Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25743 del 30/10/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 30/10/2017, (ud. 10/05/2017, dep.30/10/2017),  n. 25743

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23201-2015 proposto da:

M.M.T., domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dagli avvocati ANGELO MOSCA, FABRIZIA SPERANZA, GAETANO

SCUOTTO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

CENTRO AGRO AVERSANO DI SOCIO LOGOPEDIA E F.K.T. S.R.L., in persona

del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA PIAZZA

CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dagli avvocati VINCENZO MIRRA, ANDREA

FERRARO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1095/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 26/03/2015 R.G.N. 3857/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/05/2017 dal Consigliere Dott. FRANCESCA SPENA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato GAETANO SCUOTTO;

udito l’Avvocato ANGELO MOSCA;

udito l’Avvocato ANDREA FERRARO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso al Tribunale di S. Maria Capua Vetere del 25.6.2012 la dott. M.M.T., già dipendente della società CENTRO AGRO AVERSANO DI SOCIO LOGOPEDIA e F.K.T. (in proseguo: CENTRO AGRO AVERSANO) srl, esercente attività sanitaria di riabilitazione in regime di convenzione con il Servizio Sanitario Regionale, con mansioni di Direttore Responsabile, impugnava il licenziamento intimatole in data 29.12.2011 per giustificato motivo oggettivo, consistente nella sopravvenuta inidoneità del titolo di studio conseguito (laurea in medicina con specializzazione in microbiologia) all’esercizio delle mansioni.

Il Giudice del Lavoro, con sentenza del 17.6.2014 (nr. 2987/2014), accoglieva la domanda.

La Corte d’appello di Napoli, con sentenza del 4.2/26.3.2015 (nr. 1095/2015), accoglieva l’appello della società datrice di lavoro e, per l’effetto, in riforma della sentenza di primo grado, rigettava la domanda originaria.

La Corte territoriale rilevava che l’art. 3.13 del decreto del Commissario ad acta della Regione Campania del 26 giugno 2011, n. 64 ridefiniva i requisiti del personale dei presidi di assistenza specialistica ambulatoriale autorizzati ai sensi della Delib. giunta regionale n. 7301 del 2001 ed eroganti prestazioni nei confronti di disabilità transitorie o minimali, richiedendo per il direttore responsabile la qualifica di “specialista a tempo pieno”.

Tale espressione doveva interpretarsi come riferita alla specializzazione nel settore di competenza ovvero nel campo della riabilitazione.

La conclusione era avvalorata dal decreto del Commissario ad acta del 28.12.2011 nr. 88, che, interpretando e chiarendo il significato della norma, aveva specificato che il titolo richiesto dal decreto n. 64 era ed andava inteso come “medico specialista in riabilitazione”.

Il licenziamento intimato era pertanto legittimo.

Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza la dott. M.M.T., articolato in quattro motivi; ha resistito con controricorso la società CENTRO AGRO AVERSANO srl.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente ha denunziato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 – nullità della sentenza per assenza di motivazione, lamentando che la motivazione non esprimeva il percorso logico argomentativo della decisione.

Il motivo è infondato.

L’anomalia motivazionale attinente all’esistenza in sè della motivazione si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” laddove nella fattispecie di causa la Corte di merito ha dato conto in maniera espressa, concreta e comprensibile del percorso logico seguito.

2. Con il secondo motivo la ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione o falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c..

Ha esposto che la appellante aveva prodotto solo nel grado di appello la copia del decreto del Commissario ad acta nr. 88 del 28.12.2011 laddove esso era stato pubblicato nel B.U.R.C. del 2.1.2012 nr. 1 sicchè avrebbe dovuto essere prodotto dalla società all’atto della sua costituzione nel primo grado. Ha aggiunto che con l’entrata in vigore del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, del modificativo dell’art. 345 c.p.c., era venuta meno la facoltà di produrre in appello nuovi documenti ove ritenuti dal collegio indispensabili alla decisione.

Il decreto del Commissario ad acta nr. 88 del 28.12.2011 pertanto non avrebbe potuto essere acquisito dal giudice dell’appello.

Il motivo è infondato.

La disciplina dell’art. 437 c.p.c. – applicabile nel rito speciale del lavoro – consente la ammissione di ogni nuovo mezzo di prova che il collegio ritenga indispensabile ai fini della decisione della causa.

Deve in questa sede darsi continuità al principio già ripetutamente affermato da questa Corte, secondo cui nel rito del lavoro, stante l’esigenza di contemperare il principio dispositivo con quello della ricerca della verità materiale allorchè le risultanze di causa offrono significativi dati di indagine, il giudice, anche in grado di appello, ex art. 437 c.p.c., ove reputi insufficienti le prove già acquisite, può ammettere, anche d’ufficio, le prove indispensabili per la dimostrazione o la negazione di fatti costitutivi dei diritti in contestazione.

Tale indirizzo ha recentemente ricevuto conferma dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza del 4.5.2017 nr. 10790, resa in punto di interpretazione dell’art. 345 c.p.c. – nel testo vigente anteriormente alla novella del D.L. n. 83 del 2012, art. 54 – ma dichiaratamente relativa anche al concetto di indispensabilità della prova recepito dall’art. 437 c.p.c., comma 2.

Il Giudice dell’appello si è conformato a tale principio, avendo acquisito il decreto del commissario ad acta nr. 88/2011 per dirimere ogni possibile dubbio di interpretazione dei contenuti del precedente decreto dello stesso organo nr. 64/2011, prodotto ritualmente in causa.

3. Con il terzo motivo la parte ricorrente ha denunziato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti.

Ha censurato la decisione per non avere esaminato la perfetta corrispondenza tra i contenuti del decreto del Commissario ad Acta nr. 64 del 26.9.2011 e la disciplina già prevista dalla Delib. Giunta Regionale Campania n. 7301 del 2001: entrambe le fonti prevedevano obbligatoriamente la figura del “direttore responsabile specialista” senza richiedere lo specifico titolo di specializzazione relativo al settore della attività di riabilitazione.

Pertanto non si configurava alcuna impossibilità sopravvenuta allo svolgimento della prestazione per la quale ella era stata assunta.

Il motivo è inammissibile.

Il nuovo testo del n. 5) dell’art. 360 c.p.c., applicabile in causa, introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia).

Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, , il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”,testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”.

Nella fattispecie di causa la parte ricorrente non ha indicato il contenuto degli atti di causa nei quali sarebbe stata oggetto di discussione la Delib. Giunta Regionale Campania n. 7301 del 2001 (a tal fine è privo di specificità il riferimento alle note autorizzate nel primo grado ed alla memoria di costituzione in appello) nè indicato in quali forme tale documento era stato prodotto in causa.

Inoltre, in violazione dell’art. 369 c.p.c., comma 4, la ricorrente non ha depositato in questa sede la suddetta delibera, posta a fondamento della censura.

4. Con il quarto motivo la ricorrente ha impugnato la sentenza – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 per violazione o falsa applicazione della L. n. 604 del 1996, art. 4, della L. n. 300 del 1970, art. 18 del decreto del Commissario ad acta del 28.12.2011 nr. 88.

Ha censurato la sentenza per avere ritenuto sussistente il giustificato motivo oggettivo di licenziamento laddove i requisiti del personale richiesti dal decreto nr. 64 del 26.9.2011 erano identici a quelli previsti dalla normativa di cui al D.G.R.C. n. 7301 del 2001, in vigenza della quale era stata assunta ed aveva svolto le mansioni.

Ha dedotto che tale conclusione non poteva essere revocata in dubbio dal decreto del commissario ad acta del 28.12.2001 nr. 88, pubblicato nel BURC del 2.1.2012, emesso dopo il licenziamento e non invocabile retroattivamente.

Del resto il TAR NAPOLI con ordinanza del 10.12.2003 aveva accolto il ricorso proposto dalla società datrice di lavoro avverso l’ordinanza del Comune di Aversa del 22.9.2003 (nr. 169/2003) rilevando che in relazione alla attività svolta non emergevano profili che richiedessero per il direttore sanitario il possesso di un titolo di specializzazione specifico.

Il motivo è inammissibile.

La deduzione della violazione della L. n. 604 del 1966, art. 3 e L. 300 del 1970, art. 18 resta inconferente rispetto ai contenuti della censura, che non investono la sussunzione dei fatti di causa nella fattispecie normativa del giustificato motivo oggettivo nè la interpretazione ed applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18.

Oggetto di impugnazione è, piuttosto, la interpretazione del decreto del Commissario ad acta del 26.9.2011 nr. 64 operata dalla Corte di merito (nel senso che esso richiedesse per il responsabile della struttura gestita dalla società controricorrente la specializzazione in riabilitazione).

La interpretazione di un atto non normativo – quale è il decreto del Commissario ad acta, che si qualifica come provvedimento amministrativo generale – va condotta secondo le regole legali di ermeneutica contrattuale, applicabili anche agli atti amministrativi, pur se con gli adattamenti imposti dalla natura di tali atti; ne consegue che in sede di legittimità essa è censurabile sotto il profilo del vizio di motivazione – ex art. 360 c.p.c., n. 5 – ovvero di violazione delle norme legali di ermeneutica dei contratti – ex art. 360 c.p.c., n. 5.

La censura è stata invece inammissibilmente proposta in termini di diretta violazione del provvedimento commissariale.

Il ricorso deve essere conclusivamente respinto.

Le spese seguono la soccombenza.

Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi delle L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1,comma 17 (che ha aggiunto il comma 1 quater al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13) – della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 200 per spese ed Euro 4.000 per compensi professionali oltre spese generali al 15% ed accessori di legge con attribuzione.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 10 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2017

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