fosse stata oggetto di una richiesta di accertamento incidentale, ma si duole che tale accertamento non sia stato fatto dalla Corte d’Appello, tant’e’ che deduce omessa pronuncia. Premesso che la prospettazione da parte dell’attore di una “domanda di accertamento incidentale” con l’atto introduttivo del giudizio è un non senso e che quando l’attore pone una simile domanda si deve ritenere, tenuto conto che egli stesso, in quanto deduce il rapporto che ne è oggetto come controverso, in realtà proponga una domanda, va rilevato che parte ricorrente non si duole affatto che la domanda non sia stata decisa con efficacia di giudicato, ma insiste nella sua prospettazione della natura incidentale del sollecitato accertamento e sotto tale profilo il motivo, quanto alla violazione dell’art. 112 c.p.c. si scontra con il fatto che la corte territoriale si è pronunciata (pag. 14 in fine e 15 all’inizio) e quanto alla pretesa che l’accertamento sarebbe stato rilevante per accogliere la domanda contro il resistente non solo non ne argomenta in modo chiaro il perché, ma, soprattutto, una volta consolidatasi la motivazione sul rigetto dell’azione di inadempimento contrattuale del comodato in ragione dell’esclusione della sussistenza del comodato e ciò sulla base dell’affermazione che tanto fosse stato chiesto dal ricorrente, il chiesto accertamento non figurava in alcun modo rilevante con riguardo alla natura contrattuale dell’azione.

E, del resto, la sentenza ha lasciato espressamente impregiudicata ogni questione sulla proprietà dei quadri (pag. 14, terzultima proposizione), sicché la posizione al riguardo del ricorrente resta impregiudicata.

In ragione dell’espressa affermazione della sentenza – non censurata da alcuno – la questione potrà essere oggetto di una futura lite.

6. L’infondatezza del ricorso rende irrilevante una questione che pure si sarebbe configurata: quella della mancata evocazione in giudizio dell’erede della Ch., M.L. e del socio della C., costituitosi in prosecuzione. Ricorrendo un’ipotesi di litisconsorzio necessario ai sensi dell’art. 331 c.p.c. questa Corte ritiene di aderire all’orientamento ormai consolidato secondo il quale, in nome della ragionevole durata del processo, il giudice deve evitare incombenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione del giudizio, tra i quali rientrano quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue quale, per l’appunto, nell’ipotesi di infondatezza del ricorso, la fissazione del termine ex art. 331 c.p.c. per l’integrazione del contraddittorio nei confronti dei litisconsorti necessari (Cass., 2, n. 2723 dell’8/2/2020, Cass., U, n. 6826 del 22/3/2010, Cass., 6-3, n. 21141 del 13/10/2011, Cass., 3, n. 690 del 18/1/2012, Cass., 3, n. 15106 del 17/6/2013, Cass., 2, n. 12515 del 21/5/2018, Cass., 2 n. 11287 del 10/5/2018, Cass., 6-3 n. 8980 del 15/5/20209).

7. Conclusivamente il ricorso va rigettato ed il ricorrente condannato a pagare, in favore di parte resistente, le spese del giudizio di cassazione liquidate come in dispositivo. Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, del cd. raddoppio del contributo unificato, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare, in favore di parte resistente, le spese del giudizio di cassazione, liquidate Euro 5.600 (oltre Euro 200 per esborsi), più accessori di legge e spese generali al 15%. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile, il 23 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2021

 

 

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