Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25743 del 22/09/2021

Cassazione civile sez. III, 22/09/2021, (ud. 23/03/2021, dep. 22/09/2021), n.25743

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19094-2018 proposto da:

T.E., rappresentato e difeso dall’avvocato ALVISE

BENVENUTI, ed elettivamente domiciliato in ROMA, v. Silvio PELLICO

4, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIA GARCEA, pec:

alvise.benvenuti.venezia.pecavvocati.it,

claudia.garcea.ordineavvocatiroma.it;

– ricorrente –

contro

Z.F.A., F.A.L., F.G.,

FE.GI., f.g., rappresentati e difesi dagli avvocati

MARCELLO MAGGIOLO, e LUIGI MANZI, ed elettivamente domiciliati in

ROMA, presso lo studio del secondo in VIA FEDERICO CONFALONIERI 5,

pec: marcello.maggiolo.venezia.pecavvocati.it,

luigimanzi.ordineavvocatiroma.org;

– controricorrenti –

nonché contro

B.G., FE.GI.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 571/2018 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 09/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/03/2021 dal Consigliere Dott. ANNA MOSCARINI.

 

Fatto

RITENUTO

che:

1. T.E. ha impugnato la sentenza della Corte d’Appello di Venezia n. 571 del 9/3/2018 -pronunciata in sede di rinvio – con la quale la Corte territoriale ha ritenuto la sussistenza di numerosi elementi di prova in ordine alla qualifica di Z.F.A., A.L., G., Gi. e f.g. quali eredi di F.L., originario promittente di un terreno sito in (OMISSIS) e detenuto da T.E. – in un giudizio che li vedeva contrapposti al T. e a B.G. al fine di ottenere la restituzione del terreno stesso da questi ultimi detenuto.

L’impugnata sentenza ha accertato la qualità di erede degli originari attori, desumendola da vari elementi di prova: innanzitutto dalla circostanza, emersa nel giudizio che il B. aveva instaurato davanti al Tribunale di Venezia, nel quale gli appellanti erano qualificati quali eredi; in secondo luogo dal fatto che gli stessi appellanti avevano raggiunto una transazione con il B. che non avrebbero potuto stipulare se non in qualità di eredi; la stessa qualità doveva essere desunta da altri documenti – decisivi ai fini del decidere ex art. 345 c.p.c. – e consistenti nella denuncia di successione prodotta in atti e dalla sentenza del Tribunale di Venezia n. 2390 del 2014 pure prodotta in sede di appello; infine la Corte territoriale ha escluso che il T. avesse usucapito il terreno, in mancanza di un atto di interversione nel possesso. Conclusivamente la Corte territoriale ha accertato il diritto degli appellanti ad ottenere la restituzione del terreno, ha condannato T.E. e B.G. alla riconsegna del medesimo, libero da persone e cose, ed ha condannato T.E. e B.G., in solido, al pagamento, in favore degli appellanti, delle spese del grado.

2. Avverso la sentenza T.E. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi. Hanno resistito Z.F.A., F.A.L., F.G., Fe.Gi., f.g. con controricorso.

3. Il ricorso è stato fissato per la trattazione in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380bis1 c.p.c. in vista della quale il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Il ricorso si limita ad affermare che, nell’ambito di una controversia per il rilascio del terreno detenuto dal T., la Corte del rinvio non abbia considerato che la qualità di erede in capo agli originari attori era sempre stata contestata, che la presentazione della denuncia di successione non era significativa dell’accettazione dell’eredità e che una sentenza, acquisita tardivamente agli atti di causa e relativa all’accoglimento della domanda di rilascio del fondo, non avrebbe potuto essere valorizzata in questa sede. Nulla il ricorso riporta in ordine alle censure articolate nei precedenti gradi del giudizio né in ordine ai fatti che hanno originato la controversia, fatti che risultano del tutto incomprensibili senza la lettura dell’impugnata sentenza e del controricorso. In base alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, pertanto, il ricorso è inammissibile in quanto il requisito dell’esposizione sommaria dei fatti, prescritto, per l’appunto, a pena d’inammissibilità, è funzionale alla completa e regolare instaurazione del contraddittorio ed è soddisfatto laddove il contenuto dell’atto consenta di avere una chiara e completa cognizione dei fatti che hanno originato la controversia e dell’oggetto dell’impugnazione, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti. Ciò impone alla parte ricorrente, sempre che la sentenza gravata non impinga, proprio per questa ragione, in un’apparenza di motivazione, di sopperire ad eventuali manchevolezze della stessa decisione nell’individuare il fatto sostanziale e soprattutto processuale (Cass., 6-3, n. 16103 del 2/8/2016; 6-3, n. 13312 del 28/5/2018, Cass., 1, n. 24432 del 3/11/2020), onere al quale la parte ricorrente non ha ottemperato.

Ciò premesso i singoli motivi presentano a loro volta profili di insuperabile inammissibilità.

1. Con il primo motivo di ricorso – violazione dell’art. 101 c.p.c.art. 324 c.p.c.art. 24 Cost.; difetto di motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia prospettato dalla parte in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 – il ricorrente censura la sentenza sia perché avrebbe consentito una produzione tardiva in violazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio, “perché non è stato consentito all’odierno ricorrente di esaminare detta sentenza e di controdedurre”, sia perché la medesima sentenza riguarderebbe una controversia in cui erano parti solo i F. e, dunque, sarebbe res inter alios acta. Si lamenta che la corte territoriale, ancorché il ricorrente nella memoria di replica avesse prospettato entrambe le censure, nulla abbia detto riguardo ad esse e Ciò nonostante che la sentenza sia stata utilizzata per la decisione.

1.1 Il motivo è inammissibile per plurimi e distinti profili. Innanzitutto, non è conforme a quanto prescritto dall’art. 366 c.p.c., nn. 3 e 6 in quanto non espone il contenuto della sentenza che assume erroneamente acquisita agli atti né e soprattutto la localizza in questo giudizio di legittimità, di modo che non consente a questa Corte di comprendere il senso della censura. In secondo luogo, si configura altra violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, in quanto il ricorrente, peraltro in modo contraddittorio – giacché prima sostiene di non aver potuto esaminare detta sentenza e poi dice di avere formulato nella memoria di replica le due censure di cui si è detto – omette sia di riprodurre il contenuto della memoria di replica stessa, sia e nuovamente di ottemperare all’onere di localizzazione in questa sede, al riguardo omettendo pure di fare riferimento – come ammette Cass., S.U., n. 22726 del 2011 (al fine di esentare dall’onere di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4) – alla sua presenza nel fascicolo d’ufficio, di cui ha chiesto la trasmissione. In tale situazione, la Corte non è messa in grado di verificare l’assunto del ricorrente, tenuto conto che la sentenza impugnata non si occupa del problema della ritualità della produzione e considerato che in ogni caso la prospettazione dell’eccezione di tardività della produzione, in quanto avvenuta con la conclusionale, avrebbe dovuto – pur trattandosi di eccezione rilevabile d’ufficio – essere svolta nella memoria di replica (per la spiegazione, giuocata sull’esegesi dell’art. 157 c.p.c., u.c., vedi: Cass. n. 21381 del 2018 e successive conformi).

2. Con il secondo motivo di ricorso – difetto di motivazione in ordine ad un fatto decisivo per il giudizio – il ricorrente si limita a lamentare che la sentenza sia priva delle ragioni della decisione.

2.1 Il motivo è inammissibile in primo luogo perché risulta del tutto assertorio e generico. Non solo: asserisce che la corte territoriale avrebbe dato rilievo solo alla sentenza evocata nel primo motivo, ma in realtà la motivazione non ha questo tenore. Sotto il primo aspetto il motivo è inammissibile alla stregua del consolidato principio di diritto di cui a Cass. n. 4741 del 2005, ribadito da Cass., Sez. Un., n. 7074 del 2017, in motivazione non massimata. Sotto il secondo aspetto, non correlandosi alla motivazione, è inammissibile alla stregua del consolidato principio di diritto di cui a Cass. n. 359 del 2005, ribadito sempre dalla citata sentenza delle Sezioni Unite, in motivazione non massimata. In secondo luogo, il motivo è inammissibile perché non risponde, né nella forma né nella sostanza, ai requisiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 convertito con modificazioni in L. n. 134 del 2012. Il motivo infatti si limita a lamentare, proprio per la segnalata genericità, un preteso vizio di motivazione senza indicare quale fatto controverso e decisivo, oggetto di discussione tra le parti, sia stato omesso. Come è noto l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nell’attuale testo riguarda uno specifico vizio denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni sicché sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (Cass., 6-1, n. 22397 del 6/9/2019; Cass., L, n. 16703 del 25/672018; Cass., 6-5 n. 23238 del 4/10/2017).

3. Con il terzo motivo – violazione del giudicato art. 360 c.p.c., n. 5 – il ricorrente lamenta che la Corte del rinvio, anziché attenersi alle statuizioni del giudizio rescindente, che avrebbe rinviato la liquidazione delle sole spese del rinvio e della cassazione, avrebbe illegittimamente provveduto alla liquidazione delle spese dell’intero giudizio.

3.1 Anche questo motivo non sfugge al rilievo di inammissibilità innanzitutto per essere dedotto quale violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non corrispondendo affatto ai requisiti per la denuncia del vizio di motivazione. In secondo luogo, se la censura si potesse riqualificare alla stregua di violazione delle norme sul procedimento relative alle spese giudiziali – una volta considerato che la sentenza di rinvio si limitò a rimettere, giusta l’art. 385 c.p.c., al giudice di rinvio, le spese del giudizio di cassazione – si dovrebbe rilevare la palese infondatezza del motivo, una volta considerato il seguente principio di diritto: “Il giudice del rinvio, al quale la causa sia rimessa dalla Corte di cassazione anche perché decida sulle spese del giudizio di legittimità, è tenuto a provvedere sulle spese delle fasi di impugnazione se rigetta l’appello e su quelle dell’intero giudizio, se riforma la sentenza di primo grado, secondo il principio della soccombenza applicato all’esito globale del giudizio, piuttosto che ai diversi gradi dello stesso e a loro risultato”: così Cass., 2, n. 15506 del 13/6/2018; in senso conforme: Cass., 5, n. 28698 del 7/11/2019.

4. Conclusivamente il ricorso è dichiarato inammissibile ed il ricorrente condannato a pagare, in favore della parte resistente, le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo. Si dà altresì atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, del cd. raddoppio del contributo unificato, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente a pagare, in favore di parte resistente, le spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 4.100 (oltre Euro 200 per esborsi), più accessori di legge e spese generali al 15%. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile, il 23 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2021

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